Capitolo Secondo

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Il pavimento di granito sotto di me dà l'impressione di essere sul punto di spezzarsi: troppe crepe marmoree

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Il pavimento di granito sotto di me dà l'impressione di essere sul punto di spezzarsi: troppe crepe marmoree. Mi guardano dal basso con aria irrisoria, quasi minacciassero di inghiottirmi.

Alzo lo sguardo, consapevole di avere l'aria assente, e cerco di stamparmi un sorriso sul volto.
Sento la figura di mio padre agitarsi tanto quanto la mia, al mio fianco, e gli tocco con le dita il giaccone, cercando di riportarlo alla realtà.

È sempre stato lui quello razionale tra noi, dominato da un pragmatismo puntiglioso, e questo suo timore sembra quasi tramortirmi. Tuttavia, cerco di non badare a questa novità, mi faccio solo più vicina.

L'usciere tenta di non soffermarsi su di noi, appostati strategicamente a fianco all'ingresso in ottone del Grand Hotel, ma di certo non deve essere un'impresa semplice vista la quantità di volte in cui stavamo per entrare ma abbiamo rinunciato all'ultimo passo.

«Lila», solo questo: non esce nulla di più di uno sbuffo di gelo dalle labbra di Richard, eppure quel nome rievoca in me ricordi al sapore delle peonie di mamma e dei drappi elaborati della sua mantella, quella che metteva solo nelle occasioni importanti.

Lila, lei mi chiamava così quando voleva che tornassi a giocare nei corridoi e uscissi di fretta dal suo studio; mi chiamava così quando voleva che corressi a vedere con lei come erano germogliati i fiori in veranda e mi ha chiamato così prima di diventare solo un ricordo opalescente nella mente di tutti.

Vorrei avere ora la sua mantella e stringere i suoi drappi verdi addosso con forza, coprire un po' papà, proteggerlo dalla tormenta che ha dentro.

Non riesco a fare niente, le mie intenzioni vagano immateriali su un tappeto di paure.

Papà stringe la manica della giacca con tenacia, sa anche lui che non possiamo continuare a fare le belle statuine qui davanti come se questo potesse evitarci l'incontro imminente.

Però lui così, tutto bagnato perché non mi ha voluto credere quando gli ho detto che sentivo odore di pioggia e dovevamo prendere l'ombrello, mi fa quasi compassione.

«Ci sei?»

«Hm.»

Mi lascia spazio per assaporare il silenzio, per sentirne il peso.

«Ora sei pronta?»

«Sì», mento.

Superiamo dunque l'ingresso, entrando in una hall ampia e di lusso, con marmi rosati e colonne lattee, alte e imponenti, che accompagnano lo sguardo lungo un'ala della stanza con divanetti di velluto e piante - penso siano delle palme - ai lati di ognuno di esso.
Un fogliame dorato si attorciglia lungo gli angoli delle pareti, in motivi contorti e che occludono lo sguardo.
In fondo, una reception.

È lì che ci dirigiamo con passo deciso, schivando un facchino che carica delle grandi valigie su di un montacarichi, mentre signori e signore di tutte le età camminano con classe e spontaneità per i corridoi a perdita d'occhio, quasi fosse tutta una coordinazione congenita dell'alta società.

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