XIV. Got It In You

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Una mattina delle tante, dopo una notte delle tante, nelle quali Althea scandisce e plasma il suo dolore ad immagine e somiglianza del volto di Daniel e del male che gli ha inflitto, si ritrova costretta a frequentare di nuovo la clinica

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Una mattina delle tante, dopo una notte delle tante, nelle quali Althea scandisce e plasma il suo dolore ad immagine e somiglianza del volto di Daniel e del male che gli ha inflitto, si ritrova costretta a frequentare di nuovo la clinica.

Tempo prima, aveva detto a Raul di volersi fermare, di non avere più la forza né la voglia di alzarsi dal letto la mattina con uno scopo preciso. Desiderava nient'altro che viversi come un vuoto a perdere, niente di più, niente di meno.

Inizialmente il fisioterapista aveva insistito nel persuaderla, per il puro affetto che dopo tutti quei mesi di lavoro ha maturato verso di lei, perché seppure abbia vissuto la sua vita per un'ora ogni ventiquattro di immensi giorni, da personaggio secondario, neppure lui ha mai accettato di vedere la sua clessidra esaurirsi.

Lei però, era stata irremovibile, con il suo tono scolpito nel marmo che pareva essere stato fuso come l'oro, per scivolare via incandescente lungo le proprie pareti di pietra.

La verità è che voleva lasciare a Daniel del tempo per odiarla in silenzio, di farlo in pace, senza tormenti. Non voleva altro, se non che i tratti del suo volto sparissero lentamente dalla sua memoria, giorno dopo giorno, alterandosi ad ogni battito di ciglia fino a diventare qualcosa di opaco, sbiadito, per cui non vale più la pena di spremere le meningi.

Lo conosce oramai, come le falangi torturate delle proprie dita. Ogni graffio è una porta che necessita del tempo perché la chiave giri all'interno della serratura, perché la chiuda per sempre.

E se lei si fosse presentata lì ogni giorno, probabilmente si sarebbero seduti lontani mille Universi, ma poi si sarebbero guardati, e sarebbe andato tutto in fumo.

Poiché non esiste pericolo più grande di perdersi nel dolore del proprio amore, specialmente se specchiato nelle iridi della persona amata. È come affogare nel catrame, percepirne la densità mentre sgorga lungo la trachea, riempie i polmoni, ottura il cuore.

Quello di Daniel, dalle arterie già eccessivamente ostruite dalla sua presenza, sarebbe stato indomito caos, figlio della guerra tra angeli e demoni che l'amore è in grado di scatenare. Avrebbe caduto, e avrebbe abbandonato il suo sguardo per primo.

La sua assenza forse è fatta anche di paure, talmente tante che non le basterebbe mettere insieme tutte le dita delle mani, dei piedi, tutti gli elettroni che orbitano attorno agli atomi del suo corpo. La più grande rimaneva la stessa però, quella di strappare via i fogli che segnano una data alla sua fine una volta incontrati i suoi occhi.

Adesso però, che le sue gambe sono gonfie e le vene spezzate e risaltanti su di esse chiedono pietà, non ha potuto fare a meno dell'intervento del giovane uomo dal camice bianco e il ciuffo da galletto. Per cui, il cigolio delle sue ruote risuona come un eco dolorosamente familiare lungo le pareti della clinica.

Non appena giunge in prossimità della sala d'attesa, si accorge immediatamente che il corpo che occupa la sua solita sedia non è il suo. Non è il numero delle sue scarpe in cui sono incastonati i passi di cui riconoscerebbe il rumore tra mille. Non sono i colori accesi dei suoi calzini, i bordi arrotolati alla bell'e meglio dei suoi jeans.

DOVE SI INFRANGONO LE STELLE - 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐢𝐚𝐫𝐝𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora