Parte 1

15 1 0
                                    

Aprii gli occhi pian piano. Un piccolo filo di luce entrava dalla finestra. Mi girai su un lato del letto e guardai la sveglia sul mio comodino. Erano le sette e mezza. Ho sempre avuto una sorta di orologio biologico dentro di me. Naturalmente, era raro che mi svegliassi prima delle sette e mezza. Non fraintendetemi, amo il mio letto e in generale dormire, ma quando hai una giornata con lezioni all'università da incastrare, molto studio (troppo) e faccende domestiche da sbrigare, anche una mezzora di tempo in più può risultare molto comoda. Mi guardai un po' attorno. La mia stanza sembrava avere qualcosa di diverso, forse mi sbagliavo. Eppure tutto era esattamente al suo posto. Il peluche di orso che ricevetti al mio ottavo compleanno, le barbie che mi fissavano dalla mensola vicino alla porta e i libri sulla libreria. Vedevo un po' sfocato, come se ci fosse qualcosa nei miei occhi che ostruiva la mia vista. Mi alzai dal letto, mi infilai le pantofole e andai in cucina, quasi a occhi chiusi. In corridoio c'era molta luce che entrava dalle finestre laterali, ma anche lì i vasi di fiori e piante sembravano avere qualcosa di diverso, sebbene tutto fosse tutto al suo posto. Sentii anche un forte profumo di pancake, che mio padre non mi preparava mai. Scrollai la testa, forse stavo seriamente impazzendo. Oppure avevo solo molto sonno. Quando entrai in cucina, strofinandomi gli occhi, sentii una voce strana, che non riconobbi subito. Aprii bene gli occhi, davanti a me c'era mia madre. Io spalancai gli occhi, completamente incredula.
«Ti ho detto buongiorno», mi disse, sorridendomi. Aveva addosso uno dei suoi grembiuli da cucina e stava preparando dei pancake. Dalla mia bocca non uscii nemmeno una parola e mi sentii soffocare. Non sapevo cosa dire, data l'assurdità della situazione. Mia madre mi guardava un po' perplessa, e non aveva tutti i torti.
«Ti vedo un po' strana, stai bene? Hai dormito?»
Quando finalmente riuscii ad aprire la bocca, feci l'unica affermazione che riuscii a fare.
«Ma tu sei morta.»

Mi svegliai di soprassalto, spalancando gli occhi e la bocca. Mi guardai subito attorno, impaurita. La mia stanza non aveva niente di diverso e dalla finestra filtrava un po' di luce. Doveva essere stato un sogno, eppure sembrava così vero. Quando mi alzai mi tornò in mente l'odore dei pancake che avevo sentito dal corridoio. Era stato così reale, faticavo a credere che lo avessi sentito in un sogno. E mia madre in cucina... Mi alzai dal letto, ancora scossa, ed entrai lentamente in cucina. Mi aggrappai allo stipite e allungai il collo per vedere se ci fosse qualcuno. Nessun odore di pancake, nessuna voce e nessuna strana presenza. Mi venne un colpo quando sentii qualcuno alle mie spalle.
«Cosa stai facendo?». Era mio padre, in canotta e pantaloncini beige.
Io balbettai un po'. «N-niente»
Lui mi guardò di sottecchi. «Ho preparato la colazione, se ti non sbrighi farai tardi all'università.»
Io annuii, ancora incredula di quello strano sogno che avevo fatto. Mi sedetti a tavola e mentre sgranocchiavo i miei biscotti al cioccolato preferiti, fissai il vuoto guardando fuori dalla finestra. Quel sogno era stato tanto terrorizzante quanto bello. La mamma mi mancava, mi mancava davvero, ma mi aveva inquietato un po' averla rivista in un sogno così realistico. Ormai mancava da tre anni. Una sera, dopo cena, aveva lamentato un'indigestione. La notte aveva vomitato più volte e il mattino dopo ha preso la malattia dal lavoro. Dopo qualche giorno di riposo sembrava essersi rimessa in forze, ma una sera ebbe un'altra ricaduta. Aveva i crampi allo stomaco e stava sempre più male, con le febbre che le era salita oltre i quaranta. Io e mio padre l'abbiamo subito portata al pronto soccorso. Ai medici e agli infermieri è bastato poco per capire che la situazione era più grave del previsto. I primi esami hanno confermato un tumore allo stomaco. Nel giro di un paio di mesi si è esteso anche al pancreas e al fegato, e nello stesso arco di tempo ci ha abbandonati. Così, senza una logica. Il primo anno dopo la sua morte è stato devastante. Avevo appena 18 anni ed ero fresca di maturità. Speravo che dopo il diploma avrei avuto del tempo da dedicare a mia madre. Su Internet avevo letto che i casi come il suo possono avere aspettative di vita anche di due anni o più, e lei stava male solo da qualche mese. La vita, però, spesso può essere imprevedibile. Adesso, a distanza di tre anni, non penso più così spesso a mia mamma. Anzi, evito sempre di pensarci e cerco di distrarmi in tutti i modi. Forse alla fine è una cosa che accetti e basta, non esiste un rimedio particolare e sempre efficace.

«Simona, se continui così farai tardi. Datti una mossa.»
Le parole di mio padre mi risvegliarono dal mio intorpidimento mentale. Io annuii e dopo pochi secondi uscì di casa senza nemmeno salutare. Da quando è venuta a mancare mia madre, il nostro rapporto si è raffreddato, per non dire congelato. Non mi ha chiesto niente dell'università e non si confidava più con me. Non gliene facevo una colpa, è come se con mia madre, anche una parte di lui se ne fosse andata via. Io gli vorrò sempre bene, ma a volte mi sentivo soffocare dentro quella casa con lui. Sempre mogio, sempre spento, non riuscivo mai a capire i suoi pensieri e non riuscivo più a trovare un punto d'incontro con lui. Inoltre, era diventato molto più autoritario. Mi aveva quasi obbligato a iscrivermi al corso di Economia Aziendale, perché diceva che avrei sicuramente trovato lavoro in poco tempo. Così, avevo messo da parte la mia passione per la letteratura e l'avevo assecondato. Adesso, al mio terzo anno di università, mi ritrovavo a frequentare un corso che non piaceva davvero e avevo alcuni esami indietro dal primo anno di corso. Per certi versi e in certi momenti sentivo di aver fallito, ma avevo trovato comunque un modo per andare avanti.

Dopo quasi un'ora ero in aula, seduta affianco alla mia sola e unica amica del mio stesso corso, Angela. La lezione di microeconomia era più soporifera e più lenta del solito.
«Tutto bene? Ti vedo un po' assente», mi disse, corrugando la fronte.
«In effetti sì», ammisi, «hai ragione. È che...» Ci pensai un po' su. «Tu non ti chiedi mai se abbiamo sbagliato corso? Se è quello che ti piacerebbe davvero fare?»
«Se mi piacerebbe un giorno lavorare nell'ambito economico intendi?»
Io annuii.
Angela alzò gli occhi al cielo. «Tutto tranne che stare qui dentro, puoi starne certa.»
Io risi, anche se avrei preferito che il nostro discorso si facesse più serio. Dopo la lezione andammo a mangiare in mensa, e mentre lei mi parlava di un ragazzo con il quel aveva iniziato a sentirsi, la mia testa andò altrove. Quel sogno così strano aveva risvegliato in me qualcosa. Qualcosa che non sapevo bene nemmeno io, o forse non me ne rendevo ancora conto. Avevo iniziato a fare dei ragionamenti sulla mia vita, su quello che mi piaceva fare, su come ero cambiata dalla morte di mia madre. E più ci pensavo, più non riuscivo a trovare delle risposte chiare e precise.

«Cosa ne pensi?» mi chiese a un tratto Angela.
Io la guardai socchiudendo gli occhi. «Riguardo cosa?»
«Riguardo quello che ti ho appena raccontato, ma ho visto che non mi stavi ascoltando.»
Io sospirai, spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Hai ragione, scusami. Oggi sono molto stanca.»
«Più che stanca, ti vedo strana.»
«Forse ho solo bisogno di riposare un po'.»

Quando quel pomeriggio tornai a casa, mio padre non era ancora rincasato. Entrai nella mia stanza, buttai lo zaino in un angolo e mi catapultai sul letto. Mi sentivo stanca e senza energie., e non capivo bene nemmeno io il motivo esatto. Fu una cena molto silenziosa, come la maggior parte di quelle tra me e mio padre, poi andai subito a letto. Mi sentivo totalmente apatica e non vedevo l'ora che quella giornata finisse. Non tardai a prendere sonno.

Il mattino successivo, aprii gli occhi e vidi che erano le sette e mezza. Il mio cervello non sbagliava mai e sapeva sempre quando era il momento giusto per svegliarmi. Mi alzai dal letto e mi accorsi quasi subito che vedevo un po' sfocato, esattamente come mi era successo nel sogno della notte precedente. Quando attraversai il corridoio di casa, sentii di nuovo il profumo di pancake. Il cuore iniziò a battermi forte, avviandomi a passi lenti verso la cucina. Non sapevo cosa fare, se tornare indietro nella mia stanza o se darmi un pizzicotto. Faticavo a pensare che fosse tutto un sogno, un frutto della mia immaginazione, dato che sembrava tutto molto realistico. Feci un profondo respiro e quando entrai in cucina vidi mia madre, esattamente come nel sogno che avevo fatto la notte precedente. Aveva lo stesso grembiule e mi sorrise nello stesso modo.
«Buongiorno», mi salutò.
Rispetto alla notte prima ero già pronta a quell'affermazione, e risposi.
«Buongiorno, mamma.»
Lei si voltò e mi sorrise, con quello sguardo dolce che l'aveva sempre contraddistinta.
«Ti ho preparato i pancake, i suoi preferiti», mi disse, indicandone un piatto colmo.
Io le sorrisi e lei si avvicinò. Voleva darmi un bacio sulla guancia, di quelli che mi dava sempre. Vederla così vicino a me mi fece aumentare le palpitazioni e quando fu abbastanza vicina a me riuscii a sentire il suo odore. Mi ero completamente dimenticata del suo odore e mi provocò un'emozione così forte che mi sentii mancare. Poco dopo svenni.

Mi svegliai di soprassalto, tutta sudata e con il cuore in gola, sentendo un profumo di pancake provenire dalla cucina.


PARTE 2 IN ARRIVO...

La realtà dei sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora