settimana scorsa siamo al bar. il proprietario è sempre stato un tipo a posto, ma ci prova con te. mary, sei bellissima. ecco perché. mi sciogli il cuore nel cappuccino e forse l'hai fatto anche con lui. ordini un quadratino di torta della nonna. hai un dolcevita nero. ti stringe le braccia piccole. ci avvito attorno pollice e medio, racchiudendole. sono il tuo bracciale. il seno dentro il dolcevita è diventato più bello, perché hai messo il reggiseno nuovo. non li vuoi mai mettere, i reggiseni, infatti ti contorci tutta sul divanetto. ordini un succo di mirtilli e mi chiedo come sia possibile che si posi sulle tue labbra e te le accenda così bene. vorrei leccartele. "vuoi un sorso?" mi chiedi. ti dico sì, mi chino e ti lecco le labbra. forse il proprietario ci sta guardando. sorrido. tu no, ma le guance ti si colorano di mirtilli. oh, mary.
undici di mattina. di stamattina. undici ottobre. stesso bar. hai mangiato tre quadratini di torta della nonna e hai il collo che ti profuma di pinoli. dici di avere lo stomaco pieno. mangi sempre pochissimo. mary, pranzo fuori? ti chiedo. fai no con la testa. tante volte no. ti stai per mettere a piangere. no, mary, va tutto bene. tutto quanto bene. ti abbraccio le guance. ho le mani grosse, coi calli e gli anelli ma a te va bene. ti lascio i segni. le gote ti profumano di camomilla. siamo davanti la biblioteca. che bella che sei.
torniamo a casa ch'è meglio. torniamo nell'appartamento sciatto sciattissimo ma tu lo illumini. ci sta la lampada dal tono ambrato che illumina i miei quadri in salotto, ma io preferisco l'aura tua. mary, io ti amo. te lo dico ma non mi senti. te lo dico mentre sei sotto la doccia, che ti starai strappando la pelle dei fianchi e quella della cute. sento l'odore di marcio da qua. mi gratto il naso. ti sento gemere e poi lamentarti. intanto scrivo un po', che la cena l'ho preparata ma non ho speranze. non ho speranze che tu la mangerai. c'è l'avocado affettato con una punta di maionese. come piace a te. almeno credo. non so più nulla. leggo qualche estratto di "Ulisse" di Joyce. porca puttana che noia. mi fumo una sigaretta lontano dagli occhi tuoi, fuori al balcone, con Torino che mi guarda in faccia. mi sono innamorato, le spiego. la città ride e vorrei ridere ma invece piango un po'. piango per me, per quello che sono diventato. piango per te, mary, ché ti amo da morire e non voglio che te ne vada. piango per i capelli tuoi riccissimi che voglio annusare e piango per le tue cosce graffiate e profumate di cielo. quanto cazzo ti amo non lo sai ma lo saprai mai? boh.
esci dalla doccia, mangi l'avocado con la maionese, guardiamo la tv insieme, tu guardi il cellulare. hai gli occhi d'un cervo investito, mary, che ti succede? vorrei aiutarti. "ma no, Ale, sto bene. domani mercatino?" mi sorridi. sei una bambina. ci sarà un domani, mary?
vaffanculo, io ti bacio. lo faccio e sono rude. volevo farlo dopo. volevo farlo prima. mi importa, a 'sto punto? ma che ne sai, tu. ti bacio e ti spingo sul divano, ché mi sono rotto il cazzo dei romanticismi. ma per te sono un romantico. sempre. ti bacio ed è una tempesta di stelle, un rubinetto aperto, un'anfora traboccante di mare. il mare di Capri, quello blu dolcissimo. la tua bocca mi vuole bene ma non mi ama. posso sentirlo ma non fa niente. non mi offendo. mi aggrappo ai cuscini, a te, alle pareti. mi aggrappo alla sigaretta di qualche minuto fa e mi aggrappo alla speranza che tu non ne abbia sentito l'odore nella mia bocca. ti aggrappi alle mie spalle. vorrei divorarti ma posso solo leccare i contorni. sono stanco. domani non ci sarà. ti stai sgretolando sotto di me e posso solo guardarti. ti guardo, mary. quanto sei bella, mary. quanto ti amo, mary.