ghost 1

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Ancora visioni.
Affacciata ad una del tante finestre infrante del Conservatorio di Santa Caterina ecco la donna severa,immobile nella sua imperfetta bellezza e contenuta nella sua reclusione.
È la proiezione della stessa donna che in un'altra piega della memoria portava un nome strano ,e aveva un grosso cane dal muso triste, che girottolava per il paese a leccare il gelato che i bambini facevano cadere per terra.
È lo spettro della donna che portava una spilla a forma di stella,mentre si faceva un autoscatto guardando l'obiettivo con occhi algidi e con la bocca che raccontava tutte le bocche di donna.
Nessun utente ha mai pienamente beneficiato di quegli occhi, di quella sospensione, di quella bocca spessaumida ed il suo contorno capolavoro. Peggio per lei.
Ed ora eccola là nel suo relitto paranormale, nel corridoio umido del Conservatorio, a scandirmi il suo messaggio noioso ogni volta che passo da questa scorciatoia per cercare la terapia del silenzio. Vado oltre, senza nemmeno indugiare,facendo finta di non averla né vista né riconosciuta. Non c'è nulla che la la faccia incazzare come passare oltre il suo sguardo fingendo di non conoscerla.
È da tanto che è finito il tempo dei gelati, delle lontane e calde estati marescane. Io sono peggiorato,o sono guarito, o sono un'altra persona. Che mi fissi pure con quegli occhi rigati di sangue che dovrebbero terrorizzarmi. Che ripeta pure la tediosa tiritera sulla verità cercata e trasfigurata nella fotografia. Che mi annoi ancora e ancora con la storia del suo amore esotico,bello e perduto,che torna a cercare ogni anno,prendendo un volo qualsiasi per un luogo qualsiasi del mondo.
Mi sono dimenticato cosa sono venuto a fare in questo paese dove la mia povera mamma mi diede alla luce non so quanti anni fa.
Questo è un gennaio venuto per durare mille giorni.
E siamo solo al 10.

La grande fontana di via Roma,riflessa nella vetrina dell'edicola, è un'evidente chiave alchemica che doveva betabloccare questo elevato tono ansioso, tipico dell'inverno inoltrato.
Qui dovevo allenarmi al successivo step del distacco, come si fa per gli addominali, disabituarmi cioè alla simmetria del riflesso.
Invece...
Invece arrivano altre diapositive dalle didascalie deliranti,ed ancora, questi grumi di paura che risento e non ricordo, questo traffico di sere festive e piovose, zitto e piegato su un foglio a disegnare profili di persone morte.
Provo a decidere un percorso: piazzetta Cini, Port'Arsa, via Roma ed infine l'ex Maeba, oggi pieno di erbacce, very creepy, che rinchiude le infermiere di Silent Hill, sibilanti e contorte nelle loro erotiche crisalidi.
Piu cammino tra i nomi di questi luoghi, e più mi sembra di trovarmi in uno dei tanti enigmi pomeridiani di De Chirico.
E infatti rieccomi davanti al Conservatorio. Il fantasma della donna che in vita aveva un nome strano è ancora lì a fissarmi. Stavolta,sul suo viso mezzo decomposto colgo un sorrisino di sfida. Ho capito.
Se non scrivo qualcosa di lei,temo che non mi farà piu uscire da questa sequenza temporale.
Questa donna dal nome strano, quando non era ancora un ghost, era capace di occhiate oblique e radenti. Per questo mi piaceva disegnarla in una stanza in penombra, di schiena mentre fumava, rivolta in direzione della luce supplementare che la neve proiettava dall'esterno.
L'ultima volta litigammo perché, secondo lei,avevo disegnato scorrettamente il suo braccio alzato sopra la testa, attribuendole così una postura innaturale. Tentai senza successo di convincerla a vedere l'opera finita nel suo contesto globale,più che nei dettagli.
E poi ero io l'Artefice, chiamato dall'Oracolo a fissare sulla pergamena la sua fugace e discutibile bellezza, a scrivere nelle piccole storie della Storia il suo nome strano, a sublimare ciò che restava della sua consunta femminilità.
Non capì, né io seppi spiegarmi meglio. Tornai incazzato e deluso nello scriptorium dove bollivano ancora i miei intrugli dell'Arte Ermetica.
Miscelai Bitume di Giudea alla Terra d'ombra, pistacchi e Lagavulin. Poi dipinsi uno scorcio di Pistoia dalla terrazza di Rossano, relitti di barche all'Ardenza, la villa di Triste Le Roy. Per tante notti mi sembrò di afferrare i seni della donna, ma erano solo i cuscini.
Poi tutto è trascorso in fretta. Trascorsero tantissimi tramonti medievali,mentre la squilla di compieta,deliziava la devozione dei fedeli, e la mia clausura. È tutto.

Il vento mi dice di sbrigarmi.
Devo tornare all'asciutto e al caldo,prima che metta neve.

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