Locale di pianura

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Non capisci perché sei cosi solo stasera.
Comincia a fare buio,e comincia anche a piovere.
Inserisci delicatamente la quinta e azioni i tergicristalli.
Prendi nota dell'ora: 20:58.
Non capisci perché hai tutto questo tempo, a cosa ti serva esattamente. A volte hai la brutta sensazione di non capire niente,di non aver mai capito niente,di esseri lasciato vivere così, quasi senza volerlo. Ti viene da sorridere:questa è una di quelle volte.
Automaticamente pensi a anche alla prossima volta che ti succederà, chissà dove,chissà perché.
Vorresti sentirti ancora più solo,ancora più disperso in quella penombra caliginosa che scorre al di la del parabrezza,dovresti abbandonarti ancora di piu alla seduzione della notte,cercare nuovi motivi di vita in un pianeta di gente morta.
Basta cosi poco a capire tanto.
Oppure ci vuole tanto a capire cosi poco?
La strada assume un leggero pendio in salita,non sai dove ti trovi di preciso. Scali la marcia,perché è la prossima cosa da fare,la piu logica,quindi la piu pura. Perché questa ansia di purezza,di spazi misteriosi, di visioni da rubare alla trasgressione?
La risposta è rimasta molti chilometri indietro.
Ora la strada torna ad essere piana. È cosi rettilinea che ti senti obbligato a seguirla e ,con essa,la direzione che assumerà il tuo destino, dove e quando deciderai di fermarti,se lo deciderai.
D'un tratto avvertì la pressione di ciò che ti sei lasciato alle spalle, come un alito ghiacciato che ti sfiora i capelli sula nuca.
Stai fuggendo da qualcosa,da qualcuno. Chissà forse sei ubriaco.
Adesso è davvero buio,e non hai idea dei chilometri percorsi senza un motivo apparente.
Svolti a sinistra,entri in un viale alberato,e in un attimo, ti trovi nel centro di una tranquilla cittadina di pianura. Rallenti di colpo,perché ti mancano informazioni essenziali.
Sai soltanto che è un sabato sera di fine maggio, e che hai una voglia selvaggia di bere un jackdaniels molto ghiacciato, appollaiato su uno sgabello alto,con i gomiti appoggiati sul banco,come imprigionato a vita in un quadro di Hopper.
Indirizzi uno sguardo fugace al tuo viso riflesso nello specchietto. Ti si sono arrossati gli occhi per colpa di qualche polline senz'altro presente nell'atmosfera, ma non fa niente, trovi con sollievo il flaconcino di collirio nel taschino della camicia.
Accusi un sovraccarico emotivo, e senti che il tuo pensiero sta elaborando dieci miliardi di impulsi in tempo reale.
Aspetti che arrivi un'ultima informazione a sincronizzare questi impulsi.
Il viale alberato sembra infinito.
"Forse lo è" ti rispondi in silenzio.
Il viale è veramente infinito, nel senso che la sua apparente linearità è in realtà una curva così impercettibile da non farsi stimare in parametri sensibili, ma che lo stesso ti imprigiona, lasciandoti credere di essere libero.

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