Tutta la vita è un processo di demolizione

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3 Novembre 1868

 

Mia ancora, mio amore, mio tutto.

Questa lettera è il mio ultimo tentativo disperato per poter parlare con te ancora una volta. Avevo promesso che ti avrei scritto, dopotutto, ed eccomi qui a mantenere il mio giuramento, seppur con un ritardo così grande che probabilmente te avrai già dimenticato il mio volto. Spero con tutto il cuore che ciò non accada mai perché io, il tuo volto, non riuscirò mai a dimenticarlo.

Ancora una volta mi ritrovo ad invertire la realtà e le apparenze, a sorprenderti come ho fatto il giorno che ci siamo conosciuti.

Ti scrivo perché ho bisogno di parlarti. Ti scrivo perché ho bisogno di crederti ancora una volta vicino a me. Ti scrivo perché mi manchi. Ti scrivo perché non posso farne a meno, perché la mia voce ha bisogno di viaggiare per il mondo e di raggiungerti ancora una volta.

Ti starai probabilmente chiedendo dove io sia finito, per quale motivo le mie parole ti stiano giungendo con un così immenso ed imperdonabile ritardo. La verità, amore mio, è che temo di non sapere io stesso dove si trovi il mio corpo, in questo momento. Sono qui, in una landa desolata e dimenticata dal mondo intero. Non ne conosco nemmeno il nome. Sono solo, esattamente come desideravano.

La mia mente, però, è altrove. Ovunque all’infuori di qui. Buffo, vero? La mia mente è sempre stata altrove, ma mai come in questo momento sento il peso della solitudine.

Mi sento un albatro, elegante volatile ma goffo animale terreste. Esattamente come lui ero solito ergermi sopra a chiunque altro, dall’alto del mio mondo. Eppure tutto è cambiato. Sono stato catturato, sono stato deriso, sono stato costretto a vivere in una voliera di cristallo. La mia voliera è grande, rigogliosa, simile all'Eden in terra. Mi permette di volare come facevo un tempo ma non di viaggiare lontano come la mia natura ha sempre richiesto.

Mi sento in trappola. Mi sento morire. Mi sento snaturato di me stesso.

Non voglio morire. Non voglio perdermi. Non voglio perderti.

Ho bisogno di parlare di me per non perdere la concezione di quello che sono, di quello che ero. Ti sembrerà egoistico da parte mia, ma sono sicuro che solo tu possa capire quello che veramente sto vivendo in questo momento. Perché tu, e nessun altro, ha capito quello che ero.

Non ho avuto l’occasione di rispondere a quel quesito che mi posi quella sera, non ho mai avuto l’occasione di parlarti davvero di me e probabilmente questa mia lettera sarà l’unico mezzo per poterti illuminare sulla mia vita tanto quanto tu hai illuminato la mia intera esistenza.

Credo di aver scoperto la mia strada quando avevo poco più di sei anni. Mio padre per la prima volta mi aveva portato con sé per mostrarmi la città. Lui doveva fare delle compere, io dovevo scoprire il mondo. Eravamo di fronte alla drogheria più rinomata quando incontrai un uomo bizzarro. Bizzarro, almeno, era per i miei occhi di bambino che nulla aveva visto al di fuori della propria casa. Ricordo una sola cosa dell'aspetto di quell'uomo: i guanti in seta rosa. Mi rimasero impressi perché quella tinta ero sempre stato sempre solito vederlo addosso a mia madre, o alla mia tata, ma mai indosso ad un uomo. Mi incuriosì: volevo conoscere quell’essere così stranamente elegante o, almeno, ammirarlo dal più vicino possibile. Sgattaiolai dalla presa poco salda di mio padre, troppo occupato a discorrere col droghiere per preoccuparsi di me, e raggiunsi quella buffa figura ferma al lato opposto della strada.

Tutta la vita è un processo di demolizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora