Quel maledetto giorno

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Prima (e forse unica) parte

Kasumi si stiracchiò nel letto, lo sguardo vivace era già pronto per una nuova giornata. Indossò le ciabatte e corse a fare colazione, poi dritta in doccia e fuori con la bici diretta a scuola.

Si fermò all'incrocio a pochi metri da casa e aspettò spazientita battendo il piede rumorosamente. Guardò l'orologio.

«Già cinque minuti di ritardo!» disse seccata. Il buon umore con il quale si era alzata stava già svanendo, e tutto sempre per colpa sua.

Alzò lo sguardo e lo vide che pedalava pigramente verso di lei.

«Buongiorno» sbadigliò Takahiro.

«Sei sempre in ritardo, mi sono scocciata di aspettarti ogni volta!» urlò.

«Oh scema, ma che ti urli? Lo sai che odio quando urli con quella voce da oca!» la fulminò con lo sguardo. Era davvero insopportabile quando urlava di prima mattina.

Lei lo guardò offesa, montò in sella e sfrecciò via, Takahiro la inseguì inveendo contro il suo carattere permaloso la sua voce stridula.

La giornata passò senza altri litigi, e Kasumi dimenticò le parole antipatiche che le aveva rivolto Takahiro.

Kasumi era innamorata di lui da quando lo vide il primo giorno di scuole medie. Lui la considerava come una sorella, e lo dimostrava il fatto che le scompigliava spesso i capelli e la prendeva sempre in giro, almeno questo pensava Kasumi.

Le sue amiche le dicevano che i maschi si comportavano così quando erano innamorati; quindi quel giorno decise di confessargli il suo amore.

Prima di salutarsi, Kasumi lo fermò.

«Aspetta...» disse timidamente.

«Che c'è?» il tono sospettoso.

«Devo dirti una cosa importante» si tormentava le mani aggrovigliando le dita.

«Tutto bene?» chiese circospetto.

Kasumi si fece coraggio, chiuse gli occhi e urlò: «Tu mi piaci tanto Takahiro, dal primo giorno in cui ti ho visto entrare in classe, in ritardo, con la divisa sgualcita e in disordine. Non posso più tenere questo segreto, per questo motivo ho dovuto dirtelo!» disse tutto d'un fiato.

Di fronte allo sguardo sconvolto di Takahiro, Kasumi si affrettò ad aggiungere: «Però se tu non ricambi, a me va bene lo stesso, possiamo restare amici.»

Gli occhi di lui diventarono due fessure, si illuminarono lasciando intravedere un velo di lacrime tremolanti che coprivano le iridi marroni.

«Sei una stupida!» disse tagliente Takahiro, montando in sella alla bici, «Come puoi pensare che dopo quello che mi hai detto possiamo restare amici? Hai rovinato tutto!» le dava le spalle, si portò il braccio davanti agli occhi e li asciugò con rabbia. Si diede una spinta e sfrecciò via, lasciando Kasumi interdetta e sull'orlo del pianto. 

Da quel giorno Kasumi e Takahiro non si parlarono più. Si ignoravano reciprocamente: Kasumi troppo arrabbiata per poter anche solo rivolgergli uno sguardo e Takahiro...

Le scuole medie finirono presto e anche le scuole superiori. Kasumi a volte si chiedeva ancora che cosa avesse fatto così tanto arrabbiare Takahiro; perché le aveva dato della stupida? Cosa aveva fatto di male? Gli rivolgeva un pensiero nei momenti più impensabili: mentre aspettava il treno, quando camminava affannata per le strade di Tokyo, mentre cucinava. Ogni giorno, da quel maledetto giorno, riservava qualche minuto chiedendosi cosa fosse andato storto, rimuginando sulle parole di Takahiro.

Takahiro, da quel maledetto giorno, si tormentava per come aveva reagito alla confessione di Kasumi. Perché si era comportato così? Non provava forse la stessa cosa? Sì che lo provava! E allora perché era corso via arrabbiato e con le lacrime agli occhi? Non voleva che finisse. Non voleva che il loro rapporto finisse, la sua coscienza infantile gli suggerì di finirla lui ancor prima d'incominciare. Ma perché si era arrabbiato? Perché Kasumi aveva messo fine alla loro amicizia, e questo non riusciva a perdonarglielo... o forse aveva paura che lei non lo perdonasse. Si era pentito nel momento stesso in cui le aveva urlato contro quelle parole, ma era troppo orgoglioso per tornare indietro a dirglielo.

Kasumi guardava fuori dal finestrino del treno, lo sguardo perso e gli occhi semi chiusi, la stanchezza iniziò a farsi sentire dopo una giornata all'università. Sentiva i passi leggeri dei passeggeri che salivano e scendevano, poi altri più pesanti e decisi. Un paio di scarpe nere si fermarono proprio nel posto davanti al suo.

«Posso?» la voce di Takahiro la destarono dai suoi pensieri, improvvisamente tutta la stanchezza svanì. Lei annuì, gli occhi nocciola fissi su di lui. Non era arrabbiata, era sorpresa e... felice di vederlo. Takahiro lesse il suo sguardo e sorrise leggermente.

Si accomodò, i suoi occhi erano timorosi, le prese le mani sottili e le tenne tra le sue per qualche secondo, poi alzò lo sguardo e disse: «Ti prego, perdonami.»

Il cielo fuori era cosparso di nuvole lisce e setose dipinte di viola e sfumate di rosa, il sole che ormai stava svanendo dietro ai grattacieli di Tokyo, era una mezza sfera arancione che salutava, finalmente, la fine di quel maledetto giorno. 

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