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Che quella sarebbe stata un'estate da non dimenticare, Simone l'aveva capito subito. Perché era arrivata impaziente, e violenta, col suo carico di caldo e di ore interminabili, appena finita la scuola. A spazzare via l'incertezza di quell'inverno di transito e il dolore di quella primavera assurda, regalandogli l'illusione di poter essere davvero felice. Almeno per qualche mese, almeno fino alle prime avvisaglie dell'autunno.

E così se l'era goduta pienamente, prendendo tutto quello che aveva da offrirgli.
E cercando di farsi meno domande possibili.

I primi di Settembre lui e Manuel avrebbero dovuto sostenere, in maniera del tutto informale, una specie di esame di riparazione. L'aveva deciso la Preside, in accordo con Dante, per non far perdere l'anno a nessuno dei due. Non era stato facile convincerla, ma suo padre non era certo uno a cui si poteva dire di no.
Così avevano trascorso l'intera estate a ripassare il programma, e a preparare due tesine sulle loro materie preferite. Manuel stavolta si era messo d'impegno. Non voleva deludere Dante, che aveva creduto in lui fin dal primo giorno.

Il tempo di qualche pomeriggio al mare e di qualche birra con gli amici, poi si erano chiusi nella casa in campagna, coccolati dalle colazioni di nonna Virginia, dai consigli di Dante, e dai dischi di Anita che suonavano vecchie canzoni. A studiare Kant e matematica.

Solo a volte si concedevano qualche ora di tregua, un ritaglio di tempo, una fuga.

Roma, che così bella non era stata mai. Le corse in moto, i baci rubati nei suoi giardini carichi di profumi, le mani di Manuel, gli abbracci per strada. I film in bianco e nero guardati nel salotto fresco uno gettato sull'altro, le dita tra i capelli, i respiri calmi e il frinire dei grilli fuori dalla finestra. E poi ancora le cene tutti insieme in veranda, il profumo di citronella, le canzoni suonate alla chitarra, le videochiamate a sua madre, le serate passate a fumare senza dirsi niente, oppure a parlare. Ché non serviva molto, in sere come quelle: l'abat-jour accesa sul comodino, la voglia di parlare fino a tardi, loro due sdraiati nel letto a petto nudo. A ridere di niente, e piangere allo stesso modo.

E nelle sere più calde, distesi sull'erba a bordo piscina, una sigaretta in due. Sotto un cielo pieno di ricordi e di stelle, a interrogarsi sul sistema solare e sulla vita.

E fare l'amore tra le lenzuola di lino, farlo come fosse la prima volta. Per poi addormentarsi abbracciati, respirando uno dalla pancia dell'altro.

Probabilmente a Settembre sarebbe tutto finito. Con le giornate più corte, le prime foglie cadute e le prime felpe indossate, sarebbero tornati i malumori di Manuel, le sue risposte sfrontate, il divieto di fare domande, e di toccarsi. E si sarebbe chiesto un'altra volta se quello che si erano dati in quei giorni era esistito davvero oppure no.


Ma quella sera no, non voleva pensarci.

Luglio era finito da giorni, e aveva ceduto il posto a un Agosto spietato. A Roma le giornate non finivano mai, il caldo non dava tregua, e solo dopo il tramonto si tornava a respirare. L'esame era sempre più vicino e la tensione iniziava a farsi sentire.

Lui e Manuel stavano studiando da ore in camera sua, le teste sui libri, mentre al piano di sotto Dante e Anita ballavano, scombinati, le canzoni di De Gregori in salone. Le loro risate, leggere, si sentivano anche con la porta chiusa.

"Ma che c'avranno da divertisse?" mormorò Manuel, disteso a pancia in giù sul letto, facendo dondolare una matita tra l'indice e il medio.

Simone sbuffò, voltandosi verso di lui. Un sorriso timido sulle labbra, le spalle nude incurvate dalle troppe ore passate seduto alla scrivania.

"So' innammorati" disse.

"Che c'entra, pure io so' innammorato, ma mica faccio così"

Sgranò gli occhi, Simone. E posò la matita sui libri, girandosi verso di lui.
"Che hai detto?"

"Che ho detto?" ripeté Manuel con innocenza.

Probabilmente aveva pronunciato quelle parole senza neanche pensarci.
"Hai detto che sei innamorato" e si piegò verso di lui, i gomiti sulle ginocchia, un sorriso che non ne voleva sapere di spegnersi.
Manuel sospirò e chiuse il libro, lasciandoci la matita dentro, arreso.

"Mi sembrava fosse chiaro"
"Non me l'hai mai detto"

"T'o dico adesso" gli sorrise lui.

A quel punto Simone si alzò e andò a sedersi sul letto, vicino a Manuel. Dal piano di sotto, le note di Rimmel e le risate di Anita. Guardò il ragazzo in silenzio, con i suoi occhi grandi, prima di farsi avanti.

"Scusa chi te dice che stavo a parlà de te?" lo allontanò l'altro, un sorriso sfrontato.

E Simone, serio, abbassò lo sguardo.

Ma subito Manuel scoppiò a ridere, prese il suo viso tra le mani, "Quanto sei serio Simò, 'n se po' manco scherzà" e lo baciò.

Pochi minuti dopo, i loro vestiti erano per terra. Il letto sfatto.


"Sai che c'è?" parlò poi, per primo, Simone.

La mano dietro la nuca e una sigaretta accesa tra le labbra.
"Che?" domandò Manuel guardandolo.
Un filo di voce, la nuca appoggiata sul suo petto. Era disteso in maniera trasversale sul letto.
"Pensavo che questa è stata l'estate più bella della mia vita" e soffiò via il fumo.

"Pure pe' mme" commentò Manuel. Gli occhi grandi e curiosi a fissarlo, le mani appoggiate sul petto.

"E adesso che succederà?" domandò Simone dopo qualche istante di silenzio, fissando il soffitto.
"In che senso?"
"Tra poco ricomincia la scuola" disse. "Insomma, st'estate è stato tutto perfetto ma..."
"C'hai paura?"
"Io no. Tu, piuttosto"

"Io non c'ho paura" rispose il più grande. E quando aveva quel tono, Simone non riusciva mai a capire se parlava sul serio o fingesse una tranquillità che in realtà non aveva.

"Sicuro?"
Silenzio. Manuel si scostò per guardarlo negli occhi.
"Sì"
"Guarda che non voglio più passare quello che ho passato l'anno scorso per colpa tua"
A quel punto Manuel si girò a pancia in giù, e gli disse serio: "Non succederà"

"Dovremmo anche pensare a come dirlo agli altri"
Manuel rise.
"Penso l'abbiano già capito"
"Dici?"
"E se non l'hanno capito, tranquillo, ce penserà sicuramente tu padre a spoilerarlo a tutti"

Sbuffò, Simone. E alzò gli occhi al cielo.
"Se facesse i cazzi suoi" disse.
Manuel ammiccò divertito.
"Te dà fastidio?"

"No..." mormorò Simone. "È che... è una cosa mia, questa"
"Nostra" precisò Manuel tornando a guardarlo.
"Scusa se fino a qualche mese fa era solo mia"

"Che c'è, vuoi litigà?" lo rimproverò Manuel. Il viso girato verso di lui, il corpo in tensione.
"No, per carità" e posò una mano sulle sue. "Certo che hai la coda di paglia eh" e aspirò il fumo della sua sigaretta con fare, inconsapevolmente, seducente.
"Senti chi parla..." gli fece il verso Manuel.
"Ma levate!" lo spintonò lui ridendo.

"Sai che c'è?" disse poi il riccio, dopo un istante di silenzio.
"Che?"

"Fanculo tutto, Simò" e gli sfilò la sigaretta dalle dita. "Questi sono i nostri anni"


Simone rise.

Aveva ragione, Manuel.

Pur con tutti i giorni da dimenticare, i dolori indicibili, la confusione, le cazzate, gli scontri con suo padre e il cuore a pezzi, quell'anno gli aveva cambiato la vita. E con quello, lo sapeva, gli anni del liceo in generale. Perché non sarebbero mai stati più giovani e forti di così, mai più coraggiosi e più belli. Perché se adesso si sentivano polvere di stelle, entrambi, era per quel "noi" che uno di loro una volta aveva avuto il coraggio di pronunciare, trascinandoci dentro anche l'altro. La vita, poi, aveva fatto il resto. E perché quella cosa lì - Manuel sdraiato con la testa sul suo stomaco, e il suo sapore sulle labbra - qualunque cosa fosse... lo faceva sentire di nuovo, finalmente, vivo.

I nostri anni || Simone e Manuel OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora