L'interrogatorio

116 6 4
                                    

La stanza per gli interrogatori puzzava di chiuso. Raquel avrebbe voluto coprirsi il naso e la bocca con la mano ma le sue braccia erano immobilizzate dietro la schiena con i polsi intrappolati nelle manette.

Erano sottoterra e non c'erano finestre, al centro della sala quadrata solo un tavolo e due sedie.

La guardia, un uomo alto e massiccio, non le aveva rivolto parola per tutto il tragitto dalla cella fino ai sotterranei. La mise sulla sedia e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

Raquel aveva paura. Era un'ispettrice della polizia e sapeva benissimo che gli interrogatori in quella centrale non seguivano certo le linee guida previste dalle convenzioni umanitarie.

L'attesa era terribile, il silenzio quasi doloroso. Quelle pareti non lasciavano entrare nessun suono dall'esterno.

Poi, dopo quelle che sembrarono ore ma forse furono solo pochi minuti, la porta si aprì. Raquel sentì un rumore alle sue spalle.

Ecco. Ci siamo.

I passi si avvicinarono sempre di più fino a quando nel suo campo visivo non apparve l'ispettore che l'avrebbe interrogata. O meglio, l'ispettrice.

Raquel sentì il suo cuore battere più forte e per qualche secondo le sembrò di non riuscire a respirare. Alicia Sierra. Le avevano mandato Alicia Sierra. La più stronza, bastarda, crudele ispettrice spagnola. A lei venivano affidati i sospettati peggiori, i criminali accusati di terrorismo, i nemici dello Stato. I suoi metodi erano conosciuti all'interno del corpo di polizia.

Ma per Raquel, Alicia non era solo quello.

«Ciao Raquel, da quanto tempo. Ti trovo molto invecchiata, vieni per caso da un periodo stressante?»

Le parole uscirono dalla bocca sorridente di Alicia, laccata di rossetto rosso.

Raquel abbassò la testa.

Non. Lei.

I ricordi del periodo in accademia le piombarono addosso come una doccia gelata.

Le lunghe ore insieme a studiare. Le pause caffè. I bicchieri di vino la sera per togliersi di dosso lo stress della giornata. E tutto il resto. Tutte le notti insieme, avvinghiate l'una all'altra. La rabbia di Alicia alla notizia del suo matrimonio.

Ricordi sfumati dal tempo di una vita che non sembrava nemmeno sua.

Alzò la testa di scatto. Non poteva mostrarsi debole. Alicia avrebbe usato qualsiasi mezzo per estorcerle le informazioni che voleva.

«Raquel Murillo. O forse preferisci essere chiamata Lisbona?»

La risata di Alicia sembrò rimbalzare sui muri.

«Sai benissimo perché siamo qui, non è vero? Negli interrogatori normali inizio spiegando che io sono l'ispettrice Sierra e torturo la gente e bla bla bla.»

Un'altra risata.

«Ma tu sei della polizia, Raquel. Tu sai già tutto. Sai quello che posso fare, sai i metodi che usiamo. Perché non la facciamo finita prima ancora di iniziare, perché non mi dici dove si trova il tuo amato amatissimo professore.»

«Sai che non parlerò, Alicia. Mettiti i tuoi sporchi trucchetti su per il culo.»

Le parole uscirono dalla bocca di Raquel con una furia che fece spalancare gli occhi all'ispettrice in carica.

«Tutto questo stress sicuramente non fa bene al bambino che è in pancia. Poverino, avere una stronza per madre.»

Alicia sporse in avanti la testa, si sistemò la frangia con le unghie perfette e continuò a fissare Raquel senza distogliere lo sguardo di un millimetro.

L'interrogatorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora