"Con un forte sospir rispose Achille:
O madre mia, ben Giove a me compiacque
ogni preghiera: ma di ciò qual dolce
me ne procede, se il diletto amico,
se Pàtroclo è già spento? Io lo pregiava
sovra tutti i compagni; io di me stesso
al par l'amava, ahi lasso! e l'ho perduto."_______________
Cantavano i poeti le urla di un eroe, per un amore che ormai aveva perduto. Cantavano il dolore, pungente, una rosa spinosa protetta nel petto forte. Cantavano le lacrime, l'assenza di una pelle, un respiro spento nel mezzo di una tempesta.
E Manuel li sentiva. Gli stringevano forte il cuore, le parole dei poeti. Gli ronzavano nella mente, come un promemoria, a ricordargli che stavolta quelle maledette urla erano le sue. Facevano a pugni con i suoi polmoni, li annebbiavano, lo privavano di fiato e lo facevano sentire più morto dell'uomo di cui cantavano.
Più morto del ragazzo di cui Manuel sperava non avrebbero mai cantato.
Simone oscillava tra vita e morte come le onde giungono a riva: ritirandosi a nuova vita, se abbastanza forti, o morendo sulla sabbia cocente. E lui aveva sempre pensato a Simone come al mare; ma non avrebbe mai voluto fare questo paragone.
Simone era la freschezza dell'acqua salata in una giornata d'estate; un appiglio a cui aggrapparsi quando si sta per bruciare. Era il profumo del sale e l'onda travolgente, viva, energica, imponente. Era uno schizzo di purezza sul viso, un fondale trasparente, una bellezza spaventosa, un abisso sconosciuto.
Era tutto ciò che di bello c'era la mondo; era tutto ciò di cui i poeti avrebbero cantato.
Ora che Manuel non riusciva a dormire, però, Simone era anche dolore. Il suo pensiero sapeva di amarezza, di inganno, di perdita. Era un tormento persistente, un martello fisso sul cuore, e Dio se faceva male. Tanto male che non riusciva più a veder nulla, neanche se apriva gli occhi. Con la sola ipotesi che Simone rischiasse di volar via, il mondo si era trasformato in un immenso vortice di oscurità; nulla più Manuel riusciva a scrutare, se non il letto di Simone da lontano, e nulla più riusciva a sentire, se non i bisbìgli dei medici riguardo la sua condizione.
A Manuel non era mai capitato di smarrire se stesso. Gli era successo di perdere qualcosa, o qualcuno; ed era stato difficile andare avanti, ma gli era riuscito lo stesso.
Ora era diverso. Con Simone se ne stava andando anche lui; era come non poter più percorrere la via di casa, nonostante ce l'avesse davanti. Non riusciva a trovare alcuna ragione di essere, di esistere, se al suo fianco Simone non respirava. E Dio, se aveva paura. Si sentiva un bambino abbandonato al suo destino, vittima di un taglio eseguito troppo presto, anche se la vita tagliata dalla durezza delle Parche non era propriamente la sua.
Che vita poteva essere, quella vissuta in agonia?
I poeti ritenevano che ci fosse bellezza nel dolore. Ma dov'era la bellezza in un fiore appassito? Dov'era la bellezza in un animo vuoto, perso, donato nella sua interezza a una vita che questo non voleva? Come poteva desiderarla poi, se la sua gli era stata negata?
Come poteva Manuel vivere, se Simone fosse morto?
Dove sarebbe esistito, se non nel suo cuore? Dove avrebbe vissuto, se non nella sua mente?Simone era la base di un palazzo di per se già fragile. Manuel aveva fatto di lui le fondamenta della sua vita; ma se lui fosse venuto a mancare, il palazzo sarebbe crollato. E con esso, anche Manuel ne sarebbe inevitabilmente uscito distrutto.
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Come cantano i poeti. || simuel
FanfictionSimone respira più morte che vita. Manuel non riesce a dormire.