C'ERA un silenzio irreale per la quantità di gente. Ognuno misurava le parole, i gesti e persino i sospiri.
Solo il muratore si muoveva rapido: un piccolo strato di malta, un mattone e così via fino a comporre una fila, poi con lo scalpello spezzava l'ultimo mattone per renderlo della dimensione giusto e con la cazzuola rimuoveva il materiale in eccesso.
Mai il muratore fu osservato tanto intensamente, quasi fosse il sacerdote dell'ultima cerimonia.
In pochi minuti la bara sparì dalla vista e il loculo fu chiuso del tutto. Per la lapide definitiva doveva aspettare ancora un po', ma bastava quella paretina a segnare un deciso confine tra il mondo di qua e quello di là.
Qual è il senso? si domandava Andrew. I soliti interrogativi difronte alla morte, che a raccontarli sembrano banali, ma al momento giusto ti esplodono nella testa e ti proiettano in un mondo buio pesto, senza nemmeno un punto di riferimento ( era per questo che Andrew di notte si teneva accesa una di quelle lucine che si infilano nella presa: non era paura del buio, ma paura di perdersi).
Quelli delle pompe funebri se ne andarono, Andrew li salutò borbottando qualcosa di incomprensibile a cui loro risposero con qualcosa di altrettanto incomprensibile.
La piccola folla pietrificata si mise lentamente in moto.
A uno a uno si avvicinarono alla tomba, abbracciavano Andrew e si incamminavano sul viale di ghiaia.
Naturalmente oltre che amici erano tutti frequentatori abituali del bar Venere.
<<Se ne vanno sempre i migliori>>, fece Tonino il meccanico (caffè lungo).
<<Eh già, e a noi ce tocca resta'!>> continuò Pino il parrucchiere (caffè al vetro).
Anche Luigi il falegname (caffè corretto sambuca) aveva da dire la sua: <<Il femore, mannaggia allui! Come la mia povera mamma, riposi in pace>>.
Via via passarono Lino (caffè ginseng) con l'inseparabile cane Junior, Alfredo il fornaio (caffè al vetro schiumato), Gino il macellaio (caffè al vetro macchiato caldo) e Rina la fioraia (caffè al vetro con bicchiere d'acqua).
Dario (caffè ristrettissimo in tazza bollente), che aiutava Andrew al bar, chiuse la processione. <<Ti aspetto alla macchina>>, disse, lui che con le formalità non ci sapeva proprio fare.
<<Si>>, gli rispose Andrew, che fino ad allora si era risparmiato a ricambiare le pacche ricevute, <<ah, e di' a tutti di venire prima dell'orario di chiusura: beviamo qualcosa alla sua!>>Andrew si avvicino alla tomba della signora Maria e sfiorò con una mano il basamento di marmo. Chiuse gli occhi e vagò nel passato in cerca di ricordi: erano così tanti che per gustarseli non gli sarebbe bastata l'intera giornata.
Così provò a sceglierne uno e il primo che gli venne in mente fu il matrimonio di sua sorella Camilla.
La signora Maria s'era fatta tanti di quei pianti che il Tevere a momenti straripava. Lei stessa, universalmente riconosciuta come miglior sarta di Trastevere e dintorni, aveva confezionato il vestito da sposa. Ma già al momento dell'ultima prova aveva versato tutte le sue lacrime. Anzi, proprio tutte non si può dire, perché ne aveva in serbo una quantità infinita anche per inondare la chiesa di Santa Maria in Trastevere, il ristorante del banchetto e il marciapiedi lì fuori, quando gli sposi erano partiti per la luna di miele.
Figurarsi quando poi, di lì a poco, Camilla s'era trasferita in Canada al seguito del marito, ricercatore universitario, che aveva avuto la classica offerta che non si può rifiutare.
Insomma, la fiera del pianto...
Ma, a piangere, Andrew proprio non ci riusciva, perché era un uomo e una forza misteriosa gli impediva di lasciarsi andare, eppure avrebbe volentieri restituito ognuna di quelle lacrime alla signora Maria, perché se c'era una che se lo meritava era proprio lei, quella donnina paffuta, allegra e generosa, semplice e affettuosa.
Riaprì gli occhi e pensò a Camilla che non era potuta venire la funerale. Non la vedeva da dicembre, quando il marito si era stranamente liberato dal lavoro per una settimana e lei l'aveva convinto a trascorrere il Natale a casa.
Al telefono due giorni prima, tra un singhiozzo e l'altro gli aveva promesso che entro la fine dell'estate aveva promesso che entro la fine dell'estate avrebbe lasciato il marito alle sue ricerche e sarebbe volata a Roma per trascorrere con il fratello almeno due settimane.
Andrew si fece il segno della croce, portò una mano alla bocca e poi sfiorò la tomba per lasciare lì il suo bacio.
Si diresse verso il cancello del cimitero. Ma dopo pochi metri si ricordò di una cosa e tornò sui propri passi.
<<Che stupido! Ecco qua la tua tazzina preferita, amica mia>>, disse sottovoce, dopo aver controllato con la cosa dell'occhio che non ci fosse gente nei paraggi.
La lucidò con la manica prima di deporla accanto al cactus portato da Lino che serviva, così gli avevano detto, a proteggersi dai campi magnetici dei telefonini (cosa che in altri momenti gli sarebbe costata infinite prese in giro, ma non ora e non qui).
Sulla tazzina sbeccata c'era la scritta PARIS e i disegni stilizzati della Torre Eiffel e dell'Arco di trionfo.
Faceva parte della serie speciale che Andrew aveva progettato (non disegnato, per carità, con il disegno non ci sapeva fare) per la signora Maria poco tempo prima.
Come aveva detto Luigi il falegname, la rottura del femore è la madre di tutte le disgrazie. Nel caso della signora Maria non era chiaro se il femore si fosse rotto per la caduta o se la caduta fosse stata causata dalla rottura del femore, fatto sta che tra l'operazione, la riabilitazione, i lunghi giorni nel letto d'ospedale, era tornata a casa in condizioni che definire precarie era essere ottimisti.
Ma il suo sorriso non era mai venuto meno.
Era piuttosto chiaro che dal suo appartamento, terzo piano senza ascensore, non sarebbe uscita tanto facilmente, anche lei ci aveva scherzato sopra: <<Certo, sarà dura rinunciare ai miei viaggetti all'estero!>> riferendosi al fatto che non si era mai mossa da Roma in vita sua.
Andrew allora aveva ordinato al suo fornitore una serie di tazzine con i disegni e i nomi delle più importanti località turistiche del mondo.
Il giorno che gli erano arrivate era felice come un bambino. Aveva scartato l'involucro di plastica e aspettato con impazienza il momento di portare il consueto caffè alla signora Maria. Però non era riuscito a resistere e si era presentato con un quarto d'ora d'anticipo; per fortuna lei aveva già finito di mangiare, altrimenti quel primo caffè speciale sarebbe stato un fallimento, perché la signora Maria, il caffè, amava berlo bollente.
<<Guarda dove ti porto oggi!>> E le porse la tazzina di Barcellona , con un quadro di Mirò. <<Grazie caro. Sono emozioni un po' forti per la mia età, speriamo che il cuore regga!>> disse sorridendo.
<<Ma certo che regge: è una città stupenda, c'è l'aria di mare che sale dalle Ramblas, il museo di Picasso, le case di Gaudì...>>
<<Ah, che bellezza>>, fece lei con gli occhi socchiusi, <<tutto questo senza muovermi da casa e senza il rischio di essere scippata! Grazie , Andrew, fatti abbracciare! Però niente corrida eh? Quella mi fa senso!>>
<<Ovvio, Maria, niente corrida. A parte che dovrebbero proprio proibirla quella cosa là. No, per te solo tapas e passeggiate. E magari una salitina alla Sagrada Familia. E, comunque, ricordati che questo è solo l'inizio. Da oggi in poi, tieni sempre la valigia pronta!>>
Ogni giorno un viaggio diverso. Andrew metteva insieme quei due o tre luoghi comuni sulla città in questione e si facevano qualche risata. Poi la signora Maria restituiva la tazzina e il giovane barista a malincuore se ne tornava in postazione.
C'è sempre troppa fretta, pensava ogni volta, poco tempo per chi ne ha bisogno.
Poi fu il turno di Parigi. Doveva essere una località come un'altra, ma quella volta la signora Maria rimase più del solito a contemplare la tazzina con un sorriso enigmatico. C'era qualcosa nel suo sguardo che colpì Andrew. Non la aveva mai sentita così lontana e pensierosa.
Quando l'anziana signora fece per riconsegnare la tazzina al suo giovane amico, per qualche istante così, ferma con una mano sospesa a mezz'aria, come se stesse pensando a qualcosa di accaduto molto, molto tempo prima.
Lo guardò negli occhi, poi, come se ci avesse ripensato, si riportò la tazzina al petto, all'altezza del cuore.
<<Ah Parigi! Quanto mi piacerebbe poterci andare!>> disse con un sospiro. Raccolse il cucchiaino e picchiettò sulla ceramica come per verificare la qualità o qualcosa di simile. <<Questa è decisamente la mia preferita! Bravo il mio Andi... sai sempre come farmi felice!>> esclamò poi, sforzandosi di sembrare allegra come al solito.
<<Eh, lo dico sempre io: le vie del caffè sono infinite!>> fece lui.
Ma lei non sorrise, aveva ancora quello sguardo pensieroso come perso nel vuoto. Poi cominciò con quella sua voce calma piena di sfumature che a Andrew ricordava una scogliera ( ma non avrebbe potuto spiegare il motivo, forse per l'alternanza tra asprerità e dolcezza): <<C'era questa mia cugina, la chiamavamo Teresina anche perché era piccola. Era molto più giovane di me, ma eravamo inseparabili. Era quasi una figlia per me. Poi un bel giorno, bello per modo di dire, mi annunciò che aveva sentito da suo padre che si sarebbero dovuti trasferire a Parigi. Ricordo che sapevamo che dovevano partire, ma ignoravamo quando, come o perché e a me sembrava così ingiusto che nessuno aveva chiesto il nostro parere. In quel periodo non ci staccavamo mai, facevamo sempre tutto insieme. E noi tutti, bambini, ci illudevamo che sarebbe stato così per sempre. Continuavo a ripetermi che non era possibile, che dovevamo aver sentito male e non avevo il coraggio di chiedere spiegazioni né a mio padre che a suo padre, mio zio. Alla fine sono partiti davvero e mi sono ritrovata sola. Non feci niente per trattenere Teresa e non ho fatto niente nemmeno più tardi negli anni successivi. Forse dentro di me avevo la sensazione che si fosse dimenticata di me, e non lo avrei sopportato. Fantasticavo sulla sua nuova vita in quella città esotica e misteriosa, con una lingua diversa che non conoscevo... ma chissà perché non ho mai pensato che infondo avrei anche potuto cercarla, mandarle un segnale>>. Si voltò verso Andrew, poi subito distolse lo sguardo << Se solo avessi saputo... se avessi saputo...>> disse, quasi a se stessa, in un sussurro.
Il quel momento, la tazzina parigina le cadde dalla mano che leggermente tremava ancora, spezzando il silenzio che era venuto a crearsi.
<<Che disastro...>> disse lei. <<Ho anche rotto la tazzina. Le mie colpe mi seguono ancora!>>
Andrew la raccolse: << Ma che dici? Si è solo sbeccata, direi che ora è più bella, ha quel tocco di vita vissuta che prima le mancava!>>
Lei sorrise e sospirò: <<Sei sempre stato tanto caro tu, mi metti di buonumore. Adesso però dovrai tornare a lavoro, ma fammi una promessa: quando, in vita tua, penserai che qualcosa è davvero importante, promettimi che andrai fino in fondo, che lotterai e combatterai, e non lascerai il dubbio e la paura a decidere per te. Altrimenti ti condannerai a una vita di rimpianti. Non so se capisci cosa intendo... me lo prometti?>>
Andrew annuì e prima di andare via l'abbracciò, bagnandosi le guance con le sue lacrime.Mentre si allontanava dalla tomba, Andrew ripensò a quelle parole: le mie colpe mi seguono ancora! Che colpe poteva avere una creatura così gentile? Una persona che non avrebbe calpestato un'aiuola o gettato una carta per terra nemmeno sotto tortura, una donna sensibile e rispettosa, una che aveva vissuto sottovoce per ascoltare meglio le esigenze degli altri? Forse avrebbe dovuto chiederglielo, quel giorno: e lei gli avrebbe confessato chissà quale innocente distrazione ingigantita dagli anni! Invece non le aveva chiesto nulla.
A ogni modo era finita. E qualsiasi peccato avesse commesso, di sicuro era già stata perdonata e adesso stava sulla via per il paradiso ( uno prima di andarci si prenderà pure la soddisfazione di fare un salto al proprio funerale, no?).
Andrew era talmente stanco che aveva voglia di tornare subito a lavoro. Sì, perché la chiacchera da bar è la più potente medicina contro la tristezza.
Salì sulla macchina di Dario. Con lui non c'era nemmeno bisogno di parlare: se la signora Maria era la sua seconda mamma, il signor Dario era di certo il suo secondo papà, e poi era uno che sapeva stare allo scherzo, ma capiva alla perfezione quand'era il momento di tacere. Andrew lo guardò e sorrise. Se non fosse stato al volante lo avrebbe abbracciato. In giornate come questa un abbraccio fa sempre bene.
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Un Caffè, un Cappuccino e Roma
RomanceAndrew ha poco più di trent'anni, è il proprietario di un piccolo bar nel cuore di Roma e non si è mai innamorato davvero. In fin dei conti sta bene anche da solo, continua a ripetersi. Fino al giorno in cui una ragazza con le lentiggini, gli occhi...