Quel giorno

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Il mondo è particolare nella sua follia, a venticinque anni ho capito che avevo totalmente perso il controllo del mio corpo, non sentivo più il tatto, il gusto, gli odori, semplicemente non percepivo più nulla, le gambe si muovevano da sole, le braccia non si reggevano e facevo fatica ad alzarle, con gli occhi affossati e sempre sfocati, i suoni sempre più ovattati e rumorosi allo stesso tempo. Sì, ero malato, una malattia piuttosto comune chiamata "lavoro" per nulla retribuito e schiavizzato ai minimi termini. Lavoro in una pizzeria a Napoli, una di quelle anonime, una dal nome totalmente comune da essere irriconoscibile, una delle tante chiamate "Da Tonino", in una via con altre due pizzerie che si chiamavano anche loro "Da Tonazzi" e "Da Immacolata". Il tris dell'anonimato. Oggi abbiamo staccato prima a causa di un guasto al vecchio contatore. Così zuppo di sudore e accaldato come non mai, mi sono fiondato alla metro per tornare a casa, un auto era impossibile da mantenere con il mio pseudo stipendio. Saltato il tornello, tanto controllori non ci sono mai, mi dirigo subito verso il treno che porta a Piscinola. Sentendo il vento che arrivava da sotto sono scattato e tentando di non inciampare sulle scale sono andato a razzo, arrivato giù il treno inizia a fischiare davanti a me, così con un ultimo scatto mi sfondo quasi nella porta che si era già chiusa lasciandomi fuori. Così aspettai. E aspettai. Oggi il tabellone funzionava, riportava chiaramente "tra 7 minuti", così controllai l'ora, 20:37. E aspettai ancora, lì giù da solo il tempo sembrava infinito e così andavo avanti e indietro, indietro e avanti controllando più e più volte il tabellone, sempre sette minuti. Così per ammazzare il tempo presi il cellulare, ma ci ripensai immediatamente, lo schermo blu accecante mentre grondavo di sudore e la testa mi scoppiava non era il massimo. Aspettai allora e ricontrollai il tabellone, ancora sette minuti, infastidito controllai l'ora, 20:40, e allora controllai di nuovo il tabellone "tra 3 minuti", finalmente. Inutile dire che quei tre minuti passarono in un attimo. Lo stridio fastidioso della carrozza di ferro si faceva sempre più vicino, insieme alle folate di vento che inondavano il mio corpo. Aspettavo di fermasse sempre, così da andare alla porta più vicina, ma in questo caso si fermò davanti a me proprio in mezzo alle due carrozze, costringendomi a scegliere, per un attimo decisi di voler andare a sinistra, ma d'istinto ho cambiato idea procedendo in quella di destra. Appena entrato nel vagone silenzio, solo lo stridore del ferro del treno era permesso di parlare, così mi accasciai alla porta e chiusi gli occhi dalla stanchezza.
La voce che doveva chiamare le uscite diceva sempre la stessa cosa, "prossima uscita Frullone, Next stop Frullone, exit on the left" ad ogni singola fermata, così aprivo ogni tanto un occhio per capire dove mi trovano. Fu solo un attimo prima della mia fermata che vidi Maria che mi stava osservando insieme a una sua amica, era proprio lì seduta davanti a me e io non me ne ero accorto. Le porte si aprirono, mi salutò con una mezza mano, la salutai con lo stesso gesto imbranato, scesi dal treno e tutto finì lì.

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