Le fiamme verdi

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Ero stato svegliato poco fa da Fay, la mia volpe bianca che era entrata nella tenda e mi aveva leccato il viso. Lo faceva ogni mattina, per ricordarmi che dovevo andare a pescare al lago. Così mi alzai dalla branda, mi misi una maglia di lana di yak e sopra il cappotto con spallini in pelliccia di lepre. Poi presi la rete, l'arpione e la lenza. Uscii dalla tenda e raccolsi un po' di neve tra le mani. La misi in faccia e strofinai. Era gelata ma continuai, per svegliarmi del tutto e per pulirmi. Guardai in alto: il cielo era del tutto scuro, tranne per le piccole stelle che punteggiavano il nero. Mamma diceva che le stelle erano gli spiriti dei grandi capi. La luna, a ovest era piena e illuminava il muso di Fay che mi guardava con i suoi grandi occhi azzurri. Percorsi il sentiero che si apriva tra le tende e arrivai fino a quella di Cikuq, il guardiano degli yak. Entrai e lo trovai seduto accanto al fuoco nel centro della tenda, come tutte le mattine. "Salve Cikuq" dissi. "Iluk, ti stavo aspettando. Ti preparo lo yak?" Cikuq era un uomo molto generoso e ogni mattina mi aiutava a sellare lo yak per andare al lago. "Si, grazie. Sento odore di acciughe salate... ne hai qualcuna per me e per Fay?" Chiesi. Lui annuì col capo e mi passò la ciotola che conteneva i pesciolini. Ne presi una manciata e ringraziai. Ne diedi una alla volpe, la quale mangiò con gusto. Dopodiché uscimmo dalla tenda e andammo verso il retro, dove erano legati i bovini. Il mio si chiamava Miki, era uno dei più giovani ma era già molto grosso. Quindi caricai lo yak di borse in pelle che contenevano le esche e le alici che mi aveva dato Cikuq, infilai l'arpione in una cinghia apposita e legai rete e lenza sul fianco destro dell'animale. Dissi a Fay di rimanere con il guardiano degli yak fino a quando non sarei tornato. La volpe capì subito, dato che rimaneva all'accampamento tutte le mattine, quindi ubbidì. Cikuq mi aiutò a salire sulla schiena di Miki e gli diede una pacca, per farlo partire. Ci salutammo mentre mi allontanavo verso ovest. Lo yak correva sul terreno innevato. Era neve fresca, della tempesta di neve del giorno prima. Era stata quella bufera che aveva segnato l'inizio dell'inverno. Gli zoccoli di Miki calpestavano il soffice tappeto candido e la neve scricchiolava sotto di essi. Arrivammo al lago una mezz'oretta dopo. Noi chiamavamo quel posto "Lago della Memoria" in riferimento ad un'antica leggenda: i nostri antenati erano sbarcati su queste terre dopo aver attraversato il Grande Mare. Il popolo viveva felice, il pesce abbondava, le donne erano fertili, ma un fatidico giorno, gli uomini più forti andarono a cacciare nei boschi intorno al lago. Ma i lupi erano in agguato. Gli uomini si erano divisi per cercare più in fretta, ma le belve li uccisero uno a uno, silenziosamente. Aprirono loro le gole soffocando ogni disperato tentativo di gridare aiuto.

Il Lago della Memoria non era molto grande, ed era alimentato da una piccola cascatella che di lì a qualche giorno si sarebbe ghiacciata. Era situato ai piedi di una montagna e circondato da un bosco. Smontai da Miki e mi diressi al lago, mentre lo yak pascolava. Mi sedetti su una roccia, misi la rete in acqua legandola ad una sporgenza e vi inserii le esche. Poi infilzai un vermiciattolo sull'amo della lenza e la misi nel lago. L'arpione era a portata di mano. Aspettai. Passò un'ora e mezza e i primi bagliori diurni si facevano strada oltre le montagne d'oriente, quindi mi preparai ad andare. Con la lenza non avevo preso niente, tranne un paio di pesciolini che decisi che avrei dato a Fay. Mi apprestai a levare la rete dal lago ma prima di farlo vidi, oltre le increspature dell'acqua, una macchia di colore rosa che brillava nell'oscurità di quel mattino. Quindi tirai su la rete, ma mi accorsi che era troppo pesante per me. Quindi con un debole fischio chiamai Miki, che arrivò subito. Legai le estremità della rete alle corna dello yak e lui tirò verso di se. Io lo aiutavo come potevo, e quando riuscimmo a tirarla fuori non potevo credere ai miei occhi. Il mio bottino era una rete da pesca piena di gamberi-stella, una specie leggendaria che si diceva abitassero solamente i punti più profondi del Grande Mare. La loro luce rosa illuminava la neve e faceva risplendere gli occhi di Miki come se fossero pietre preziose. Ringraziai il dio dei gamberi e delle acque, Rapu, come facevo ogni volta, ma quella mattina decisi di fare in suo onore una pira, quindi presi tutti i rami secchi che riuscii a trovare, spostai la neve da una parte del terreno e vi appoggiai la legna. Poi con una pietra focaia accesi la pira, ma nell'istante in cui la scintilla toccò i rami, una colonna di fiamme verdi si fece strada nel cielo, per poi mutarsi in un piccolo falò di vampe color smeraldo. Il fumo che esso emanava era dello stesso colore del fuoco, e piano piano iniziò a prendere la forma di un uomo, ma con le mani e i piedi palmati. Poi notai anche che il corpo era coperto di piccole squame e la testa era completamente calva. Non capivo, il tutto era talmente strano che pensavo che stessi sognando. L'aria era calda, lì intorno al fuoco. Ma l'atmosfera era sinistra, da una parte il flebile bagliore roseo dei gamberi-stella, dall'altra la luce delle lingue di fuoco color dei prati e verso est il chiarore dell'alba di mille sfumature. Ma c'era anche un' altra luminosa presenza: l'aurora. Era dello stesso colore delle fiamme, come se la loro luce arrivasse fino al cielo e lo illuminasse. E fu così che l'essere creato dal fumo parlò.

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