Suona male, non è bello, non si capisce il senso, troppo complicato, troppe parentesi, troppi pochi punti, troppa allegoria, troppe similitudini, non va bene, no.
E rifai, e butta via un sacco di carta, strappa le pagine e cerca di capire pure tu a cosa stai pensando.
Gettare tutto è la solita prassi, solita insoddisfazione, solito tutto.
E' sempre la stessa strada ogni mattina: camera, cucina, camera, bagno, camera, fermata del pullman, Vedo i miei passi sorpassarmi ogni mattina, le mani gelarmi quando è inverno e tremarmi quando è inferno.
Il solito freddo penetrante, io stracoperta per evitare che mi si geli lo stomaco quando però fino a poco tempo fa avrei lasciato perdere pure questa fastidiosa sensazione.
E guardo in faccia sempre la solita me, davanti al solito specchio, e ancora una volta vivo, fumando il solito tabacco, la mia solita, stanca, vita.
E il problema non è lo svegliarsi tutte le mattine alle sei e puntualmente dimenticare qualcosa, di truccarmi, di prendere un libro, di togliere i pelucchi bianchi dalla felpa nera o di fare colazione, non è questo il problema.
E la cosa che mi diverte un sacco è che neanche io so dove sta lo sbaglio, e cos'è questa sensazione da cadavere che ho sulla pelle, non so il perchè mi dico ogni mattina che non vado bene quando che ne so io, magari vado benissimo.
Io non so perchè non so chi sono, e come mi devo vestire, e come e se devo parlare con la gente, e perchè faccio sempre gli stessi errori di valutazione, perchè mi lascio prendere in giro, perchè io non sono mai io ma qualcun altro.
E perchè così tanto spesso mi urlo contro che non ce la sto facendo?
Perchè non credo in me, nelle persone, in Dio? Dovrei pregare più spesso vero? Aprire la mia anima ad un altissimo e dirgli: ho peccato, però supplico salvami lo stesso, e accoglimi fra le tue braccia, scaldami con il vento d'estate tanto da farmi uscire nuda dalle mie quattro mura senza provare vergogna. Prendimi con te, getta il mio corpo nella spazzatura come io faccio con le mie parole, non mi importa.
E non voglio lacrime, non far scendere la pioggia se mai mi dovessi prendere per mano, non fare fulmini, anche se li amo, si, non devi fare rumore.
Il silenzio deve inondare i fili d'erba nei prati, regni sovrano sopra il mare, si espanda a macchia d'olio in tutto il pianeta.
Fammi andare via così, in un silenzio vuoto di lacrime e pieno di pace.
Ma domani mattina mi ritroverò ancora nel mio letto, non è così? Sarò svegliata dalla solita sveglia delle sei, sarò sorpassata dai miei piedi come ogni mattina, e vedrò le porte del pullman aprirsi davanti a me e io che non vedo l'ora di entrare per ripararmi dal freddo.
A cosa serve tutto questo vivere di orari scanditi e invariabili? Metro alle sette e venticinque, la mia compagna che arriva esattamente dieci minuti dopo, prima campanella alle otto meno tre, la seconda alle otto e sette, tutta colpa dell'orologio della scuola avanti di tre minuti, pochi, ma capita che facciano la differenza.
A cosa serve? Vivere, sopravvivere, lottare, per cosa poi? Per qualcosa per cui poi ne dovrebbe valere la pena, ma la vale davvero?No, morire non serve a niente.