Sinapsi

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Ci sono dei momenti - strani, folli, impossibili da programmare - dove tutto quello che sembrava andare veloce e correre si rallenta. È un po' come quando sei sul treno, in mezzo alla gente, e allo stesso tempo sei solo. È un po' come guardare fuori dal finestrino in una giornata di pioggia, con le cuffie alle orecchie, stipato in un autobus pieno zeppo e sentirsi come se improvvisamente fosse tutto chiaro. Limpido, nonostante il cielo coperto di nuvole.

Ovvio, come se fosse sempre stato così palese. Come se fosse destinato ad essere.

Il cervello è una macchina strana. È sempre attivo, anche quando si riposa. Racchiude al suo interno il nostro essere, in posti nascosti che noi spesso non riusciamo a raggiungere, rendendoci così lunga la strada per capire veramente chi siamo.

Contiene i nostri ricordi, quelli belli che si riempiono di sole e di luce, ma anche quelli tristi, che se ne stanno lì, perché fanno parte di noi. Perché ci rendono chi siamo. Anche se vorremmo cancellarli, anche se vorremmo dimenticare.

E poi ci sono le emozioni: scariche improvvise di adrenalina, serotonina, ossitocina, dopamina che esplodono, inondano tutto come un fiume che oltrepassa gli argini e ti fanno rabbrividire, eccitare, accelerare il battito cardiaco. Ti fanno sentire come se ogni cosa fosse brillante, come se i pezzi del puzzle si fossero incastrati in un millisecondo, come se tutto avesse senso.

È questione di un attimo: due neuroni che si connettono, una sinapsi. Un attimo che cambia tutto.

Anche l'amore è così.


Manuel non è mai stato bravo a parlare. Preferisce sporcarsi le mani, gridare, prendere a pugni qualcosa. Non è quel tipo di persona che riflette su quello che fa: quando si sente ferito, perso, arrabbiato si chiude in una bolla resistente e impossibile da scoppiare e se ne resta lì, in mezzo alla pioggia che si è imposto di meritare. Si colpevolizza, colpevolizza il mondo, si incazza con chiunque, ma non fa niente per cambiare le cose.

È sempre stato così, fin da piccolo. Quello solitario, un po' bulletto, un po' arrogante. Quello che non si applica, quello che signora, stia attenta, suo figlio finirà in brutti giri.

Quello che non ha mai provato l'amore di nessuno, che non sa nemmeno cosa voglia dire sentirsi voluto, capito, amato. Accettato.

Forse è per questo che è così dannatamente spiazzato, ora. Forse è per questo che per la prima volta in vita sua il non parlare non è una scelta, ma una necessità, perché non sa davvero cosa dire. Non lo sa.

Simone è in piedi di fronte a lui. Le sue mani sono strette sulla sua felpa, perché lo stava strattonando fino a dieci secondi prima. Ma ora è fermo.

Manuel sta a malapena respirando. Sente le guance ardere e le mani pizzicare e gli occhi muoversi per cercare di captare ogni cosa.

"Io non ti lascio. Non ti lascio perché ti voglio bene", gli ha detto. Ti voglio bene.

Simone respira, deglutisce, lo guarda negli occhi: sono calmi, sono il mare quando non c'è vento, sono prati senza fine dove correre.

Quelli di Manuel, invece, sono pieni di fuoco, sono un incendio pronto ad esplodere e a distruggere tutto.

Ti voglio bene. Non riesce a pensare ad altro, questa frase gli sta mandando a puttane il cervello, perché si è sempre sentito non voluto, perché ha sempre cercato di trovare quella persona che lo potesse capire e accettare ed è stato così cieco a non accorgersi di averla già.

Che ha anche lui quella persona. E che è qui, di fronte a lui ora come negli ultimi mesi, a tenerlo in piedi, a guardargli le spalle, a farlo ridere. A proteggerlo, a farlo sentire meno solo. A perdonarlo.

Sei tu, pensa Manuel. La realizzazione è veloce, è come una sinapsi che si accende e si spegne in un millesimo di secondo. Ma cambia tutto.

Simone non se lo aspetta, quando Manuel gli afferra la felpa con i pugni, se lo tira addosso e lo bacia. Resta fermo per un istante, infatti, con le labbra contro le sue, ma immobile.

Ma Manuel sta solo seguendo l'istinto, quella parte di lui che finalmente brucia, quindi stringe più forte le mani contro la sua felpa, alza la testa perché Simone è così fottutamente alto e schiude le labbra sulle sue.

E quando Simone finalmente risponde al bacio, portando le mani sul suo viso, sfiorandolo come se fosse prezioso, è come essere in mezzo ai fuochi d'artificio: è un caos di mani che sfiorano, baci, vestiti che vengono scostati, brividi, sudore, energia, fuoco.

Ma è anche casa. È anche pace e sicurezza e un luogo sicuro. Non c'è paura, nello sguardo di Simone.

Simone lo bacia forte, Manuel sente il suo cuore battere velocissimo e pensa: sono io, sei così perché sei qui con me. E non riesce a smettere di baciarlo, nemmeno per respirare.

"Non so se dovremmo" è quello che gli sussurra Simone, direttamente sulle labbra, qualche minuto dopo. Manuel lo sente sospirare e lo vede fare un minuscolo passo indietro, in modo che possano guardarsi negli occhi. Ha lo sguardo strano, quasi come se avesse gli occhi lucidi. Come se avesse le risposte che Manuel cerca. "Non penso sia quello che vuoi davvero."

"E invece sì" ribatte Manuel. Ed è vero che è stato veloce e che forse se ne pentirà e che ci saranno tante cose da capire dopo, ma ora - in questo momento folle e magico - Manuel non vorrebbe essere in nessun altro posto al mondo che non siano le sue braccia. "Lo voglio davvero."

Simone sorride, forse neanche se ne accorge, ma Manuel quel sorriso lo vede e sorride di riflesso.

"Allora baciami di nuovo, mister non mi piacciono i maschi" borbotta Simone, prima di afferrargli i fianchi e stringerli tra le sue mani.

E forse è vero, forse i maschi non gli piacciono. Ma Simone decisamente sì.

E va bene così.

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