2: Through Paris, all through...

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Mercoledì 14 gennaio 2015, ore 20:42, Londra, civico 86 di Ladbroke Grove, appartamento di Harry.


Aveva dormito troppo. Alle 11:30 del mattino si era coricato nel suo ampio letto di stampo giapponese, piazzato sopra l'elegante isola di quercia che lo ormeggiava, dentro lo spazioso appartamento situato in una ramificazione di Notting Hill. Il presupposto era di concedersi un sonnellino per staccare la spina alla corrente dei pensieri ed evitare di ritrovarsi schiavo dei propri impulsi ancora una volta. Quel sonnellino era durato ben nove ore.

Si era assopito eludendo l'urgenza sfrenata di bere, e si era svegliato con il proposito di stordirsi. Erano trascorsi già dieci minuti da quando aveva iniziato a rovistare in ogni angolo dell'abitazione, senza ottenere alcun successo. Sua madre aveva mantenuto la promessa di depurare l'ambiente da qualsiasi traccia di peccato lampante o latente. Aveva scovato tutti i suoi nascondigli, anche quelli più impensabili.

Maledetta donna scrupolosa e affidabile.

Ne ebbe l'assoluta certezza quando, dopo aver riadagiato il tetto bianco di ceramica sul canestro del galleggiante, dovette scendere dal bordo del gabinetto a mani vuote.

Camminò a piedi nudi fino al salotto, con i pugni appallottolati sulla faccia e i gomiti puntellati allo stomaco.

Non era possibile. Come mai avrebbe potuto sopravvivere a quella sevizia da sobrio?

Acchiappò un paio qualsiasi di scarpe dall'armadio della camera lasciato aperto e le indossò, senza preoccuparsi di interporvi dei calzini. Aveva fretta. Non importava che fosse inverno e che stesse nevicando e le che le temperature fossero algide, lui aveva bisogno di bere. Soltanto di quello: non di calzini, e nemmeno di una giacca. Soltanto di bere. Vodka, possibilmente. Una di quelle costose che non lascia il sapore del fiele sul fondo della gola.

Agguantò il mazzo di chiavi dal tavolino basso del salotto, sollevò i pantaloni appigliandosi a uno dei passanti e corse verso la porta.

Quasi per errore si voltò verso sinistra, dove era sistemato il grande specchio quadrato incorniciato dalle lampadine al neon. Non avrebbe voluto incontrare la propria immagine riflessa, e non era difficile stabilirne il motivo: aveva un aspetto terrificante. I capelli castani non erano che una catasta di ricci sparpagliati in ogni dove che lambivano le spalle, le iridi verdi erano circondate da striature rossastre che sparivano dietro la frontiera delle ciglia. Si era addormentato con indosso la felpa color mogano e i pantaloni scuri stracciati al ginocchio, ora stropicciati, a causa dell'irrequietezza che aveva governato il suo sonno. Calzavano larghi. Aveva perso molto peso, negli ultimi tempi: pur sforzandosi, non rammentava l'ultima volta in cui aveva consumato un pasto decente. Probabilmente era successo lo scorso settembre, in occasione del compleanno di Niall.

Ma cosa stava diventando? Cosa stava cagionando a se stesso? Quando era diventato l'ologramma di ciò che era stato un tempo?

In quel momento, si sentì non più essere umano, non più ragazzo, non più persona dotata di cuore e sentimenti. Si sentì un giocattolo, inanimato ed esanime, niente che potesse ricollegarsi a un qualcosa di vagamente funzionante.

Era diventato uno di quei cloni che presto avrebbero popolato Neverland, uno dei tanti con cui le persone avrebbero potuto interagire. Era un costrutto fabbricato sulle frottole che raccontava ai mass media, la copertina perfetta di un libro tremendo.

Era Harry Styles. Ma a lui mancava essere Harry. Soltanto Harry.

Ritirò la mano avviluppata alla maniglia e si approssimò allo specchio, per strofinare le dita sopra l'immagine riprodotta del suo volto. Aveva voglia di accarezzarsi. Ma non ebbe il coraggio di farlo davvero, poiché si percepiva come una minaccia. Esisteva una parte di sé che aspirava a risorgere, e l'altra che, invece, già si adoperava per scavare la fossa dentro la quale seppellirsi.

Somewhere in Neverland [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora