La serata di ieri è stata devastante, non mi ricordo neppure come e quando sono tornato nella mansarda, sicuramente mi ci ha portato Kurt, non prendevo una sbornia così da una vita.
Mi alzo dolorante, con la testa che mi scoppia, mi serve un'aspirina.
Ancora un po' barcollante, forse perché mi sono appena svegliato, scendo nell'appartamento del mio amico e lo trovo a dormire sul divano.
Mi prendo la libertà di cucinargli la colazione e soprattutto una buona tazza di caffè rigenerante, ne abbiamo bisogno entrambi.
«Kurt, svegliati, sono le dieci.» - Lo strattono leggermente dalle spalle e lui apre gli occhi imprecandomi in faccia, diamine mi sembra John.
«Che serata amico, ho speso quasi tutti i soldi della vittoria.» - Si alza grattandosi le natiche da sopra le mutande, è una scena raccapricciante.
«Ne voglio fare un altro, voglio vincere ancora.» - Poso la colazione in tavola, l'odore del caffè e del pane caldo tostato mi fa venire l'acquolina in bocca.
«Sta tranquillo, ne ho tantissimi da farti mettere al tappeto.» - Sghignazza e ci sediamo a tavola a mangiare, finalmente.
Passiamo insieme quasi tutta la giornata, mi ha portato a conoscere dei ragazzi molto simili a me, che ha addestrato a combattere e con cui avrò a che fare nei prossimi giorni, ha detto che siamo la sua squadra portatrice di denaro.
Per me sarà anche un modo di fare amicizia, sono alla mano e tranquilli, con qualche problema personale certo, chi è che non ne ha, ma mi sembrano dei tipo apposto, anche perché potrebbero pensare lo stesso di me.
Sono nel seminterrato ad allenarmi, per ora è solo questa la mia occupazione, ma dopo l'incontro mi vedrò con i ragazzi, mi hanno invitato a farmi una birra con loro.
Sto affinando le mie tecniche, devo solo rafforzare giocare un po' più d'astuzia, quando un mio sfidante mi colpirà con un calcio, dovrò semplicemente attorcigliare velocemente il mio braccio alla sua gamba e buttarlo al tappeto, a dirlo sembra facile, ma a farlo è tutt'altra cosa, sfinito e sudato, mi butto sul materassino a riprendere fiato.
«Samuel, come andiamo? Comunque non ho la minima idea di chi sia il tuo sfidante, quindi tieniti pronto.» - Esclama lanciandomi un asciugamano.
«Sta tranquillo amico, sono nato pronto, diciamo.» - Gli sorrido asciugandomi il viso e il petto dal sudore.
Il seminterrato comincia a riempirsi, ci sono facce nuove rispetto a ieri sera, ma sono comunque pieni di bei soldoni e la cosa non mi dispiace affatto.
«All'angolo destro il vincitore di ieri sera.» - Urla l'uomo rivolgendosi a me e la folla esulta a gran voce.
«Invece alla nostra sinistra abbiamo.» - S'interrompe e una figura salta dentro al ring sorpassando le corde, oh cielo, è il ragazzo di ieri, ma questo vuole proprio prenderle.
«Sfidanti, pronti, tre, due, uno, via.» - Esclama togliendosi velocemente dalla nostra traiettoria, ma non fa neanche in tempo a finire che il tipo mi salta addosso stracolmo di rabbia, devo proprio averlo fatto incazzare.
Mi ha studiato bene, fa di tutto per farmi abbassare la guardia, ma io sono più furbo, ho lottato con gente che ucciderebbe anche solo con il pensiero.
Sferra un bel calcio contro la mia faccia, ma io, velocemente, attorciglio il mio braccio alla sua gamba, proprio come avevo previsto e lo butto a terra, non mi ha nemmeno fatto un graffio.
A cavalcioni sopra di lui, sfogo tutta la mia rabbia sul suo volto, gli faccio sanguinare il naso e la bocca, mentre lui stremato, batte le mani sul tappeto del ring chiedendo la resa.
Sto vincendo dei soldi facilissimi, la folla esulta e vengo proclamato vincitore, ancora una volta.
«Allora, chi è il migliore?» - Mi avvicino esultante al mio amico, che ha le mani piede di denaro e un sorrisone in viso.
«Ragazzo, devo dirlo, mi sei mancato.» - Batte il cinque e mi sventola la mazzetta in faccia per poi mettermela tra le mani, non ne ho mai visti così tanti.
I ragazzi sono arrivati per farsi una birra e festeggiare insieme, ci mettiamo fuori dal locale, dentro fa troppo caldo ed è pieno di gente, poi con tutto quel casino non si riesce a parlare.
Degli schiamazzi lontani attirano la mia attenzione, soprattutto una voce femminile.
«Scusatemi ragazzi, torno subito.» - Annuiscono e seguo la voce, andando nella direzione da cui proviene e voltando l'angolo del locale, nel piccolo vicolo di fianco, trovo il mio sfidante mentre tiene la sua ragazza dalle spalle, bloccata contro il muro e gli inveisce contro.
«Mi hai rotto il cazzo, tu e le tue stupide scenate.» - Urla prepotentemente il ragazzo che ho messo al tappeto un'ora fa. Accelero il passo e mi avvicino a loro abbastanza rabbioso.
«Ehi tu, hai qualche problema?» - M'intrometto scostando la ragazza e portandomela dietro la schiena.
«Vedi di non immischiarti.» - Sibila tra i denti avvicinando la sua faccia alla mia.
«Perché sennò?» - Sfido il suo sguardo sostenendolo, non sarà di certo lui a farmi il culo, non c'è riuscito per due volte.
Carico un pungo, questo qui mi ha proprio stancato, devo dargli una bella lezione che non dimenticherà facilmente, la mia mascella si contrae e il respiro diventa terribilmente rumoroso, come quello di un toro davanti a un mantello rosso, ma lei accorgendosene, mette la sua mano calda sul mio avambraccio fermandomi, il suo contatto crea un brivido che percorre la mia schiena, scosto lo sguardo dal suo ragazzo, al punto dove lei ancora mi tiene stretto, la sua presa è decisa e forte, mi guarda negli occhi e poi torna sulla sua mano, ritraendola di scatto, ma nell'esatto instante in cui compie il gesto, un sonoro respiro le muore in gola.
Fa su e giù con lo sguardo, dai miei occhi al braccio e un velo sottilissimo di stupore le inumidisce gli occhi, solo a guardarla, tutti i miei buoni propositi di calmarmi si accentuano, non merita di essere trattata così da uno stupido come questo qua.
«Tu.» - Pronuncia flebile, quasi non udibile.
Che cosa significa tu?
Guardo dove ha tenuto la sua mano, dove ancora un briciolo di calore si fa sentire e c'è un tatuaggio, uno che solo in tre ne conosciamo il significato, io, John e...
«Kirsten» - La guardo incredulo, gli occhi fissi l'uno sull'altra, giuro di sentire le gambe che stanno per cedermi, il cuore mi palpita all'inverosimile.
Mi ricompongo dal mio stato di trance, causato dai suoi meravigliosi occhi magnetici e mi tolgo dalla traiettoria del suo ragazzo.
«Andatevene e tu, non farti mai più vedere.» - Lo intimo a brutto muso e me ne vado, voltando con dispiacere le spalle alla mia amica.
Me ne torno in mansarda, abbandonando la serata senza avvertire nessuno e con una strana sensazione addosso, non riesco a smettere di pensare a lei, non avrei mai e dico mai pensato di incontrarla. Dannazione, proprio con quel coglione doveva mettersi, ne può avere a bizzeffe, è bellissima, intelligente, in gamba, molto audace anche, per aver avuto il coraggio di toccare uno come me in preda all'ira, disponibile, comprensiva, generosa, non mi basterebbero le parole per descriverla.
Sono sul mio letto e non immagino altro che i suoi occhi, non potrò mai dimenticarli, neanche se volessi e con la sua immagine riflessa nella mia mente, mi addormento sperando di sognarla.
Ho passato quasi tutta la notte in bianco, non riesco a togliermi quella scena, lui che la tiene prepotentemente dalle spalle e lei lì, piccola indifesa, messa all'angolo come un cucciolo bastonato.
Preso da uno scatto improvviso d'ira, sbatto un pugno contro il muro, quando vorrei ci fosse la faccia di quello stronzo al posto del cartongesso, prometto che, se mai lo rincontrerò, lo farò fuori con le mie stesse mani.
Oggi non ho proprio voglia di vedere nessuno, sono incazzato, imbestialito come un bufalo, mi pizzicano le mani e devo sfogarmi.
In carcere non era così, cercavo di contenermi, reprimevo la mia rabbia e facevo di tutto per attenuare tutte le mie amozioni, ma adesso che sono libero, è come se anche loro volessero uscire, mettersi in mostra e farmi vedere che, se prendono il sopravvento, non riuscirò a controllarmi, ma non gliela darò vinta, io sono migliore di così.
Sono arrivato allo Spider, oggi si prospetta la colazione dei campioni, birra e panino, solo a pensarci mi si spacca lo stomaco.
Questa sera spero di avere un altro incontro, Dio solo sa cosa posso combinare al mio avversario.
«Dolcezza, una birra ghiacciata e qualcosa da mangiare, grazie.» - Richiamo scocciato l'attenzione della barista, intenta a limarsi le unghie.
«Stamattina ti ho sentito, qualcosa non va?» - Arriva Kurt, poggiandomi una mano dietro al collo scuotendomi appena.
«Tante cose non vanno amico, comunque te lo dico ora, se si ripresenta quello di ieri sera lo ammazzo.» - Esclamo perentorio, la barista mette sul bancone il mio cibo e la bevanda.
«Non sporcarti le mani con così poco, non ne vale la pena.» - Prende anche lui la sua birra e la fa sbattere con la mia.
Farmi una chiacchiera con Kurt mi ha rilassato, ma non abbastanza da farmi togliere questo maledetto pensiero, mi sembra di rivivere un déjà-vu.
Quel bastardo di mio padre, prepotente e violento, contro quella sciocca di mia madre, che tutto doveva fare, meno che tornare a casa in quelle notti, poteva rimanere nei letti degli sconosciuti, almeno avrebbe evitato tutte quelle botte e strattoni, insulti e imprecazioni nei suoi confronti, si sentiva dire di continuo che era una fallita, che non era brava né a fare la madre né a fare la moglie, mi dispiace per lei, ma non sono stato io a dirle di sposarsi quell'energumeno.
Ma adesso, per fortuna, più nessuno di loro fa parte della mia vita e di certo non li piangerò.
«Vado nel seminterrato, chiamami quando è ora di cena.» - Scolo l'ultimo sorso di birra e saluto il mio amico, che ricambia con un cenno del capo.
Non mi svegliavo a mezzogiorno da anni, ma mi sento riposato e carico.
Combatto contro il mio sacco, che già dopo due giorni è sicuramente stufo di vedermi e torno a pensare a lei, sta diventando un chiodo fisso.
Kirsten, mia cara e dolce Kirsten, perché vaghi nei miei pensieri e non te ne vuoi andare, perché ti tengo legata invece di farti uscire e liberarmi di te, in fondo non siamo niente l'uno per l'altra, abbiamo scambiato solo un paio di lettere niente più, ma perché io allora voglio tenerti qui, con me, a farmi compagnia nella maniera più astratta e concreta allo stesso tempo che possa esistere.
Sento i tuoi passi rimbombarmi nelle orecchie, la tua voce che mi fa trattenere il respiro, il tuo profumo che mi riempie le narici, i polmoni e il tuo tocco, che è come se mi avesse scalfito il cuore.
«Vaffanculo.» - Urlo a gran voce e con tutta la forza che ho sferro un pungo fortissimo, tanto da far staccare la catena che tiene legato il sacco all'asta, che nervoso.
Mi siedo a gambe incrociate contro il muro, il petto mi fa su e giù, sono quasi senza fiato, asciugo il corpo con l'asciugamano e me lo metto dietro al collo, ho bisogno di una sigaretta.
Esco fuori dal locale, è quasi notte e sono stato tutto il tempo rintanato, a sfogare la mia ira, se continuo così non vedrò mai la civiltà che mi sta intorno, ma per ora, non è il momento, non sono pronto psicologicamente per affrontare il mondo esterno.
Fumo la cicca nella tranquillità della sera, interrotta dal suono delle macchine e dal vociare dei passanti.
Una folla interminabile, entra dentro allo Spider, sono tutti qui per vedere uno stupido combattimento tra due bestie, si bestie, perché è ciò che siamo quando varchiamo le corde del ring, dimenticandoci qualsiasi regola che ci contraddistingue dal mondo animale e ci lasciamo guidare dal puro e semplice istinto.
Butto il mozzicone, che finisce al centro del tombino e sbuffo l'ultimo tiro fuori dalle labbra, sono pronto.
Attorciglio le bende alle mie mani e mi svuoto una bottiglietta d'acqua in testa, la sua freschezza mi fa rimanere lucido e salto come una lince sul tappeto bianco, macchiato dal sangue secco di tutte le lotte, ma per fortuna del mio ce n'è davvero poco.
Dall'altra parte, sale il mio sfidante, un uomo sulla quarantina, molto muscoloso e possente, con qualche cicatrice sul corpo coperta da vari tatuaggi, persino sulla testa pelata, sembra uscito da un film dell'orrore.
Saltello sul posto, sgranchendomi i muscoli e appena ci viene dato il via, avanziamo l'uno verso l'altro.
Ci giriamo intorno, aspettando che uno dei due faccia la prima mossa, sferra qualche cazzotto, ma va a vuoto, non so se stia giocando, ma questo suo atteggiamento mi fa abbastanza incazzare, o mi colpisci, o ti fai colpire, o scendi dal ring, non c'è molta scelta.
Ora sono stanco, non mi piace aspettare.
Carico le gambe, dandomi la spinta necessaria per arrivare al suo volto, dato che sarà almeno mezzo metro più alto di me e un calcio in piena faccia lo sbatte contro le corde, ben ti sta.
Furioso, prende la rincorsa, mettendomi un braccio intorno al collo buttandomi a terra, stringe la morsa creandomi un problema di respirazione, ma con tutta la forza che ho, riesco a liberarmi, dandogli un'altra pedata dritta sulla bocca.
Mi alzo in piedi di scatto, mentre lui, inginocchiato, si pulisce il sangue e neanche il tempo di farlo ragionare, che balzo sulla sua schiena, stringendogli le gambe sulla vita e riempiendolo di cazzotti in viso, che sensazione, una liberazione.
L'arbitro, se così si può chiamare, mi scosta bruscamente, ordinandomi di fermarmi e l'uomo è steso a terra sanguinante, mentre i suoi amici accorrono velocemente per aiutarlo, non l'ho mica ammazzato, sapeva a cosa andava in contro.
«Per la terza sera di fila, abbiamo il nostro vincitore.» - Proclama alzandomi il braccio e le persone esultano, contente di aver puntato sul cavallo giusto e io mi sento fiero e orgoglioso.
«Se continui così, a fine anno andremo a vivere in una villa alle Maldive.» - Esclama estasiato e felice Kurt, non aspiro a tanto, voglio solo costruirmi una semplice e umile vita, anche se il suo programma mi stuzzica e non poco.
«Sei stato pazzesco.» - I tre ragazzi che mi ha fatto conoscere il mio amico, sono di nuovo qui, che mi acclamano e battono il cinque.
Pablo, uno spagnolo mio coetaneo, è arrivato qui, con zero soldi ma tanta voglia di mettersi in gioco, fisicamente mi assomiglia molto, tranne per la carnagione un po' più scura della mia, poi Chester, un ragazzo di trent'anni, ex carcerato come me, un trafficante di droga, molto piazzato e alto, ma credo che la sua sia più pancia che addominali, infine Bill, un ragazzino di appena diciotto anni, recuperato da un orfanotrofio, piccolino ma muscoloso, con la pelle bianchissima, quasi marmorea, penso non gli piaccia la luce del sole.
Per adesso sono gli unici amici che ho, con cui posso passare un po' di tempo e parlare di cose normali, come ragazze e sport, anche se non ne capisco un granché di entrambi, con cui posso bere e divertirmi, e finalmente, fare quello che fanno tutti i ragazzi della mia età, socializzare.
«Dai, andiamo a bere, muoio di sete.» - Esclama Chester avviandosi verso le scale e senza farcelo ripetere due volte, gli corriamo dietro.
Anche questa sera il locale è pieno, credo che queste quattro sudicie mura, non abbiano mai visto tutta questa gente e neanche le casse hanno mai visto tutto questi soldi in soli tre giorni.
Inconsapevolmente, sto incrementando le tasche di chi non so chi, forse è qualcuno che ha una famiglia da mantenere, oppure non ha nessuno, ma che m'importa, basta che sia contento e ci permetta ancora di combattere.
La porta del locale si spalanca e un gruppo di ragazzini entra con in mano delle mazze da baseball, riconosco subito il capo banda, questo qui vuole proprio farmi perdere la pazienza.
Nella stanza scende il silenzio, rotto solamente dagli arnesi che strusciano sul pavimento mentre si avvicinano nella mia direzione.
«Lo sai che sei proprio fastidioso.» - Avanzo con fare beffardo, fissandolo negli occhi, perché può fare ben poco qui dentro, non ne usciranno indenni, siamo un centinaio contro una decina.
«Questo è perché non ti sei fatto i cazzi tuoi.» - Sferra un colpo con la mazza sulla mia gamba, facendomi accasciare. I ragazzi avanzano, ma li blocco con un gesto della mano, lui è mio.
«Questo è perché mi va.» - Sgancia un altro colpo sulla mia schiena, atterrandomi, stringo i denti facendo contrarre la mascella, tu sei un uomo morto adesso.
Senza rispondere alle sue provocazioni verbali, gli do un cazzotto proprio sotto al mento e questo significa solo una cosa, sta iniziando una rissa.
Tutti si fiondano su tutti, scaraventandosi per il locale, rompendo sedie e tavolini, qualcuno è stato lanciato anche dall'altra parte del bancone, ma io non tolgo le mani da questo moccioso, è solo lui il mio obiettivo.
Mi colpisce svariate volte con la mazza, procurandomi delle ferite, specialmente sul volto, del sangue gocciola dal mio naso, fino ad arrivare alle labbra, passo la lingua su di esse, il sapore dolciastro e metallico, mi offusca la vista e comincio a dargliene tantissime, senza concedergli neanche un minimo di fiato.
Riprende al volo il pezzo massiccio di legno, impugnandolo come un coltello e appena sta per arrivare al mio volto, le urla disperate di una ragazzina ci fanno fermare.
Si fionda in mezzo a noi, dandomi le spalle, i suoi splendidi capelli biondi mi solleticano il viso, mentre il buonissimo profumo della sua pelle, ancora una volta, m'inebria come mai niente prima d'ora.
Il suo ragazzo è ancora con il braccio alzato che impugna la mazza e la guarda dritta negli occhi, incredulo del suo gesto, anche io effettivamente.
Intorno a noi, qualsiasi rumore cessa, l'unica cosa che riesco a sentire è il suo respiro, frenetico.
«Togliti di mezzo Kirsten, o ce ne sarà anche per te.» - Sbraita lui minaccioso, arrivandole a un millimetro dalla faccia.
«Provaci se ne hai il coraggio Blaide.» - Le risponde lei a tono, ha fegato questa ragazza.
«Bene, ti sei mesa dalla parte della feccia, non tornare da me strisciando domani.»
«Tu non sei meglio di loro, credimi.»
Blaide, colpito visibilmente dalle parole e il gesto di Kirsten, lascia il locale, richiamando a se tutti i suoi mocciosi scagnozzi.
La ragazza, tira un forte respiro di sollievo e ancora appoggiata a me, sento il suo corpo che inizia a tremare, d'istinto, porto le mani sulle sue palle nude, cercando di alleviare la sua sofferenza e la sua paura, che lei accoglie rilassandosi.
A passo lento e con lo sguardo rivolto verso il basso, si posiziona frontale a me, Dio quant'è meravigliosamente bella, le alzo il viso delicatamente con una mano, guardando le sue rosee labbra che tremolano leggermente e portando i suoi occhi a guardare i miei, il mio cuore si arresta, sono stracolmi di lacrime, i suoi splendidi occhioni stanno mettendo in mostra il suo malessere e come se fosse una cosa naturale, la stringo a me.
Smette immediatamente di essere una foglia al vento, avvolta tra le mie braccia, penso si stenta al sicuro e giuro che non vorrei lasciarla andare.
«Io, io devo andarmene.» - Balbetta e si scosta di scatto dalle mie braccia, senza neanche rivolgermi un saluto se ne va, lasciandomi qui, come un coglione, che la guarda andare via senza neanche provare a fermarla.
Ma è giusto che non lo faccia, le causerei più sofferenze di quante già non ne abbia da se.
«Ehi amico, tutto bene?» - Si avvicina Kurt scuotendomi dalle spalle.
«Si, si certo.» - Rispondo incredulo mentre i miei occhi sono ancora fissi sulla porta chiusa.
Lascio la mazzetta della vincita sul bancone del locale, spero bastino per rimettere tutto a posto e torno nella casa del mio amico, ho solo bisogno di stare da solo e dormire, dimenticare i suoi occhi, le sue labbra, il suo intero viso, i suoi capelli, le sue spalle, il suo profumo, voglio dimenticare tutto di lei.
Rannicchiato come un bambino impaurito, mi lascio cullare dai pensieri e come niente, mi addormento.
La voce di Kurt che sbraita al piano di sotto, mi fa svegliare di scatto, chissà con chi ce l'avrà.
Mi vesto e scendo velocemente, per vedere se ha qualche problema che posso risolvere.
«Kurt, che diavolo succede?» - Entro nella stanza mentre lui fa su e giù con il telefono in mano, fa cenno di aspettare e saluta il suo interlocutore riagganciandogli in faccia.
«Quel ragazzino figlio di puttana, è stato sicuramente lui, ha dato fuoco allo Spider stanotte.» - Le sue parole rabbiose mi entrano come un pugno nello stomaco.
«Ma che cazzo dici? Io vado ad ammazzarlo, te lo giuro.»
«Fermati, non vorrai che ti ammanettino di nuovo, quello ci fa il culo con gli avvocati che si può permettere.» - Mi blocca il braccio tenendomi stretto.
«Gliela faremo pagare, te lo prometto.» - Asserisco perentorio e mi avvicino alla macchinetta del caffè, riempiendo due tazze per entrambi.
Si sfrega nervosamente la testa fra le mani, imprecando sottovoce mentre gli passo la sua tazza e con la mia in mano, mi avvicino alla finestra, guardare la periferia da qui mi angoscia, mi sento ancora in gabbia, impotente di fronte alla vita e alle situazioni a cui mi sta sottoponendo, che fastidio.
Scorso lo sguardo tra le case, le persone sono a prendere il sole sulla veranda, i bambini giocano felici e spensierati, quanto vorrei sentirmi come loro, invece no, io mi sento tremendamente in colpa, se non mi fossi immischiato l'altra sera, lui non sarebbe tornato incazzato e non avrebbe dato fuoco al locale, ma non potevo permettergli di usare quel tono e quell'atteggiamento con Dafne, oh mia cara Dafne, per un momento che non stavo pensando a te, dannazione.
«Samuel, ho bisogno di distrarmi, questa sera, insieme a Bill, Chester e Pablo, andremo a berci qualcosa all' AnotheOne e mi raccomando, non voglio problemi.» - Esclama autoritario, annuisco di risposta senza neanche guardarlo, io non creo problemi, sono loro che vengono da me.
«Vado a fare un giro, ci vediamo stasera.» - Esco dalla stanza, non so nemmeno io dove andare, ma ho bisogno di uscire, mi sento soffocare qui dentro.
Cammino per tutta la periferia, tappando le orecchie da qualsiasi suono o rumore, da vociare o brusii, non ho voglia di sentire niente, voglio solo che nella mia testa ci sia un'unica cosa, tutto di lei.
La sua voce, melodiosa, delicata, amorevole e comprensibile, che vorrei sentire a qualsiasi ora del giorno, persino appena sveglio e addormentarmici mentre l'ascolto, come una canzone che non vorrei mai mettere in pausa, voglio sentire il rumore del suo respiro caldo vicino al mio orecchio, mentre sussurra delle parole dolci solo per me, voglio appoggiarmi sul suo petto e sentirle il battito del cuore, che sussulta mentre la sfioro con cautela, voglio sentire il suo corpo che si irrigidisce per l'imbarazzo mentre la guardo e assaggiare il sapore delle sue labbra, secondo me sanno di frutta, come ciliegia o fragola, diamine voglio tutto di lei.
Alzo lo sguardo per vedere dove sono arrivato, ho sorpassato il confine che separa gente come me, dai benestanti e i facoltosi, arrivando in città.
Davanti a me, s'innalza un imponente edificio giallo canarino, con tutte le finestre spalancate e con un bel portone color mogano rifinito accuratamente e sopra di esso, a caratteri cubitali, c'è scritto Folsom Language Culture School, dev'essere prestigiosa per permettersi insegna grande quanto tutta la scuola.
La osservo e l'ammiro all'ombra di una pianta, non sarei andato di certo in un istituto come questo, però mi sarebbe piaciuto stare in una classe, con tanti altri ragazzi, seguire le lezioni e annoiarmi anche, la pressione per lo studio, un buon voto oppure uno pessimo a cui dover porre rimedio, avrei voluto tutto questo.
La campanella della scuola, mi riporta alla realtà e una marmaglia di ragazzini escono ammassati, corrono a gambe levate, come se gli si fossero appena aperte le porte dell'inferno.
Continuo a guardarli, mentre ridono e si salutano, ognuno sale sui rispettivi autobus e chi nelle auto dei genitori, oppure nelle proprie, chi si incammina a piedi e chi invece vuole concedersi altri cinque minuti con i suoi amici prima di tornare a casa, ma un volto famigliare cattura il mio sguardo, Dafne.
Compio si e no dieci metri con passo titubante, se si girasse di scatto nella mia direzione mi vedrebbe all'istante, ma sono anche curioso di vedere quale sia la sua reazione.
Mi accendo una sigaretta, scrutando ogni suo movimenti, è delicata e fine, ha un sorriso che rimane impresso, come i suoi occhi, una sua amica però, si accorge di me e mi rivolge un sorriso, ma non le do peso, continuo a guardare Dafne, potrei stare qui per ore.
Si porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e divincola lo sguardo intorno a se, come se si sentisse osservata, ma non arriva a me, però la sua amica continua a fissarmi, sta diventando fastidiosa, faccio altri due passi verso di lei, vorrei davvero parlarle, anche solo per dirle ciao.
«Credo stia guardando te.» - Le dice l'amica ridendo e dandole una piccola gomitata sul braccio.
«Chi scusa?» - Attonita e con lo sguardo accigliato, si volta versa di me e non appena incrocia i miei occhi la vedo che s'inchioda.
Un sorriso appare sulle sue labbra, ma neanche il tempo di contraccambiarle il saluto, che una decappottabile sfreccia di fronte a noi e frena facendo stridere le gomme sull'asfalto.
Scruto il guidatore, solo per dirgli che è un imbecille e che non serve a niente farsi il gradasso davanti a delle ragazze, ma appena capisco chi è, un senso di rabbia pizzica sulle mie mani, è il coglione del suo ragazzo e Dafne, non curandosi di me davanti ai suoi, sale nella macchina e ordina a Blaide di partire, pensavo fosse migliore di così.
I miei occhi seguono la macchina allontanarsi e il bastardo che è in me, fa quello che non dovrebbe fare, esce fuori per dare il meglio di sé.
«Ciao ragazze.» - M'intrometto nella loro conversazione, puntando proprio quella che m'infastidiva, anche se tutto sommato è carina.
«Ehi straniero, non sei di queste parti vero?» - Ammicca in modo decisamente sfacciato, mordendosi il labbro inferiore e attorcigliandosi i capelli tra le dita.
«Sono tornato da poco, diciamo. Sentite questa sera avete da fare?»
«Per te, direi proprio di no.» - Continua imperterrita, non avevo idea che le ragazzine di oggi fossero così aperte a nuovi orizzonti, per essere delicato.
«Mi fa piacere, tesoro, allora vi aspetto all'AnotherOne stasera, portate chi volete.» - Le saluto e lancio un occhiolino volante alla tipa, che arrossisce in viso.
Credo proprio che mi divertirò.
Mi riavvio verso la periferia di Folsom, devo prepararmi, voglio che questa sera gli occhi di tutte le ragazze siano puntati su di me e non perché io sia un tipo vanitoso, tutt'altro, ma perché voglio che accada sotto lo sguardo di Dafne, nessuno si prende gioco di me, tantomeno una ragazzina.
Il tragitto all'andata mi è sembrato più corto, forse perché ero assorto nei miei pensieri, ma finalmente sono arrivato.
«Kurt, sei in casa?» - Busso contro la porta del suo appartamento, ma evidentemente non c'è e entro lo stesso, in mansarda non ho un bagno, devo per forza lavarmi qui.
Entro in doccia, quanto mi piace potermi pulire senza che nessuno mi guardi, era inquietante sapere che c'erano altre persone mentre facevo i miei bisogni, ma niente era peggio di quando dovevo andare in bagno, solo il ricordo mi fa rabbrividire.
Adoro l'acqua calda che scivola su di me, è una sensazione che non ha prezzo, m'insapono per bene, adesso ho tutto il tempo del mondo per farlo, non c'è chi mi tiene il conto dei minuti, tranne Kurt, che potrebbe arrabbiarsi se gli faccio salire la bolletta dell'acqua.
Indosso l'accappatoio e mi metto davanti al lavandino, credo di dovermi fare la barba, anche se non è incolta dato che non me ne cresce moltissima, ma per stasera devo sembrare un quindicenne, devo rimorchiarle tutte.
«Amico, sono tornato.» - Urla Kurt da dietro la porta del bagno, credo abbia sentito l'odore del bagnoschiuma.
«Arrivo, ho quasi fatto.»
Esco dal bagno, lindo e pinto, sul tavolo c'è un po' di cibo, in effetti ho una gran fame.
«Dove sei stato oggi?» - Prende un forchettata di pasta e se la porta alla bocca.
«In giro, sono arrivato fino in città, tu?»
«Sono passato all'AnotherOne, per dire a Gregory che stasera andremo lì, è un mio carissimo amico e ha detto che ci riserverà il miglior trattamento.» - Sorride continuando a riempirsi la bocca e io faccio lo stesso.
«Perfetto, sarà una serata indimenticabile.»
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TURADH - Il mio squarcio di cielo azzurro durante una tempesta.
RomanceSiamo padroni del mondo, o solo del nostro tempo, responsabili delle nostre azioni, o solo delle conseguenze. Difficile capirlo quando chiunque ti circonda è nella tua stessa posizione. Samuel, un ragazzo cresciuto velocemente, tra tre mura e sbar...