♡☼「 ᵗᵃʳᵈᵒ ¹⁸⁰⁰」 ☼♡
La giovane Evelyne, a seguito della morte di entrambi i suoi genitori, è costretta a vivere in un orfanotrofio, per cinque anni.
A causa del suo carattere irrequieto, viene trasferita in una nuova casa ospitante dove incontra Seb...
Credevo che mi avrebbe accompagnata alle cucine o nello sgabuzzino dei detersivi per qualche punizione, invece con mia sorpresa si fermò davanti alla porta delle camerate.
"Lascerà la reggia domani mattina all'alba. Prepari le sue cose."
"M-mi scusi?" L'affermazione mi lasciò attonita.
"Ha combinato fin troppi guai in questo posto, senza contare della brutta influenza che ha sulle altre matricole."
"No..." dissi sull'orlo del pianto
Lo sguardo di sorella Josephine era tagliente e determinato. Irreversibile. Sapevo che se avessi provato a fare qualcosa non sarebbe accaduto nulla di buono e avrei solo rischiato di peggiorare la situazione. Non ero la prima a cui era capitato. Entrai nella camerata. Ero sola. Raggiunsi il mio letto e frugai sotto di esso. Grandi lacrime si calavano sulle mie guance per poi cadere e schiantarsi al suolo. Passai l'intera sera a rimuginare su tutti i ricordi vissuti in quel posto. Nonostante tutto, non era stato così spiacevole.
Sdraiata tra le ruvide coperte del mio giaciglio, fissavo il soffitto senza dormire. Le luci che inauguravano il sonno erano già state spente.
"Evelyn sei sveglia?" sussurrò Millie che aveva raggiunto silenziosamente il mio letto.
"Si. Ti turba qualcosa?" chiesi.
"No, è solo che..." dubitò lei.
Alzai le coperte facendole segno di sdraiarsi accanto a me. Lei si coricò abbracciandomi.
"Ti voglio bene Evelyn."
"Anche io Millie." Ci addormentammo.
Il giorno seguente mi ritrovai all'interno di una carrozza. Non la carrozza che trasportava i bambini adottati, bensì quella del trasferimento, colma di rancore e solitudine. I miei pensieri vagavano alla rinfusa alla ricerca di una qualche risposta che, se fosse arrivata, avrebbe portato la speranza di un posto migliore. E Millie? Le lasciai un bigliettino. Un anno di amicizia racchiuso in un singolo fogliettino sgualcito, strappato da chissà quale gazzetta. Poche parole dirette che rappresentavano il mio arrivederci. Sì, perché compiuta la maggiore età, avrei preso in mano la mia vita e sarei scappata da tutto questo. Tenevo salda tra le braccia la mia sgualcita borsa di tela contenente 2 vestiti e qualche ricordo. Mi feci coraggio. All'arrivo, il cocchiere fermò la carrozza e mi intimò di scendere.
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L'edificio era poco distante dai miei occhi. Mi accorsi subito di alcuni ragazzi che sedevano sul muro del cortile e mi scappò un sorriso.
Mentre camminavo verso il cancello dell'entrata sentivo gli occhi degli stessi che mi squadravano da testa a piedi. Mi sistemai i capelli, forse per imbarazzo. Notai il cancello socchiuso ed entrai. Non sapendo dove andare, chiesi informazioni ai ragazzi seduti sul muretto.
"Scusatemi." essi si girarono ed uno di loro scese dall'altura con un balzo veloce e preciso. "Buongiorno signorina." disse prendendomi la mano per poi avvicinarla alle sue labbra sfiorandola con esse. Ritrassi la mano, non abituata a questi tipi di cortesie. Tentai di abbozzare un inchino. Sembrava un giovane della mia stessa età. Aveva dei lineamenti finissimi, quasi femminili. Occhi grigi e una folta chioma scura. Era alto e molto magro.
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"Il cancello era aperto e mi sono permessa di entrare" dissi.
"Oh si, non ti preoccupare. Devi essere la ragazza nuova" pronunciò le sue parole con una tale informalità... Mi diede quasi fastidio.
"preferirei che mi desse del lei" dissi composta.
"Mi scusi Madame, in questo luogo non è comune usare le buone maniere" disse in tono ironico e divertito.
"Se è così, mi rincresce informarla che con questo atteggiamento non dà una buona impressione."
La verità era che nemmeno io ero più abituata alle buone maniere. Negli orfanotrofi si creavano sistemi di classi sociali, nei quali si doveva solo sperare di non finire sotto la mira di qualche vandalo. Nuovo posto, nuovo inizio. Avevo intenzione di farmi rispettare. Mai, e dico mai avrei permesso a qualcuno di mettermi i piedi in testa.
Mi voltai e mi diressi verso quello che in lontananza pareva un portone in legno di ebano.
"Sempre dritta e volta a destra!" urlò il ragazzo alle mie spalle. Proseguii.
Dopo una decina di metri raggiunsi le porte della casa. Ne aprii una con delicatezza. Una signora vestita di tutto punto era seduta su una seggiola alla mia destra.
Vedendo il mio viso si alzò leggiadramente e si presentò. "Buongiorno. Io sono la signorina De La Courte e gestisco Chatsworth house, questo orfanotrofio."