Parte 4

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Vedere mia madre in sogno inizialmente mi aveva turbato parecchio. Era da tre anni che non la vedevo, in camera mia avevo tolto tutte le foto e aveva cercato di dimenticare il suo volto anche dai miei ricordi. Non era stata certo una cosa semplice, e a dirla tutta non ero certa che ci fossi riuscita davvero. Tuttavia, cercare di dimenticare il suo volto mi aiutava a superare il suo lutto e vivere meglio, cercando solo di guardare avanti. Adesso che la rivedevo di frequente in sogno, tuttavia, mi resi conto di quanto avevo sbagliato in passato. La vera soluzione non era dimenticarla, ma accettare il dolore della sua perdita e convivere con esso. In quegli anni avevo fatto di tutto per dimenticarmi di lei, non sapendo che in realtà mia madre sarebbe rimasta per sore dentro di me e nei miei pensieri.

Adesso avevo l'opportunità di vedere e incontrare mia madre ogni notte, almeno finché mi sarebbe apparsa in sogno. Non sapevo ancora per quante notti avrei ripetuto quel sogno, ma speravo che l'avrei sognata ancora per molto tempo. Adesso quel sogno non mi terrorizzava più, anzi, ero molto contenta di vedere mia madre in sogno e ogni notte non vedevo l'ora di vederla e parlare con lei. Era diventata un'autentica necessità, un bisogno del quale non potevo più fare a meno.

Quella notte la sognai un'altra volta. Ero curiosa di sapere che cosa voleva forni prima che il sogno terminasse.
«Perché pensi che io e papà stiamo sbagliando in qualcosa?» le chiesi, mentre eravamo sedute a tavola a fare colazione.
Lei aggrottò la fronte, pensandoci su, come se cercasse le parole giuste da usare. «Non credo che dimenticarsi di una persona sia la soluzione migliore in questi casi», disse infine, e il mio cuore iniziò a battere forte. Era evidente che stesse parlando di me. Probabilmente si era accorta di quella mia specie di tattica che con il tempo avevo affinato.
«Voi due avete bisogno l'uno dell'altro, non potete fare finta di essere soli.»
La sua voce sembrava più anziana del solito e il suo sguardo era pieno di saggezza.
«Non so come comportarmi con papà», ammisi.
Lei appoggiò la sua tazza di latte sul tavolo, mi guardò e mi sorrise.
«Fagli sentire che ci sei.»

Poco dopo il sogno terminò. Durante le notti successive continuai a parlare con mia madre. Anche se da una parte mi sembrava una cosa assurda, dall'altra ero convinta che mi madre fosse entrata nel mio mondo onirico per comunicare con me. Aveva visto come io e papà ci stavamo comportando, e magari con il tempo le cose tra le e lui sarebbero cambiate. Una notte parlammo di come avevo cercato di dimenticare. In tutte le nostro conversazioni, non c'era nessuna allusione alla sua morte. Era come una cosa implicita e i nostri discorsi rimanevano sempre generali. Una notte le chiesi esplicitamente come si stava lassù. Lei sembrò non capire la mia domanda, e il sogno terminò. Anche la notte successiva avvenne la stessa cosa. Era come se quell'argomento scaturisse qualcosa e facesse terminare il sogno. Erano ormai dieci giorni di fila che continuavo ogni notte a fare lo stesso sogno, e ogni volta avevo la possibilità di controllarlo esattamente come volevo. Nel frattempo, anche mio padre aveva continuato a fare lo stesso sogno, e mi disse che anche lui poteva controllare quello che faceva e quello che diceva. C'era una spiegazione scientifica a tutto questo? In realtà no. A parte con mio papà, non ne avevo parlato con nessuno, e non riuscivo a darmi una spiegazione chiara. Non credevo nell'aldilà, ma era verosimile l'ipotesi secondo cui mia mamma ci aveva intercettati nel mondo dei vivi. Detta così, sembrava davvero un'assurdità, ma io non me ne preoccupavo troppo. Non volevo dare un senso a quei sogni, perché di fatto non ce l'avevano, e avrei così snaturato la bellezza e la magia dei sogni stessi. Quei sogni rappresentavano per me un'occasione per parlare con mia madre e trascorrere del tempo insieme. Era diventata una vera e propria necessità e non potevo più farne a meno.

Nel frattempo, qualcosa era cambiato intorno a me. Mio padre aveva cambiato il suo atteggiamento nei miei confronti. Appariva più affettuoso e gentile. Prima di andare a lavoro al mattino mi salutava e la sera le nostre cene era diventate via via sempre meno silenziose. Parlavamo di ciò che avevamo fatto durante la giornata e talvolta ridevamo. Ero molto contenta di quel suo cambiamento. Se non poteva riavere indietro mia madre, perlomeno adesso avevo ritrovato mio padre. Infondo, sapevo che il riavvicinamento di mio padre a me era avvenuto proprio grazie a mia madre che, in qualche modo, era intervenuta attraverso i nostri sogni. Lo dovevo proprio a lei.

La notte successiva, durante il sogno, mia madre mi chiese come andasse in università.
«Bene, dai...», dissi, tentennando.
Mia madre mi squadrò, dubbiosa. «Ne sei proprio sicura?»
Io annuii. «Sì, sono sicura che la mia laurea mi porterà a qualcosa.»
«Tu volevi studiare letteratura.»
Rimasi colpita da quella sua affermazione, così sincera e vera.
Fissai la mia tazza per alcuni secondi. «Lo so. Ma alla fine...»
«Hai scelto quello che voleva tuo padre per te.»
«Non era proprio quello che volevo dire.»
«Ma sai che è la verità», concluse.

Quando mi svegliai, ripensai a lungo a quelle sue parole. Era il subbio che mi aveva attanagliato fin dalla mia iscrizione al corso di laurea in economia. Che cosa stavo facendo esattamente? Avevo difficoltà a studiare e passare gli esami, proprio perché stavo frequentando un corso che non faceva proprio per me. Io amavo la letteratura, l'avevo sempre amata, ma avevo abbandonato la mia vera passione per rincorrere qualcosa che non mi piaceva affatto. O forse l'avevo fatto per non deludere mio padre...

Quel pomeriggio parlai un po' con Angela, durante una lezione in università. Volevo capire se stavo facendo la cosa giusta, oppure no.
Lei mi guardò con gli occhi sgranati.
«Stai dicendo che vorresti cambiare corso?»
Io sospirai. «No, non lo so nemmeno io in realtà. So solo che non è quello che mi piace davvero fare.»
«Dovresti pensarci bene, però. Non ti riconosceranno nessun esame, dovresti partire praticamente daccapo.»
«Lo so.»

Quella sera decisi di parlarne anche con mio padre. Sapevo che sarebbe stato del tutto inutile. Lui mi aveva sempre detto che economia era il corso giusto per chi desiderava trovare un buon lavoro, stabile e sicuro. La letteratura e le materie umanistiche non erano fruttuose o spendibili dal punto di vista lavorativo. Mentre mangiavamo delle fettine di pollo e guardava mola Tv, decisi di farmi coraggio.
«Papà, ti devo parlare di una cosa», esordii.
«Dimmi.»
«Ecco, io...», dissi ,titubante.
«Non sono più sicura di voler studiare economia. In realtà non ne sono mai stata sicura, sai che avrei voluto studiare altro.»
«Di nuovo con questa storia», disse lui, un po' scocciato.
«Se la vita è davvero solo una, perché devo perdere tempo a fare qualcosa che non fa per me?»
A quella domanda, lui non rispose. Nei suoi occhi lessi delusione e tristezza, ma se mi voleva davvero bene ero sicura che l'avrebbe capito. Quello che avevo detto era vero, e non potevo farci niente. Mi sarei ritirata dal corso di economia e l'anno successivo mi sarei iscritta a lettere. Nel frattempo avrei lavorato un po' e avrei messo da parte qualcosa per gli studi.
Quella notte andai a letto presto. Volevo incontrare mia madre e non vedevo l'ora di parlare con lei. Avevo deciso, stavolta l'avrei abbracciata e stretta a me. Avevo bisogno del suo affetto e di sentirla vicina a me. Inoltre le avrei detto che mi ero decisa a cambiare corso di laurea.

Mi svegliai. Dalla finestra della mia camera entrava un filo di luce. Non vedevo l'ora di incontrare mia madre e parlare con lei. Quel sogno però aveva qualcosa di strano e di diverso dagli altri che avevo fatto nelle sere precedenti. Sembrava ancora più vero del solito. Non sentii il tipico profumo di pancake nel corridoio di casa e, quando entrai in cucina, vidi mio padre che preparava la colazione. Mi guardai attorno, era tutto così reale. Ci scambiammo il buongiorno e mi salutò prima di uscire di casa. Io rimasi seduta sul tavolo, guardandomi ancora attorno. Uscii sul balcone, era tutto vero. Era mattina e non era un sogno.
Mia madre non era venuta a farmi visita.

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