In viaggio

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Era ormai mezzodì e stavo attraversando senza sosta la pianura che divideva le Montagne del Sole dal mio villaggio. Il cuore batteva forte, come uno scrigno animato che aveva voglia di aprirsi, ma era racchiuso da catene di paura. E in effetti c'era la paura, essa mi invadeva le membra e impegnava le ossa. Il timore della vita e di ciò che mi sarebbe successo non veniva smorzato dal vento che soffiava freddo, ma il morbido tepore del pallido sole mi infondeva coraggio. Le montagne si vedevano in lontananza. Sovrastavano il mondo e, sotto di loro, si intravedeva una macchia scura, probabilmente una foresta.
Dopo un'altra ora di viaggio dovetti fermarmi per orinare. Inoltre trovai una spaccatura nel terreno che creava un piccolo riparo dal vento. Decisi di fermarmi lì per mangiare. Tirai fuori dalle borse legate a Miki la carne secca, una borraccia d'acqua e un po' di formaggio. Io e la mia piccola volpe mangiammo quello, mentre lo yak pascolava nei punti in cui la neve non aveva ancora coperto e ghiacciato quei prati che nelle mattine di piena estate brillavano di leggera rugiada. Decisi però di non mangiare troppo: non sapevo quanto tempo ci avrei messo per trovare l'oracolo e se il cibo mi sarebbe bastato. Miki era stanco: aveva corso quasi senza sosta per tutta la mattina, e ora si era addormentato. Così, preso l'arpione dal fodero legato al fianco dello yak, tornai nella stretta crepa del terreno. Lì trovai un sasso e incominciai ad affilare l'arma, per far passare il tempo. Mi addormentai. Il sole era già basso quando fui svegliato dal rumore di una slitta che frenava a qualche passo dal mio riparo. Raccolsi l'arpione e balzai fuori, puntandolo verso le due figure che scesero dalla slitta. Erano un uomo, magro e non molto alto, capelli del colore delle castagne e lunghi fino alle spalle. Ma ciò che mi colpiva di più era il suo volto: scarno, occhi grigi e spenti, il naso adunco e un espressione desolata e impotente. La sua accompagnatrice era una bambina sui dodici anni, probabilmente sua figlia. Lei era totalmente diversa dall'uomo: il naso piccolo e leggermente all'insù, occhi grandi, blu come l'acqua del mare e curiosi ma spaventati. Capii che non erano una minaccia, anche perché notai che non portavano armi. Abbassai l'arpione e dissi "Salve, mi chiamo Iluk". L'uomo mi guardava spaesato "Il mio nome è Drai, e lei è mia figlia Lena" esclamò, indicando la bambina. A quel punto ero sempre più incuriosito: "Come mai vi siete fermati? Avete bisogno di qualcosa? Dovete riposare?". Lena si avvicinò a Drai e lo strinse. Quindi lui disse "Abbiamo visto quello yak morto e vari pacchetti in giro e pensavamo fosse successo qualcosa". Mi girai e mi accorsi che Miki stava ancoira dormendo. Scoppiai in una fragorosa risata. "No, Miki non è morto, sta solo riposando!". Allora anche la ragazzina si mise a ridere. Ormai la sera stava calando, e l'incendio del tramonto proiettava lunghe ombre del mio corpo e di quelli di Lena e di Drai. Li invitai quindi nel mio piccolo buco per ripararsi durante la notte e offrii loro un po' della mia carne secca. Poi dormimmo, stretti l'uno all'altro per darci calore in quella notte gelida. Ma ero sempre e comunque all'erta: non potevo fidarmi ciecamente di loro. Lena era una bambina, innocente, ma di suo padre non mi fidavo. Drai russava profondamente. E proprio dal suo russare fui svegliato nel cuore della notte. Non riuscendo più a prendere sonno, decisi di uscire dal piccolo riparo, facendo attenzione a non svegliare i miei ospiti. Le stelle sopra di me sorvegliavano il mondo, come guardiani, e con loro mi sentivo al sicuro. Miki dormiva, tenendo al caldo la piccola volpe Fay, accoccolata tra i ciuffi del folto pelo dello yak. Poco distante, dormivano anche i due magri lupi che trainavano la slitta di Drai e Lena. Avevo fame. Ma non potevo mangiare. Le mie provvista ora sarebbero dovute bastare per tre, senza contare gli animali. La preoccupazione cresceva con la fame, come se entrambe stessero correndo, mano nella mano, e la loro velocità crescesse sempre di più. Il vento continuava a volare sulla terra, ma non avevo freddo: i vari strati di pelliccia che indossavo mi facevano sentire solo un leggero brivido. Non era lo stesso per Lena, che continuava a tremare e a cercare di accovacciarsi sempre più vicina al padre. Decisi di metterle un'altra pelliccia, quindi me ne levai una e la posi sul piccolo corpo della ragazza. Tornai a dormire. Quella notte sognai un enorme palazzo esagonale, che si stagliava sopra tutte le case in una città nel cuore di un paesaggio popolato da colline di polvere gialla, quasi arancione. L'edificio esagonale era azzurro scuro ed era sovrastato da un'immensa cupola di vetro. Le sue pareti erano ornate da finestre dai bordi dorati e il portone d'avorio candido era intagliato in modo da raffigurare la mappa di tutto il mondo. I giardini di quel magnifico palazzo vantavano di tutti i tipi di piante, nonostante l'ambiente fosse estremamente torrido. Tutti quegli alberi, quei fiori, sembravano non soffrire il caldo, e sembravano conservarsi, come se fossero incantati. Il sole splendeva nel cielo. L'eburneo portone si aprì. E io mi risvegliai dal sonno.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 11, 2015 ⏰

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