Credo che John voglia ridurmi allo sfinimento, sono due settimane che mi sta allenando, facendomi alzare ogni tipo di peso possibile, flessioni a ogni ora del giorno, dormite di sì e no cinque ore e non mi fa saltare neanche un pasto, mi ha sequestrato anche le sigarette, ma penso che le abbia prese per se piuttosto che per il mio bene, però mi sento meglio, sono più forte e attivo, ho energie in quantità, anche se le mie occhiaie dimostrano il contrario, mi prende in giro dicendomi che assomiglio a un panda.
«Amico basta, o non arriverò a lunedì prossimo.» - Chiedo gentilmente la resa battendo le mani sul terriccio del giardino.
«Va bene, tanto l'ora d'aria sta per finire.» - Mi stende la mano e mi tira su, mi sento a pezzi.
«Mancano solo sei giorni, John, solo sei fottutissimi giorni, non ci credo ancora.» - Sorrido dandogli due pacche sulla spalla e ci mettiamo comodi sulla nostra panchina, per goderci questi ultimi giorni insieme.
«Mi mancherai ragazzo, per me sei come un figlio ormai.» - Sospira guardandomi con la coda dell'occhio.
«Ti aspetterò, te lo prometto e poi, posso sempre venire a farti visita.»
«Non ci pensare, non voglio più vederti qui dentro.» - Stende un braccio sopra le mie spalle e mi stringe forte.
L'allarme suona e come sempre, ce ne torniamo in gattabuia, in questa magnifica notte stellata.
Lo ripeterò all'infinito, lui e il mio avvocato, sono le uniche due persone che hanno creduto in me fin dall'inizio, che mi hanno sostenuto e accompagnato, prendendomi per mano e facendo quest'orribile strada tortuosa, durata quattro lunghissimi anni, insieme a me.
Steso su questo scomodissimo letto, che sto iniziando ad apprezzare alla fine, sorrido beato, quanto sono felice e in fondo, devo ricredermi, ho costruito dei rapporti umani, che spero possano durare nel tempo, ma una volta fuori, dovrò crearmene altri, perché la paura di rimanere solo, mi attanaglia l'anima.
Prendo l'ultimo foglio rimasto e decido di rispondere a Kirsten, chissà, forse questa è l'ultima lettera che riceverà da parte mia e io non so se ne riceverò mai un'altra da parte sua.
Kirsten,
questa credo sia la mia ultima lettera per te e penso che sia arrivato il momento di aprirmi, tanto non cambierà le cose, ma almeno, posso togliermi qualche peso dalla coscienza.
Le catene, non sono solo uno stupido materiale, esse possono anche essere mentali e credo siano le peggiori.
Ti costringono a rimanere legato a dei ricordi, emozioni, speranze e sogni, evitando così, che tu possa essere libero veramente, facendoti rimanere ingabbiato in un mondo che non ti appartiene, estraniandoti da quello che ti circonda.
Io fondamentalmente, sono una persona sola, che ha perso tutto, ma non sarà di certo questo a fermarmi, sono tenace e la voglia di vivere a pieno non mi manca e questo, mi darà la forza per andare avanti.
In quanto a te, non pensare minimamente di essere sbagliata o inadeguata, nessuno merita di sentirsi così, neanche quelli come me e tu, credo sia una persona meravigliosa, davvero capace di raggiungere tutto ciò che desidera.
Mia cara amica, spero che le mie parole possano rincuoranti e strapparti un sorriso sincero, come tu hai fatto con me in questi ultimi mesi, con poche lettere sei riuscita a mostrarmi le bellezze le mondo e che esistono ancora persone buone.
Ti chiedo scusa per essere stato sgarbato e spero che un giorno ci incontreremo, per poterti ringraziare, perché tra tutti quanti, hai deciso di salvare me.
Se un giorno ti andasse di incontrarmi, mi troverai allo Spider, un locale nella periferia di Folsom.
Il tuo amico Samuel.
Diamine quant'è difficile, mi si sono inumiditi gli occhi e non pensavo che qualcuno, in così poco tempo, potesse entrarmi così nel cuore, tanto da farmi dubitare della mia apatia.
Purtroppo, quando sei in posti come questo, ti aggrappi a qualsiasi cosa, anche alla più piccola delle speranze, la lasci entrare, prendendo tutto quello che c'è di buono, quasi fino a consumarla, a esaurirla, pregando e sperando che non finisca mai.
«Mi scusi guardia, può spedirmela?» - Mi affaccio alle sbarre, mettendo leggermente il viso fuori richiamando la vedetta che fa su e giù.
«Per fortuna è l'ultima.» - Borbotta e me la sfila dalle mani.
Cielo quant'è stronzo, per fortuna non lo vedrò mai più, non lo sopporto proprio, mi fa salire qualsiasi cattiva intenzione solo guardandolo in faccia.
Mi metto a dormire, sperando di fare sogni tranquilli, accompagnati dal meraviglio sotto fondo di John che strombazza forte come un clacson.
Sei giorni sono passati in un lampo, non me l'aspettavo.
Io e il mio compagno di cella abbiamo cantato e festeggiato, riso e pianto, ricordato i nostri momenti insieme e le nostre litigate.
Sono passato anche da Fernando per chiarirci e con la sua solita faccia da cazzo, mi ha stretto la mano, non volevo andare via lasciando dei conti in sospeso, ho ringraziato tutte le guardie, anche quella che mi sta antipatica e la mia dolce amica infermiera Maya, abbiamo passato una notte folle insieme, credo di averle lasciato un bel ricordo.
Ho incontrato anche il signor Field e mi ha espressamente chiesto di chiamarlo una volta fuori, ma non penso di farlo, non voglio essere il caso pietoso di nessuno .
Prendo la mia sacca, con dentro le lettere di Dafne e i libri che mi ha regalato, finalmente ho addosso i miei vestiti, quelli con cui sono entrato, un paio di jeans neri, che ormai mi stanno larghi e una maglietta nera.
Sto varcando la soglia dei cancelli del carcere, mentre tutti i miei compagni di viaggio urlano il mio nome applaudendomi, volto il mio sguardo verso John, che ha gli occhi stracolmi di lacrime, ma un meraviglioso sorriso in viso.
Inchiodato sul ciglio della strada, aspettando l'autobus che mi riporti in città, respiro a pieni polmoni, riempiendoli allo stremo, la mia gabbia toracica si espande, facendo battere il mio cuore ancora più forte, gli occhi spalancati pieni zeppi di speranza, che guardano frenetici tutto ciò che c'è intorno, sono libero.
L'autobus arriva e adesso per me, inizia un altro viaggio.
Dopo due ore siamo arrivati, scendo trovandomi proprio difronte alla mia vecchia casa, è ridotta malissimo.
Un dolore astratto al centro del petto, inizia a darmi noia, stringo i pungi e contraggo la mascella, speravo di non mettere mai più piede in questo schifo di posto.
L'erba è incolta e piena di immondizia, sulla veranda sono sparse centinaia di bottiglie di birra, credo che i ragazzini ci siano venuti a fare festa.
La porta è socchiusa, la scosto con il piede e un cigolio fastidioso stride nelle mie orecchie, dentro è ricoperta di polvere e muffa, devastata dai vandali, con dei graffiti sui muri e oggetti rotti ovunque, indumenti di non so chi e mozziconi di sigaretta spenti sui tappeti, sul divano e sui mobili, finestre frantumate e una puzza di putrido stagnata ormai nel tempo.
Salgo nella mia stanza, spero di non avere brutte sorprese.
E' più o meno come l'ho lasciata, tranne che hanno rubato qualsiasi cosa potessero prendere, ma hanno lasciato il materasso, almeno è qualcosa, però, non ho il coraggio di entrare nelle altre stanze e credo proprio che non rimarrò qui neanche un secondo di più.
Esco di fretta, lasciandomi alle spalle l'orribile visione della mia casa completamente a pezzi e a passo svelto, vado nell'unico posto dove sono sicuro di trovare chi possa darmi una mano, allo Spider.
«Non ti sei stufato di organizzare combattimenti.» - Arrivo alle spalle di Kurt facendolo sobbalzare.
«E tu cosa ci fai qui?» - Un sorriso a trentadue denti si apre sul suo volto, mi attorciglia le braccia al collo e mi stringe forte, facendomi quasi soffocare.
«Una birra ghiacciata per il mio amico.» - Urla alla barista mentre ci sediamo sugli sgabelli davanti al bancone.
«Credevo di non rivederti mai più, allora com'è stata la gattabuia?» - Esclama facendo sbattere il collo delle nostre bottiglie di birra.
«Sono vivo, questo è l'importante. Comunque non sono qui casualmente, voglio tornare a combattere.»
«Speravo me lo chiedessi, senza di te i miei affari sono scesi.»
«Mai quanto i miei.» - Sorrido sorseggiando la mia bevanda, il suo sapore dolciastro mi solletica tutte le papille gustative, non ne bevevo più una da anni.
«Hai un posto per me, solo per un paio di notti fin quando non trovo una sistemazione?» - Domando tentennando, non voglio passare per uno scroccone già da subito.
«Certo, ho una piccola mansarda proprio sopra casa mia, è un ripostiglio, ma con la giusta sistemazione diventerà vivibile.»
Continuiamo a chiacchierare e a bere, mi sento bene finalmente e sono felice, per quanto mi sia possibile.
La serata è finita e stiamo andando a casa sua, dista all'incirca trecento metri da locale, neanche tanto lontano.
Mi accompagna nella mansarda e quando apre la porta, la puzza di chiuso mi fa storcere il naso e polvere starnutire ripetutamente.
«Te l'ho detto che va sistemata.»
«Non preoccuparti, va più che bene.» - Sorrido ed entro, mi saluta con un cenno del capo e chiude la porta alle mie spalle.
Intorno a me ci sono solo bauli, scartoffie, oggetti di ogni genere, ma anche un materasso appoggiato al muro, che per questa notte mi sarà più che utile, lo tiro giù ed è davvero impolverato, ma prima di mettermi a dormire devo aprire la finestra, voglio che entri quanta più aria possibile, non voglio sentirmi ancora chiuso in gabbia come un animale del circo.
Mi giro più volte, la mancanza del cuscino non la sento dato che non ce l'ho mai avuto, ma l'assordante rumore di John, che nonostante tutto mi teneva compagnia, ora che non c'è, mi fa sentire solo.
Cullato dal lieve rumore del venticello fresco e dalla sua brezza, chiudo gli occhi, lasciandomi avvolgere dal sapore di questa nuova notte, la mia prima vera notte dopo quattro anni.
Ho dormito come un bambino, è stato fantastico e non mi sono svegliato neanche una volta, come mi succedeva spesso in carcere.
Con la luce del sole, la stanza sembra meno peggio di come l'ho vista ieri sera, mi alzo un po' frastornato, ma contento e scendo di sotto, nell'abitazione di Kurt.
«Buongiorno Samuel, dormito bene?» - Esclama facendomi accomodare, in tavola ci sono tantissime cose, di cui non credo di ricordarne il sapore, le uova, il caffè, la spremuta, il latte, il bacon e tantissime altre cose.
«Si, decisamente.» - Mi siedo a tavola aspettando che anche lui faccia lo stesso, non voglio essere maleducato, ma spero si sbrighi, ho moltissima fame.
«Ti ho preparato dei panni puliti e uno spazzolino, credo tu abbia bisogno di una bella doccia.» - Scoppia a ridere e adesso che si è seduto possiamo mangiare.
Mi abbuffo come non mai, mangio di tutto mischiando il dolce con il salato e non m'importa che affetto avranno sul mio stomaco, per una volta non deve lamentarsi.
«Samuel, sai che qui non c'è più nessuno dei tuoi, vero?» - Prorompe serio interrompendo il silenzio beato.
«Lo so Kurt e non me ne frega un cazzo sinceramente.» - Gli sorrido con un velo di tristezza.
Finisco di mangiare e vado in bagno, è accogliente, con vari mobiletti, una finestra enorme e uno specchio, ho paura ad avvicinarmi, non mi guardo da anni, non voglio vedere il mio volto segnato e gli occhi spenti, ma sono curioso di vedere i miei tatuaggi, chissà, forse mi hanno reso un tipo dall'aspetto duro, anche se dentro, sono ancora un bambino bisognoso di affetto.
Entro in doccia, l'acqua calda scorre sul mio corpo, è piacevole e accogliente, la sento scivolare dolcemente, come se mi stesse accarezzando, mi coccola e mi rilassa, sciogliendomi i muscoli intorpiditi e anche un po' il cuore, il profumo delicato della mandorla, viene accolto dalle mie narici, è un odore così avvolgente, abituato al sapone inodore della galera, questo è decisamente molto meglio.
Strofino con forza la spugna, cercando di togliermi, non solo lo sporco, ma anche questa sensazione di fallimento e nullità, impregnate in ogni parte della mia pelle, delle mie giunture e ossa.
Libero la mente, non voglio pensieri, emozioni, o qualsiasi altro genere di distrazione, me lo merito un attimo di pace e serenità.
Non vorrei mai far smettere questo momento di assoluto torpore.
Metto un asciugamano intorno alla vita, è morbido e profumato, mi sembra che qualsiasi oggetto sia nuovo a tutti i miei sensi, passo una mano sul vetro appannato dello specchio e guardo la mia immagine sfocata riflessa, non sto poi messo così male, a parte la testa rasata, li ho maledetto il giorno i cui mi hai tagliato i capelli.
Alcuni tatuaggi sembrano dei disegni di un bambino, dannazione come sono fatti male, ma per fortuna sono quelli più piccoli, i due più grandi almeno li ha fatti bene John, ci si è impegnato parecchio.
Chissà cosa starà facendo il mio amico.
Pulito e profumato, questa volta per davvero, indosso i vestiti che mi ha procurato Kurt e vado a sistemare la mansarda, ho molto lavoro da fare.
Sposto i mobili, mettendoli tutti da un lato e do una spazzata a terra, per togliere quanta più polvere possibile, posiziono il materasso, su cui il mio ospitane mi ha fatto trovare delle lenzuola e un cuscino, posizionandolo sotto la finestra e di fianco a esso, un piccolo scaffale, sui c'è una abatjour e dove posso mettere i tre libri che mi ha mandato Dafne e le sue lettere.
Sta prendendo forma, sembra già più accogliente.
Rovisto nei cassetti e sono pieni di vestiti di quando Kurt era giovane, credo mi possano stare bene, in fondo non sono un tipo da shopping, me li farò andare per forza.
Li ripongo con cura nella cassettiera, spostata in un angolo della stanza, gli altri mobili, se non gli dispiace, li butterò via, anche perché non penso mi servano.
Lascio la finestra aperta, per far arieggiare e mandare via la puzza di chiuso al suo interno e scendo in strada, devo iniziare a godermi ogni giorno come fosse l'ultimo.
Vedere tutte queste persone, che camminano felici e parlano tra loro, mi fa apprezzare ancora di più questo momento, io posso diventare uno di loro.
Faccio una passeggiata nella periferia, l'odore dello smog, delle cucine dei ristoranti, del bucato steso al sole ad asciugare, il vociare dei bambini e delle vecchiette sui portici, il rumore dei mezzi e le saracinesche che si alzano, tutte cose che voglio assaporare, che alla gente comune sembrano solo banalità.
Entro in un tabaccaio, a comprarmi un pacchetto di sigarette, un paio di fogli bianchi e una penna, scrivere mi libera l'anima e forse potrei mandare una lettera alla mia amica, potrebbe esserne contenta e poi, so il suo indirizzo a memoria.
Mi avvio verso lo Spider, sicuramente Kurt è lì dentro a bere e a provarci con le bariste e le cameriere, come al suo solito, pensa che, a cinquant'anni suonati, le ragazzine della mia età, o poco più, possano ancora guardarlo, che illuso, ma è divertente vedere quando lo fa, si rende ridicolo da solo.
«Kurt, sapevo di trovarti qui.» - Esclamo sedendomi di fianco a lui, facendo cenno alla barista di passarmi una birra.
«È la mia seconda casa.» - Ride voltandosi verso di me.
«Per stasera ti ho organizzato un incontro, una cosa tranquilla, tanto per tornare nel giro.»
«Grazie amico, il compenso tienilo tu, per l'ospitalità.» - Sorrido dandogli una pacca sulla schiena mentre la ragazza appoggia la bevanda di fronte a me.
«Vado a sedermi in quel tavolo laggiù, a dopo.» - Sgattaiolo via, ho intenzione di scrivere a Kirsten, sento il bisogno di raccontarle il mio primo giorno da uomo libero.
Prendo il foglio accartocciato nella tasca e lo stendo sul tavolino.
Mia cara amica,
ti scrivo dallo Spider, uno squallido locale, come ti avevo accennato nell'ultima lettera, ma non credo tu lo conosca.
Oggi è il mio primo giorno nel vero mondo, tutto sommato non è male, pensavo andasse peggio.
Sono a casa di un amico di vecchia data, mi ospita per un po' fin quando non trovo una sistemazione, mi ha lasciato la sua piccola mansarda, che è molto meglio della mia precedente stanza.
Ho fatto un giro per la città e mi sono sentito piacevolmente sorpreso, riassaporare tutto quello che mi è mancato mi ha fatto bene al cuore, ho persino trovato un lavoretto, già, non ci credo nemmeno io.
Tra poco anche tu sarai libera, per modo di dire, dalla scuola, sta per arrivare l'estate e spero che tu possa godertela a pieno.
Ti lascio il mio indirizzo se ti andasse di rispondermi Baker Street 616, a presto, Samuel.
La ripiego e la rimetto nella tasca, la spedirò dopo, mentre torno a casa.
Casa, che parolone, io non ce l'ho una casa, a dire la verità non l'ho mai avuta, ma non è il momento di pensare a queste cose, oggi sono troppo felice per rattristarmi.
«Allora, contro chi combatterò stasera?» - Torno nello sgabello vino a Kurt, distogliendolo dai suoi atteggiamenti di approccio forzato con le ragazze.
«Un ragazzo diciannove anni, un ricco sbruffone, si stava facendo il gradasso con i suoi amici un paio di sere fa, così gli ho detto dei combattimenti che organizzo e stamattina mi ha chiamato.»
«Deve stare attento, potrebbe rompersi un'unghia.» - Rido divertito e lui mi segue, mi chiedo come ragazzi così possano mischiarsi con gente come noi, è da folli.
«Senti, puoi spedirmi questa, c'è già l'indirizzo, io vado di sotto ad allenarmi un po'.» - Annuisce, è meglio che vada lui, io potrei non avere tempo oggi, ho voglia di sfogarmi su questo moccioso e fargli passare la voglia di scherzare con gente come me.
Sferro calci e pungi incessanti sul sacco da boxe, mi immagino che sia una persona, che senta il dolore, come lo sto sentendo io sulle mie nocche, ma il dolore fisico non sovrasta quello della mia anima.
Continuo, sempre più violento, sono qui da ore e la scarica adrenalinica che mi sta invadendo non mi permette di fermarmi, è come se mi stessi purificando dal malessere e dall'angoscia, credo che appena metterò le mani su quel ragazzo gli farò veramente male.
«Ehi amico, riprendi fiato, sennò mi farai perdere tutti i soldi.» - Kurt prorompe nel seminterrato, facendomi smettere e tornare alla realtà.
«Non puoi capire che botta di vita, mi sento rinato.» - Sciolgo le bende dalle mani ancora con il fiatone e mi volto verso di lui.
«Va a mangiare qualcosa, tra un'ora dovrai dare il meglio di te.»
«Non vedo l'ora.» - Gli sorrido sorpassandolo ed esco dalla porta per salire al piano di sopra del locale.
Un hamburger, agli occhi di chiunque potrebbe sembrare del cibo spazzatura, invece per me è afrodisiaco.
Riprendo fiato e mi rilasso, manca davvero poco a sentire la folla che mi acclama, che urla il mio nome a squarciagola e vedere i soldi fioccare, spero di non deludere il mio amico.
Il seminterrato è pieno, donne e uomini di tutte le età con dei centoni in mano, urlano e strillano, chiamando i combattenti, sono proprio curioso di vedere la faccia del mio sfidante e rompergliela.
«Forza, dà il meglio di te, come sempre.» - M'incita Kurt e mi dà una pacca sulla spalla spingendomi sul ring.
Sono all'angolo e il ragazzino è di fronte a me, ha un fisico asciutto e muscoloso, ben piazzato, credo che dovrò sudarmela questa vittoria, attorciglio le bende intorno alle nocche, per evitare che mi sanguinino mentre lotto.
«Sfidanti in posizione, tre, due, uno, combattete.» - Urla un uomo al centro del ring e al suo via iniziamo a darcele di santa ragione.
Tengo la guardia costantemente alta, cosa che non sta facendo lui e si sta prendendo una marea di cazzotti sul muso, poverino, ma è molto agile con le gambe, tanto da sferrarmi un calcio con il collo del piede proprio sull'orecchio destro, facendomi leggermente rintronare.
Sputo a terra la saliva in eccesso, mentre lui si allontana di qualche centimetro per riprende un attimo il fiato e asciugarsi il sangue che gli esce dal naso.
La folla esulta, urla a non finire, ci incita e carica a molla, il mio sfidante torna all'attacco, prendendomi alla sprovvista, da beccarmi così un pugno dritto sul naso, non mi hanno deturpato il galera, non sarà di certo lui a farlo.
Un calcio dritto sul petto e il ragazzino finisce a terra, il tonfo della sua testa che sbatte, fa zittire tutti per un attimo, ma fortunatamente il suo petto fa ancora su e giù e tiriamo tutti un respiro di sollievo.
Si alza in piedi barcollante, lo guardo dritto negli occhi e credo che non stia affatto bene, infatti, neanche il tempo di pensarlo, che sviene accasciandosi a terra.
«Ed ecco a voi il vincitore.» - Esulta l'uomo che ha dato il via al combattimento, alzandomi un braccio in segno di vittoria e la folla, ancora una volta, grida il mio nome.
Quanto mi sento potente, Dio mio quanta adrenalina mi dà la vittoria, mi fa sentire vivo.
Scendo dal ring e raggiungo Kurt, che mi abbraccia stringendomi forte e non è perché io ne sia uscito indenne, ma perché gli ho portato un mucchio di soldi.
Una ragazzina, con dei lunghi capelli biondi, minuta e magrolina, attira la mia attenzione con le sue grida, scavalca le corde del ring e si fionda sul mio sfidante, credo sia la sua fidanzata.
Dovrebbe dirgli di non mettersi in mezzo a queste cose, potrebbe farsi davvero male.
Infastidito dalle sue grida la raggiungo, portandogli una bottiglietta d'acqua e un asciugamano.
«Tieni, si riprenderà.» - Esclamo porgendogli gentilmente le cose che ho preso per il ragazzo.
«Grazie, anche se si meriterebbe due schiaffi.» - Borbotta togliendomi dalle mani l'acqua e buttandogliela in faccia.
«Non prendertela troppo, siamo solo ragazzi e ci piace metterci alla prova.» - Le sorrido e notando la sua arrabbiatura, scendo alla sua altezza.
La guardo dritta negli occhi, due bellissimi e grandi occhioni marroni, con delle lievi striature giallognole, messe in risalto dalla luce dei fari del ring, ma pieni di rabbia nei confronti del suo fidanzato.
«Allargami le corde, lo porto sul materassino.» - Pronuncio caricandomi il ragazzo in braccio, mentre lei corre a fare ciò che le ho detto.
«Gli ho detto un milione di volte di non fare lo scemo in giro, ma sembra che non mi ascolti.» - Prorompe arrabbiata mentre stendo il tipo.
Mi allontano un secondo e metto su una maglietta, mentre lei continua a sbraitare come una dannata contro il suo ragazzo ancora svenuto, quanto vorrei che qualcuno mi rimproverasse così, con le parole cariche d'amore e preoccupazione.
«Se dovesse farmi passare un'estate di merda, giuro che lo uccido io stessa.» - Esclama lei arresa, sedendosi su una panca poco più distante da lui.
«Puoi sempre mollarlo e goderti la tua estate.» - Ridacchio alle sue parole sedendomi di fianco a lei e mentre si tira indietro i capelli, mi arriva un odore forte e pungente dritto nel naso, non so che profumo sia, ma è buonissimo.
«Non è così facile.» - Volta il viso verso di me e incrocio un'altra volta i suoi occhi, sono meravigliosi, potrei perdermici.
Mi schiarisco la voce preso dall'imbarazzo e per fortuna il suo ragazzo che mugugna ci salva all'istante.
«È stato un piacere.» - Le sorrido e me ne vado, senza neanche darle il tempo di rispondermi.
Vado al piano di sopra, per godermi la mia serata da vincitore.
Bevo, tra le risate e le pacche sulla spalla di tutti i clienti, ma nella mia mente viaggiano solo gli occhi di quella ragazza, dannazione se sono magnetici.
Il suo ragazzo è davvero fortunato ad avere una bellissima fanciulla così al suo fianco, che lo ama e vuole proteggerlo a ogni costo, che si preoccupa per lui e farebbe qualsiasi cosa per vederlo felice, anche chiudersi in uno stupido locale pieno di persone losche.
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TURADH - Il mio squarcio di cielo azzurro durante una tempesta.
RomantikSiamo padroni del mondo, o solo del nostro tempo, responsabili delle nostre azioni, o solo delle conseguenze. Difficile capirlo quando chiunque ti circonda è nella tua stessa posizione. Samuel, un ragazzo cresciuto velocemente, tra tre mura e sbar...