if we had five more minutes

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"Breathe the air again, it's a beautiful day
I wish this moment would stay with the Earth
some primal paradise, but there you go again, saying everything ends
saying you can't depend on anything, or anyone
if the end of the world was near
where would you choose to be?
if there was five more minutes of air
would you panic and hide
or run for your life
or stand here and spend it with me
If we had five more minutes would I, could I, make you happy?
and we would live again in the simplest of ways
living day after day like some primal animals
we would love again, under glorious suns
with the freedom that comes with the truth
if the end of the world was near
where would you choose to be?
if there was five more minutes of air
would you panic and hide?
or run for your life?
or stand here and spend it with me?
If we had five more minutes would I, could I, make you happy?
so it finally came to pass
I saw the end of the world
saw the madness unfold like
some primal burial and I looked back upon
armageddon
and the moment of truth between you and me
if we had five more minutes of air to breathe
and we cried all through it, but you spent them with me on our last few drags of air we agree
I was and you were happy"

Le stelle innamorate di loro, li osservavano con le dita intrecciate creare futuri che non si sarebbero mai goduto il tepore del sole date le circostanze sfavorevoli.
"Quando starò meglio faremo un viaggio, lontano, non voglio più vedere nemmeno l'ombra di questo posto."
L'Asan Medical Center, un prestigioso ospedale a livello mondiale con vani confortevoli e personale piacevole in base alle offerte che potevi fornire alla struttura, gli stava stretto, una maglietta usurata inutilizzabile per il divario di taglie dovute alla crescita.
Le magliette di quando adorava sporcarsi le labbra con il latte non gli calzavano più, sceglierne di nuove era uno degli unici barlumi di giovinezza tra le sue attività giornaliere solitamente associate a quelle dei nonni nei parchi dove era solito trascorrere i pomeriggi soleggiati.
Quando udivi la frase "gioventù bruciata" non potevi evitare di associarla a lui, non perché avesse compiuto azioni rivoluzionarie, con lui la frase prendeva un significato letterale.
La sua era una "gioventù bruciata", bruciata dalla malattia che lo castigava in quelle lussuose stanze ospedaliere offerte dai suoi genitori seppelliti da burocrazia aziendale , bruciata dalle passioni soppresse e dagli attimi rubati.
Una canzone scritta troppo facilmente, una coppia destinata a non trovare pace tra le note di una canzone.
"Quando guarirai andremo dove vuoi. Andassimo a Parigi? È sempre stato il tuo sogno, no?"
Un cambio di scenografia, l'atmosfera resa romantica da bagliori emessi dalla torre principale della capitale francese, un'altra canzone con cui avrebbe piacevolmente iniziato una nuova danza.
Placide iridi scure rese spendenti con quelle poche sillabe, "Parigi", il sogno chiuso in un cassetto scheggiato di cui non trovava più la chiave.
"Vedo già i nostri nomi sul primo volo."
Le ginocchia le tremarono con riguardo, le quote elevate le contorcevano lo stomaco, ma le frenetiche farfalle, ormai residenti in esso, non le permisero di distinguere con certezza a cosa si riferisse il malessere.
"I tuoi non mi perdonerebbero mai, portarli via il loro unico figlio, il futuro signor Kim, capo dell'azienda Cort, una delle più proficue in tutta la Corea del Sud!"
Il tono canzonatorio, nell'esilarante tentativo di imitare il padre di Taehyung, il vero signor Kim, e le mani scosse da risate bisognose di un riscontro positivo che non tardarono a ricevere.
"L'hai copiato benissimo! Era proprio la sua voce, come hai fatto?"
Non gli avrebbe detto delle disperate chiamate di sua madre, puntuali a sere alterne, e del solenne timbro del padre negli immensi corridoi dell'edificio che tentava di rasserenarla con tiepide frasi ripetute come un disco rotto.
Il signor Kim non varcava nemmeno per errore l'entrata della stanza del figlio senza la moglie, non avrebbe retto la vista del figlio privo di ogni sottospecie di peluria, di speranza, non da solo, si limitava a sedersi sulle piastrelle bianche in prossimità della porta e si intratteneva a scaricare il telefono per le prolisse chiamate d'angoscia.
I lunghi capelli neri del ragazzo caduti come foglie in quell'autunno, ossatura sporgente negli spigoli del corpo e spesse sacche scure inferiori alle ciglia, l'ombra distorta di Kim Taehyung.
Gli scuri riflessi opacizzati da tormento si distolsero con in un vivace sfarfallio dal penoso prato all'esterno solo per guardarla, imprimersela nella mente.
Le corte ciocche di miele a contrasto con le sottostanti, di svariate tonalità più oscure, provando ad abbronzarsi alla luna gli baciavano gli occhi ogni sera lasciandolo riposare.
Le avrebbe donato il mondo, le aveva promesso che non l'avrebbe ristretta in quella monotona stanza ospedaliera, ma la buona sorte non gli era stata amica.
"Se fossimo vicini alla fine del mondo sarebbe quello il posto in cui vorresti essere?"
"Non so."
Le labbra screpolate, rilassate, ripresero fiato per poi trovare parole adatte.
"Parigi è il mio sogno, ma anche solamente uscire di qui mi basterebbe, se fossimo vicini alla fine del mondo non avrei più niente di cui temere. La fine arriverebbe prima del tumore, sarei contento di morire così e non per una malattia."
Morire insieme a qualcuno, questo era un suo desiderio, per quanto egoistico, ciò gli avrebbe sottratto la malinconia.
Arrancava nella sua solitudine, fin quando un braccio privo di flebo si avvinghiò al suo, se la fine del mondo fosse arrivata quella sera sarebbero morti così, uniti tra tubicini e lenzuola sterilizzate.
Lui però non si spense sotto a quel chiaro di luna, passarono settimane e non più arrancando sembrò riprendersi.
Era giunto il giorno in cui gli innamorati per le piazze si scambiano baci al sapore di cioccolato ed anche nella stanza 153 il romanticismo non mancava.
Un mazzo di rose candide come neve accostato a una scatola decorata con cuori dalle varie fantasie, sul comodino, portavano su scritto il nome "Taehyung".
Un cappello in lana venne afferrato bruscamente prima che la stanza venne abbandonata al silenzio.
"Chiudi gli occhi."
Gli schiamazzi dei bambini richiamati dai genitori preoccupati, le smielate frasi dette all'orecchio e i ritornelli delle canzoni in voga provenienti dai grandi negozi aumentarono di intensità quando serrò le palpebre stupito.
"Sono sicura che amerai questo posto."
Gli accenni di neve li piegarono le suole gentilmente attutendo ogni passo, mentre piccolo soffi li sfioravano le gote arrossate, fin quando la neve stancamente li fece frenare.
"Apri gli occhi!"
Una tenda para sole, quasi interamente avvolta in sé stessa, con su scritto in un elegante calligrafia "A L'Etoile d'Or" turbò il suo mediocre livello di francese, che si rasserenò leggendo "chocolaterie" poco più distante.
La struttura francese più celebre nel mondo edificata con cioccolato al latte e decorata con piccole puntine chiare, per simulare un impianto d'illuminazione, colmava la vetrina più spaziosa.
Accostato all'edilizia dolciaria, il ritratto in fotografia di un'anziana signora dal grande sorriso, gli spessi occhiali e il petto inarcato nel tentativo di mettere in evidenza una statua dal gusto evidentemente amaro li convinse a schiudere l'entrata.
Spesse cornici lignee con lo scopo di sorreggere le vetrate da cui avevano intravisto l'interno e varietà di golosità, in quantità sufficienti a donare gioia ad ogni singolo bambino di Seoul, li sommersero.
Le scatole in acciaio, colorate da caricature di gusto europeo, riportavano minute frasi zuccherate appiccicate l'una all'altra.
Una donna sulla soglia della mezza età, con gli stessi occhiali dell'anziana della vetrina, li salutò cortesemente.
"Scegli quello che vuoi."
La sciarpa porpora le ovattava la voce coprendole le sporgenti gengive visibili dal trattenuto sorriso.
"Anche tu, dimmi cosa vuoi, tanto mia madre mi ha lasciato dei soldi ieri."
Le palpebre ritratte e gli angoli dell'accessorio porpora mossi leggermente gli suggerirono di non proferir ulteriormente parola.
"Questo è il mio regalo per te, pago io."
Trascinando le suole umide sul pavimento, si avvicinò alle grandi strutture che lo avevano ammaliato e vedendo la cifra, a suo parere, esorbitante, che lei si era proposta di pagare, tentò a declinare l'offerta.
Solenne la risposta irremovibile lo indusse nuovamente alla sua principale fonte di ammirazione.
"Vorrei questa."
La scatola menzionata, di statura inferiore alle altre circostanti, racchiudeva una riduzione in scala della torre Effeil posta in vetrina.
"Mi scusi signora, vorrei prendere questa e quelle piccole cose rosse lì in vetrina."
"Queste con il cuore?"
Un piccolo esserino dagli sproporzionati stivali tondeggianti, il viso rotondeggiante sormontato da immensi chicchi di cioccolato bianco che gli donavano la vista e un buffo copricapo a punta, spolverato da brillantini rosati e cuori, ammiccava alla clientela in attesa di essere scelto.
"Si, me ne potrebbe dare due?"
"Certo signorina."
Con passi misurati la signora si scostò dal bancone mostrando interamente la sua figura.
Le lucide scarpe e la lunga gonna dal dubbio gusto si mossero in vicinanza dell'oggetto desiderato dal ragazzo fino a poi riavvolgersi nei loro stessi movimenti una volta afferrato.
"Sono 60000₩."
Il portafogli di lui provò a risalire dalle profonde tasche in cui era stato confinato per contribuire in minima parte alla spesa, ma ancor prima che ciò accadesse Taehyung si ritrovò con le scarpe avvolte dalla ormai sporca neve e una busta di carta risalente al periodo natalizio ormai sorpassato sta le dita arrossate dall'improvviso calo di temperatura.
Il cielo oscurato dalla prossima caduta del sole e le canzoni delle radio nei locali lo resero cosciente.
"Facciamo una passeggiata."
Una trafila metallica di anelli si sorresse al suo palmo trascinandolo in ogni angolo quieto della città.
Il grigiastro cappellino in lana gli scopriva lievemente la nuca spoglia di capigliatura, ciò lo avrebbe fatto fuggire verso il primo specchietto retrovisore, se non fosse stato per le fragorose risate che non gli diedero il tempo materiale di rassettarlo con cura.
Solo le immense, apparentemente prive di capolinea, vetrate ospedaliere gli spensero l'umore per un istante.
"Saliamo prima che il signor Kyung inizi il turno, non lo sopporto proprio a volte."
Un docile accenno di felicità si ripropose nel volto del ragazzo.
"Lo dici solo perché non gli sono piaciuti i tuoi biscotti e come dargli torto?"
Il volto sui toni del verde e i simulati conati di vomito affievoliti da delle spesse raggrinzite dita li ritornarono alla mente.
Un giovedì pomeriggio, del mese precedente, si era provata a cimentare nella pasticceria base, che sua madre si era proposta di insegnarle, sfortunatamente non era riuscita ottenere i risultati da lei sperati, ma ciò non le negò un'entrata trionfale nella stanza del suo ragazzo con una busta dalle esigue dimensioni contenente gli unici biscotti alle mandorle più vicini al modello propostole della madre.
Taehyung mangiò i mancati biscotti con finto gusto, non fece lo stesso il signor Kyung, che con iniziale entusiasmo gliene aveva chiesto uno.
La reazione di plateale disgusto gli assicurò, non solo un posto fisso come attore in teatro, ma anche l'ilarità del giovane paziente a cui era andato in visita e lo sconcerto della cuoca.
"Non erano così male!"
"Lo erano invece!"
Le porte dell'ascensore si spalancarono distogliendoli da quel battibecco.
Una volta raggiunto là dove era riposta la stanza 153, si curarono di non avere nessuno vicino.
"Grazie per oggi."
"È anche il nostro giorno in fin dei conti."
La sciarpa scomposta non le copriva più le parole.
"Ho sempre visto San Valentino solo come una festa commerciale, ma oggi mi sono sentito nuovamente leggero dopo tanto."
Le falangi raffreddate di lei, il suo "ti amo" sussurrato, la sua risposta identica e le loro labbra sfiorate tra loro furono le ultime sensazioni che Taehyung poté sentirsi sulla pelle, prima di cadere inerme al suolo.
Urla d'angoscia chiamarono un'infermiera pochi corridoi più distanti da loro.
Le lacrime le arsero le guance fino al mattino seguente, quando scoprì di esser rimasta sola.
I signori Kim non smisero di ringraziarla un attimo con parole mangiare dalle lacrime che solo chi ha perso un figlio può versare.
La struttura edilizia in cioccolato spezzata in piccoli frammenti pesava su un solo lato della scatola posta sulle gambe di lei, a cui il cioccolato non piaceva, non sapeva cosa farsene.
Il cielo dalla stanza 153 quel giorno era cupo, ma lei ci vide un bagliore, un sorriso familiare che la invitò a spalancare la larga finestra per passare anche solo cinque minuti in più con lui.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 11, 2021 ⏰

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