Aspera

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Di tutte le cose che ho imparato quando andavo a lezione di violino quella che mi è rimasta più impressa fu la prima cosa che mi disse il maestro: più la stanza è vuota più si sentirà l'eco. E vi posso assicurare che nel vuoto spazio profondo i propri pensieri risuonano dentro di sé come se urlassero.

Sto navigando da molti giorni a bordo di una scialuppa di salvataggio. Le apparecchiature sono state danneggiate, e non riesco a capire quale sia la mia posizione, né quale sia la mia direzione.

Dieci giorni fa ho inviato l'SOS, ma nessuno ha mai risposto. Credo di essere finito in qualche settore ancora sconosciuto.

Ho quasi terminato le provviste, e l'aria è ormai satura. Con i miei ultimi respiri voglio lasciare una testimonianza di quello che è successo all'Astra, qualora qualcuno trovi questo messaggio.

Mi chiamo Stefano Raimondi, e sono l'unico superstite dell'equipaggio.

La nave Astra partì l'otto di agosto del 2135 dalla stazione spaziale Shepard su Marte. L'equipaggio contava sei membri: eravamo guidati dal capitano Buck, uomo esperto abile nel guidare le navi in viaggi spaziali, Ivan era il suo secondo in comando, poi c'era Amy, il medico di bordo, e infine c'eravamo io, Milo, e Samù, un ragazzo di origini samoane alla sua prima missione, che formavamo la squadra di tecnici.

Dovevamo raggiungere il sistema T-35. Questo era un piccolo sistema solare costituito da quattro pianeti che orbitavano attorno ad una stella nana, Aspera. Uno dei pianeti, Truth, il secondo a partire dal centro, era considerato potenzialmente abitabile. Raggiungerlo significava percorrere una distanza inimmaginabile, e sarebbe richiesto un lancio attraverso la fionda gravitazionale. Questa era l'ultimo ritrovato nel campo della fisica, era un costrutto circolare grande quanto uno stadio da calcio. Al suo interno ci lavoravano centinaia di persone, tra matematici che dovevano calcolare le coordinate delle traiettorie, e meccanici che dovevano tenerlo perfettamente funzionante. Non ho mai capito come funzionasse di preciso, ma permetteva di compiere grandi balzi da un punto all'altro dell'universo in pochi istanti.

L'AMS, l'agenzia spaziale marziana, decise di inviare una squadra che costruisse una testa di ponte in modo da permettere il viaggio di ritorno dopo un lancio con la fionda gravitazionale.

Per l'occasione avevamo ricevuto tre mech che io e la squadra avremmo pilotato per costruire la testa di ponte. Con queste macchine avremmo potuto spostare grandi quantità di peso abbreviando di moltissimo i tempi di costruzione. Senza questa missione avrebbe richiesto tempi così lunghi da non permettere alla squadra di tornare a casa.

Una volta nell'Astra, entrammo all'interno delle capsule di contenimento. Queste erano strutture in piombo dalla forma ovale, al loro interno erano imbottite di una sorta di cotone ricavata dal nichel.

Una troupe medica ci condusse in un coma profondo, capitano compreso. Viaggiare attraverso la fionda era un qualcosa che chiedeva qualche accorgimento. La pressione e le basse temperature a cui saremmo dovuti esporci sarebbero state tali da stroncare le nostre vite in pochi secondi. All'interno di quelle capsule saremmo dovuti restare al sicuro, protetti da ogni tipo di condizionamento esterno. Il viaggio sarebbe durato due settimane, il coma avrebbe rallentato il metabolismo così tanto da permetterci di sopravvivere per la durata del tragitto. Una flebo da dodici litri di nutrienti, attentamente somministrati, ci avrebbe nutrito.

Come da procedura una squadra di tecnici programmò il pilota automatico affinché ci conducesse verso la fionda gravitazionale dove, una volta attraccati, fummo lanciati verso T-35.

Ero caduto in un sonno così profondo che non sentii nulla del viaggio, né la partenza né l'arrivo. Quando mi svegliai era come se non fosse passato un giorno.

AsperaWhere stories live. Discover now