La fine dei doppiogiochisti ignavi

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[da Sii responsabile - capitolo 3]

Correvamo come i dannati inseguiti dai sempiterni delle bolge e affannati arrivammo al lato ovest del campo, da dove la squadra dei Red e Alessio si sarebbero dovuti appostare per un eventuale ausilio alla missione. Ed ora ci era chiaro come il sole perché non vennero: i Red erano stati brutalmente trucidati.

Pezzi di carne svolazzavano insanguinati dovunque, sui rami, tra i cespugli, vicino le radici degli alberi. Brandelli di pelle e muscoli come dilaniati da cani rabbiosi erano lasciati alla deriva, lí in bella vista perché noi li vedessimo, perché noi fossimo avvisati. Chi si era occupato di quei superbi ignavi, ancora insicuri se scegliere noi o il nemico che li uccise, si era sicuramente divertito a spogliare di ogni tessuto intorno alle loro ossa per mandarci un chiaro e semplice messaggio. Lo stesso messaggio che ora era formato da quelle bianche, dure e resistenti ossa, messe a creare crudelmente delle lettere. Per intimorirci, per impaurirci, per inquietarci.

"Vi aspetta molto altro"

Mena, le gemelle e io cademmo a terra come sacchi morti senz'anima, sorrette a mala pena dagli uomini anch'essi turbati e senza píú adido a confortarli. Piangevamo a dirotto, facendo turbare ancor piú Ettore che rimase pietrificato dallo scenario a pochi passi da noi. Lui non capiva, non poteva capire cosa ci potesse essere di cosí tremendo da far impaurire noi, l'Organizzazione. L'ignoto lo attanagliava come la piú grande delle forze distruttive del mondo, uccidendolo dentro. Crolló infatti anche lui in ginocchio esasperandosi, urlando e dando sfogo alle sue frustrazioni.

Ma quello che in realtà non poteva capire, che non poteva vedere, Ettore, era il vero motivo del nostro pianto. Era un pianto liberatorio, grazie al quale la nostra tensione riuscí a evadere dalle nostre stanche membra per lasciare posto alla tranquillità e alla serenità, perché non avevamo paura di omuncoli che cercavano di atterrirci con mezzucci squallidi, non eravamo per nulla tristi dello sterminio di quattro emeriti stronzi superbi, eravamo felici che Alessio fosse vivo.

Ebbene sí! Tra le mani Mena, come del resto ogni cosa di particolare significato, teneva i quattro orologi comunicativi di quegli scellerati; fortunatamente mancava solo quello del nostro capo.
Improvvisamente un fruscio tra le foglie alla nostra sinistra ci mise in allerta, facendoci alzare di scatto pronti per un probabile attacco. Scoprimmo subito però la figura del nostro capo stanco e provato, come se avesse corso per chilometri.

-Ho... ho sentito... urla ed io...- parlava affannato e a singhiozzi poggiandosi sulle ginocchia e indicando con un dito tremante quella che doveva essere la direzione da dove provenivano le urla che sentí. Prese aria e poi indicó i brandelli rimanenti dei corpi davanti a noi. -E poi urla... qui...- finí con tristezza rialzandosi e risistemandosi.

-Ok, si riparte!- disse CK nel silenzio che venne a crearsi osservando quelle povere anime trucidate ingiustamente.

Il nostro lavoro ci insegna che stare attenti e fuori da affari spinosi per noi è la prima regola per sopravvivere.

Di certo non volevamo che morissero ed anche se sapevamo che sarebbe successo non avremmo mai voluto una fine cosí atroce per nessun nemico. Ma andó cosí e noi non potevamo far nient'altro se non dargli un degna sepoltura.

Confutato che Alessio era incolume, prima per mancanza di prove del contrario poi per la sua apparizione, non ci restava che tornarcene alla base.

Taira

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