Prologo

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L'autobus correva veloce sotto la pioggia incessante di novembre, facendo schizzare l'acqua delle pozzanghere sporche sul marciapiede rischiando di bagnare i passanti.

Era pieno di persone anziane che, incuriosite, scrutavano la strada attraverso la finestra, uomini in giacca e cravatta che frequentemente si portavano il polso impreziosito da un orologio all'altezza del petto per controllare l'ora e di ragazzini con le cuffie alle orecchie ascoltando probabilmente musica commerciale.

In mezzo allo scroscio incessante, c'era una ragazza minuta che si nascondeva tra i sedili in fondo al veicolo. Leggeva attenta un libro fantasy, sfogliando delicatamente le pagine, come se avesse paura di rovinarle in qualche modo.

La finestrella aperta che arieggiava l'interno, faceva svolazzare i suoi capelli corvini davanti al viso dandole un leggero solletico sulle guance.

Distolse un attimo lo sguardo dal libro che teneva sopra le gambe osservando la luna luminosa che dominava il cielo notturno di quel venerdì sera. Sorrise alla vista magnifica di quel bianco brillante che illuminava debolmente tutta la città di Seattle; pensò a tutte quelle volte che rimase fuori casa ad osservare incuriosita le stelle, stesa nel prato regolarmente tagliato perfettamente, del suo migliore amico Kevin.

Ripensò anche alla pace che provava stando là da sola, i pensieri che svanivano e la leggerezza corporea che percepiva.

I suoi ricordi s'interruppero bruscamente quando l'autobus fece una violenta frenata improvvisa, facendo sobbalzare sul posto tutti i passeggeri. Guardò fuori dal finestrino cercando di capire cosa fosse appena successo, ma inutilmente.

L'esterno era tutto buio in quella strada secondaria, perciò si intravedeva ben poco e l'atmosfera sembrava tutt'altro che tranquilla. Una signora sull'ottantina si alzò fulminea, con la borsetta a tracolla che le arrivava fino al fianco sinistro, e cercava di uscire attraverso le porte di emergenza, le quali non lasciavano speranza nel suo intento. Frustrata, andò verso l'autista a chiedere probabilmente spiegazioni, ma quando rivolse uno sguardo all'uomo, sbiancò di colpo urlando a gran voce.

La ragazza chiuse immediatamente il libro e lo gettò non curante dentro lo zainetto grigio e, afferrandolo, lo mise sulla spalla pronta ad alzarsi. Le poche persone si precipitarono verso la signora, ormai a terra con una mano che le copriva la bocca, con gli occhi sgranati dall'incredulità.

Una testa corvina si fece spazio tra la gente, ansimando per la preoccupazione, e vide la testa dell'autista chinata verso il basso, gli occhi quasi fuori dalle orbite, le mani senza vita lungo i fianchi e un piccolo ma tagliente coltello conficcato precisamente nel suo cuore.

Il sangue sgorgava a fiotti violenti e infiniti, macchiando tutta la vetrina frontale del veicolo.

- Che cosa sta succedendo qui? - domandò un ragazzino dalla bassa statura con la paura e lo schifo dipinto in viso.

- Qualcuno l'ha ucciso, non so come abbia fatto. - rispose la ragazza, esaminando con lo sguardo quella scena raccapricciante.

- Chi sei tu? Sei un'infermiera? - la voce del ragazzo era squillante, non riuscendo a nascondere il suo disgusto. Probabilmente stava per mettersi a vomitare.

- No, sono solo una studentessa. Mi chiamo Reven e ti consiglio di non continuare a guardare. - aveva la faccia dura, ferma, quasi a volerlo rimproverare.

Un altro uomo afferrò il martello di emergenza, con la punta in diamante, e spaccò in mille pezzi il vetro. Lo scavalcò e altre persone lo seguirono, per poi correre via.

Reven rimase lì, con il cellulare acceso, componendo il numero della polizia e aspettando una risposta. Dopo qualche squillo, una donna apparentemente giovane, le chiese cosa non andasse. In fretta e furia, lei sembrò vomitare tutte le parole che le stavano attraversando per la testa, spiegando goffamente tutto l'accaduto.
- Non ti preoccupare, sta arrivando la polizia, dammi per favore il numero della strada, così posso comunicarlo alle autorità. -

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