Dispetto

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» "Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it"
» Prompt: Dispetto
» N° parole: 1020


Il sole stava per sorgere, era una mattina invernale, si sentiva l'umidità entrare dalle finestre sin sotto le coperte. Ogni mattina è perfetta, secondo Demis, per ricominciare, per provare a vivere davvero, per scansarsi di dosso quella malinconia che lo attanaglia. Per questo si alza sempre di buon umore e col sorrido.

Scende in cucina e parla, ancora prima di prendere il caffè intavola conversazioni banali con ogni membro della famiglia che, puntualmente, gli fa cenno con la testa o risponde "uhm" quando gli va bene. Questa mattina non è diverso, avrebbe tutti i motivi del mondo per restarsene accoccolato sotto le coperte calde, per non uscire dalla sua stanza. Ma Demis è fin troppo ottimista e, anche quel sei novembre uggioso, prende la decisione di alzarsi, guardare fuori dalla finestra ed indossare il più bel sorriso che ha.

Leggeri raggi di sole illuminano le tapparelle chiuse a metà della sua camera e lui si sofferma ad osservare la polvere che sembra danzare nella luce, affascinato sorride ancora, stavolta un po' più convinto. Solleva tutta la persiana e lascia che il poco calore proveniente dai quei fasci di luce appena nati gli illuminino il volto. Basta poco, a Demis, per svegliarsi di buon umore. Per concludere il suo rito mattutino indossa una cuffia e fa partire il suo album preferito. Mentre ascolta la musica si inizia a dar da fare: sistema i vestiti lasciati sulla sedia la sera prima, controlla le nuove email e legge gli articoli del giorno. Poco dopo la conclusione dell'ultima canzone, si mette davanti allo specchio. Si posiziona lì, ancora in abiti da notte, e si guarda attentamente. Il buon umore un po' cala, si sorride allo specchio, ma è un sorriso spento, quasi di rassegnazione. Quasi a voler dire "questo sono io, non posso farci niente". Si osserva nella superficie dello specchio, si sofferma su alcuni particolari che vorrebbe cambiare e indugia un po' più di più sulle gambe, lunghe e fin troppo storte. Fa un ultimo mezzo sorriso e, come ogni mattina, copre lo specchio con un telo nero. Si allontana e si affaccia alla finestra per ritrovare la giusta carica. Fuori la gente inizia a passeggiare, guardando il marciapiede sotto le loro scarpe, non degnandosi di un saluto, di un "salve" o "buona giornata"; eppure Demis e la sua famiglia vivono in un piccolo paesino, si conoscono tutti ma, tutti, sono sempre di cattivo umore.

Si decide finalmente a scendere al piano di sotto, dove potrà avere la sua prima dose di caffeina. Quel sei Novembre è silenzioso, decide di non rivolgere la parola al fratello maggiore né alla madre che è troppo indaffarata per pensare a lui. L'aria è pesante, irrespirabile. Si sente un miscuglio di malinconia e disprezzo misto a tristezza profonda. Gli stati d'animo dei presenti in cucina non devono essere tanto diversi dal suo.

Comunque procede silenziosamente verso la macchinetta del caffè e l'aziona, si deve decidere a parlare, deve capire cosa dovrà fare oggi. Bevendo sorso a sorso guarda la madre ed esitante si schiarisce la gola.

«Mamma»

«Uhm» fa lei seccata

«Oggi devo andare a scuola?»

«E perché mai non dovresti andarci?» inizia con aria ironica.

Demis odia quel tono, fa un sospiro profondo e riprende a parlare <<Non... ecco, mi chiedevo se andassimo al cimitero>>

Silenzio di tomba come se, al cimitero, ce li avesse portati con quelle parole.

«No, ci vado io, voi andate a scuola. E non voglio sentire "ma"» aggiunge vedendo che Demis era pronto a ribattere a tono.

Non si discute, si va a scuola. Merda. Demis voleva tanto andare a trovare suo padre, proprio quel giorno fa un anno dalla sua scomparsa e lui deve andare a scuola, ridicolo. Se teniamo conto che la madre l'ha fatto assentare da scuola solo il giorno del funerale l'anno prima, c'era da aspettarselo. Ma Demis non smette mai di sperare.

Finisce il suo caffè, torna in camera ed una volta pronto esce di casa sbattendo le porte. A scuola non c'è nessun motivo per essere allegri. Frequenta il quarto liceo, è uno di quei ragazzi presi di mira continuamente.

Entra dal portone principale con la sua andatura molleggiante, giù alcuni ragazzi lo apostrofano accostandolo alla terribile morte del padre. Lui si gira verso di loro e sorride, come sorriderebbe a chiunque.

Arriva in classe ed è costretto a farsi strada per raggiungere il suo banco, un gruppetto si è raccolto davanti ad esso e non lo lascia passare. Una volta spinti via tutti, capisce il motivo per cui erano fermi lì. Sul banco disegnato col pennarello indelebile c'è un teschio disegnato, sopra di esso una foto sua e di suo padre attaccata con lo scotch, e sulla foto una scritta: "dispettino ragazzino, vuoi raggiungere il tuo paparino?"

Arrabbiato come non mai esce dall'aula. Trova lo stesso disegno sull'armadietto nei corridoi e sulle porte del bagno dei maschi. Decide di andarsene. Andrà solo al cimitero, salterà scuola e andrà a trovare suo padre. Sperando di non incontrare la mamma sul tragitto si mette in marcia. Una volta raggiunto il luogo della sepoltura cade in ginocchio davanti alla lapide. Si concede un pianto disperato. Lacrime che non uscivano ormai da un anno. Lacrime che tanto aveva trattenuto e celato.

Passa mezz'ora seduto accanto alla tomba, singhiozzando. Sfogatosi del tutto accarezza la lapide, si alza se ne va.

"Vuoi raggiungere il tuo paparino?", la frase gli rimbomba in testa. Ma lui è più forte. Più forte di qualsiasi bullo e di qualsiasi pensiero distruttivo gli passi per la mente. Ma, in quel preciso istante, forte non ci si sente per niente. L'unico pensiero è davvero quello di raggiungere il padre. E allora decide di chiedere aiuto, perché lui non vuole morire. Non vuole fare la fine del padre, suicidatosi nello studio di casa. Lui combatte, lui reagisce. Lui vuole essere salvato. Perché sa che il sorriso che indossa ogni mattina, è solo una maschera.

Dispetto: "Atteggiamento di superiorità sdegnosa o di ostentata noncuranza verso persone o cose [...] azione che si faccia nonostante che altri non voglia o cerchi d'impedirla o se n'abbia a male" – Vocabolario Treccani

Writober, un mese di scritturaWhere stories live. Discover now