Capitolo 1

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CAPITOLO 1

Madison

Eccomi qua, seduta per terra sul mio balcone con la sigaretta fra le labbra e lo sguardo perso nel vuoto. Sono rimasta sola, sola come un cane abbondonato sul ciglio della strada. Ho appena compiuto diciotto anni, forse è il destino, era tutto calcolato: mia madre lasciò sola me e mio padre il giorno del mio ottavo compleanno e dieci anni dopo mio padre morì. Leucemia. Questa parola mi tormenta la testa, non riesco a togliermela dalla mente, mi sento paranoica, ma è quello che penso di me. Spengo la sigaretta e mi affretto ad entrare, il vento freddo di febbraio mi dava fastidio, ma non rifiuto mai le mie sigarette, dovesse esserci meno quarta gradi, io esco e accendo quella dannata sigaretta. Vago per la casa come se mi dovessi portare un peso morto dietro, mentre il cane mi sta affianco. Mi è solo più rimasto questo cosetto pieno di peli: Harry. Perché quel nome? mio padre un giorno mi disse che se fossi stata un maschio mi avrebbero chiamata Harry; mio padre adorava quel nome, ma non venni mai a sapere il perché.

Perché i globuli bianchi hanno battuto i globuli rosso? Non ha senso. Altre parole con cui, io, Madison mi tormento ogni giorno. Scrollo la testa.

"Certo che ha senso. È così e basta. Devo smetterla di leggere quel libro; D'Avenia mi sta influenzando coi suoi libri!" dico esasperata.

Mi ci vuole un attimo di vita, così inizio a preparare il borsone, almeno la pallavolo mi è rimasta, l'unica cosa concreta e sana di questa vita del cavolo. Non ho nemmeno un ragazzo e lasciamo stare gli amici. Non cerco né uno e né l'altro: avevo mio padre e adesso ho il mio cane e la pallavolo.

Mi guardo nello specchio dell'entrata e raccolgo tutti i miei capelli, forse devo tagliarli, ma non posso spendere soldi e alla fine non sono così male. Lunghi, mossi e neri, non sono perfetti, ma io gli accetto come sono. Dovrei accettare anche un po' me stessa, ma quello lasciamolo dov' è, magari, un giorno lo farò. Mi avvolgo nella sciarpa grigia e pesante e nel mio cappotto lungo fino a metà coscia e metto le mie scarpe, il mio unico acquisto di più di 100 sterline. Mi comprava tutto mio padre, a lui faceva piacere e mi fulminava con lo sguardo se solo veniva a sapere che avevo speso i miei soldi, mi diceva sempre "Tieniteli, ti potranno servire. Per qualsiasi cosa tu voglia basta che chiedi." Ma le mie adorate Dr Martens le avevo comprate quando mio padre era in ospedale, in un momento di crisi. Dopo mi ero pentita, ma dovevo puntarmi su qualcosa che non fosse una malattia o qualsiasi altra cosa; un paio di scarpe nere: perfette no?

Esco di casa e Albert Road è più tranquilla del solito. Prendo il mio tabacco e filtrini e anche se ho le mani che stanno andando in ipotermia mi giro la mia sigaretta, non perfetta, ma fumabile. Dieci minuti dopo mi trovo davanti alla palestra. Ho sempre avuto la sensazione che la maggior parte delle mie compagne di pallavolo mi odino, non so bene il motivo, ma in fine dei conti son io che dovrei odiarle. Mi faccio dei culi allucinanti per dare il meglio del meglio, poi arrivano le figlie degli sponsor che mi passano davanti. Per fortuna da quest'anno abbiamo cambiato allenatore: è un ragazzo giovane, avrà cinque anni in più di me e non guarda chi sono le figlie dello sponsor, in più queste gli sbavano dietro, è vero, è un bel ragazzo: occhi di un azzurro che ti incanta, bicipiti perfetti, un sorriso perfetto e un culo che farebbe invidia a chiunque, ancora più bello di Naomi Campbell.

Con il cellulare in mano e le cuffie attaccate ad esso, mi siedo sul tavolone che c'è in palestra, mentre Will -il nome del mio allenatore mozzafiato- osserva ogni mio movimento.

"Ciao Mad."

"Ciao Will. Tutto bene?"

"Si e tu stai meglio?" mi ero assentata per un po' di allenamenti, dal momento che le forze non mi permettevano di fare nulla, se no respirare.

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