Capitolo Sesto

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Anche se non ci ho mai messo piede, conosco ogni angolo dell'immobile sulla Madison che ospita, questa sera, l'inaugurazione più attesa - e inattesa, visto il poco preavviso - del mese

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Anche se non ci ho mai messo piede, conosco ogni angolo dell'immobile sulla Madison che ospita, questa sera, l'inaugurazione più attesa - e inattesa, visto il poco preavviso - del mese.
Ho studiato questo edificio per mesi. Passando davanti casualmente per tornare a casa; attraverso il finestrino di un taxi, ma soprattutto con Claude, nel suo ufficio, osservando con cura maniacale i piani di innovazione che vorrebbe apportare alla sede della Harvey Foundation, se solo ascendesse ai vertici.

«Il tempo è giunto», mi ripete sempre quando finiamo di parlarne, talvolta con tono frustrato, insofferente.

So quanto mettere le mani sul trono vuoto della HF, amalgamandola al suo Impero delle telecomunicazioni, la Horizon Universal, contribuirebbe a soddisfare le sue ambizioni più profonde. Lo so benissimo.
E so quanto si meriterebbe questa possibilità, perché non c'è nessuno più qualificato di Claude Montgomery per dirigere l'eredità artistica moderna che è la Fondazione.

Ma in questo momento, dinnanzi all'imponente edificio che ha stregato il mio patrigno più di qualsiasi altra cosa, sento di essermi sempre illuso di saperne qualcosa, ma la magnificenza che mi brilla dinnanzi non avrei mai potuto prevederla.
Parte della sorpresa è sicuramente scaturita dal fatto che è il primo evento a cui partecipo, al fianco di Claude.

Cerco di far finta di sapere ciò che faccio, camminando in modo discreto ma deciso, come mi ha insegnato lui.
Circondati da quattro guardie - bestioni alti due metri in giacca e cravatta - scendiamo dall'auto che ci ha accompagnati fin qui, senza che nessuno dica una parola.

L'aria gelida di dicembre trapassa il mio completo nero Oscar de la Renta, facendomi rabbrividire, ma cerco di apparire imperturbabile come il mio mentore.
Superiamo l'entrata tra i flash stordenti della folla; giornalisti affamati di pettegolezzi cercano di attirare la nostra attenzione, ma il rumore si stempera appena facciamo il nostro ingresso nel salone principale della HF Foundation.

Uno scalone di nudo marmo bianco si snoda in due mancorrenti, creando col soffitto a volta una forma a cuore, sorretta da colonne color tortora disposte ai lati della struttura.
L'illuminazione soffusa crea una strana calma, malgrado tutta quella gente, ma piccoli fari dai colori violacei puntano i loro getti di luce sulle istallazioni artistiche - posso contarne quattro in totale - agli angoli della sala: quello più vicino a me è composto da due pittori, piegati con concentrazione sulle loro tele, l'uno di fronte all'altro.

La luce illumina i loro pennelli che scorrono sulla tela, su cui prendono forma i contorni della sala a specchio: l'uno raffigura l'altro in un dipingere perpetuo, incuranti delle persone che passeggiano accanto.

Non ho il tempo di soffermarmi sulle altre installazioni, perché vengo distratto, alzando gli occhi in su. Dal soffitto pendono corolle di glicini in fiore, blu notte, tra cui brillano luci piccole come punte di spillo, ma così tante da sembrare che l'intera area sia stata intarsiata nella volta celeste più buia.

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