Capitolo 1

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Anchorage. Era stato mandato a dirigere una squadra ad Anchorage.

Quando il direttore Yolotli aveva annunciato che avrebbero avuto un "ufficio con vista oceano", la prima immagine che gli era venuta in mente erano surfisti, pattinatori e corse sulla spiaggia, non certo i riflessi della luce su una superficie d'acqua quasi ghiacciata. Sospirò, almeno non stava nevicando in quel momento.

Nascose nuovamente il naso nella sciarpa, marciando a passo lento, altrimenti avrebbe rischiato di scivolare sul ghiaccio, verso il cafè più vicino al suo luogo di lavoro. Tracy trovava che quella città avesse un fascino magico, i suoi piedi ghiacciati un po' meno.

Toccò finalmente la maniglia del locale, spingendo la porta e venendo avvolto dal calore del luogo. Un momento di beatitudine interrotto subito dalla presenza di fin troppe persone. La gente del posto aveva l'abitudine di scambiare due chiacchiere con i camerieri, rallentando ulteriormente i tempi di attesa in coda. Grugnì, cercando impacciatamente il cellulare nella tasca dei pantaloni. Imbottito com'era, la riuscita dell'impresa non era affatto scontata.

«Dannata fila» mugugnò, cercando di non farsi sentire.

«Vero?» l'intervento della donna al suo fianco lo fece sussultare, «È tutta colpa di quei dannati social. "Vi mostro un posto segreto" e così i locali si affollano; se è segreto un motivo ci sarà, no?» continuò a lamentarsi, alzando gli occhi al cielo. Doveva essere del posto, visto l'accento e il solo cappotto elegante, scuro, a ripararla dal freddo. Un paio di cuffie a coprirle le orecchie e tenere dietro i ciuffi ribelli di capelli scuri. Agli occhi un paio di occhiali dalla montatura spessa rossa, con le lenti appannate, a indicare che si trovasse da poco all'interno.

«Completamente d'accordo. Cambierei, ma hanno appena iniziato a macchiarmi il caffè in modo corretto, sarebbe un peccato» si unì al discorso.

«E poi mettono quel qualcosa... Lo chiamano ingrediente segreto, anche se, detto fra noi, sono convinta sia cocaina, perché riesce a tenermi sveglia per sei ore filate. E a me non fanno effetto le bevande energetiche» si avvicinò a lui, come a voler condividere un segreto. Così prossima, da far arrivare alle sue narici il profumo dello shampoo al cocco. Rise, in parte non in disaccordo.

«Darrell» si presentò, porgendole goffamente la mano, che la donna afferrò in una presa salda e decisa. Era di poco più bassa di lui e non indossava guanti o anelli di alcun tipo.

«Marthe» gli sorrise, «Non credo di averti mai visto da queste parti, nuovo?».

«Ho iniziato a lavorare in zona da un paio di settimane» ammise, facendo emergere completamente il volto dalla lana con cui si proteggeva il collo.

«Oh, interessante. Sono quegli uffici appena ristrutturati a un isolato da qui?».

«Già, qui sembrano conoscersi tutti. È un po' alienante essere quello nuovo, devo ammetterlo» indicò col capo le persone che li circondavano, che conversavano allegramente riempiendo l'aria di un brusio a tratti opprimente. Marthe rilassò la sua espressione, guardandosi attorno.

«Siamo i mattinieri della zona» spiegò, «Non io, non sempre in realtà, dipende dai turni. Lavoro alla clinica in fondo alla strada, credo di aver visto quasi tutti i presenti nella sala di aspetto con gli infortuni più stupidi sul posto di lavoro. Abbiamo una lista non ufficiale nella sala ricreativa».

«Cercherò di non finirci allora» le sorrise di rimando, con spontaneità. Le interazioni sociali non erano mai state il suo forte, anche in missione doveva sempre sforzarsi in qualche modo, ma con quella estranea era completamente a suo agio.

«Mai dire mai» canticchiò Marthe. «E di che ti occupi? Almeno saprò cosa aspettarmi».

Quella domanda lo prese in contropiede. Avevano una copertura, l'aveva studiata nei dettagli nel caso di curiosi e indiscreti. Tuttavia, in quel momento la sua mente era come vuota.

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