Ma alberi, alberi infiniti

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La tensione era palpabile. Michelangelo, alle prove, chiese loro se ci fosse qualcosa che non andava: risposero a denti stretti che tutto era perfetto.
Alessandro aveva dormito poco e male ed era più nervoso che mai; continuava a camminare avanti e indietro sul palco, inciampando prima sul filo del microfono, scivolando dopo su un foglio volante che era caduto a terra indisturbato. Riccardo si era presentato in teatro con i calzini spaiati e gli occhi stanchi.
Alessandro aveva pensato bene a quello che avrebbe dovuto fare: il cuore gli diceva di calpestare i sentimenti di Riccardo, così come lui aveva fatto con i suoi; la testa però gli ricordava in ogni momento del fatto che fosse lui quello adulto tra i due, e che in un qualche modo avrebbero dovuto cantare molto meglio di come avevano fatto alle prove.
Raggiunse Riccardo mentre usciva dal teatro, diretto all'hotel. «Dobbiamo trovare il modo di far venire bene la canzone» disse.
«Non me ne frega un cazzo» fu la risposta di Riccardo. Non aveva neanche mosso la testa quando Alessandro aveva parlato.
«E a me non frega un cazzo se non te ne frega un cazzo! Siamo primi in classifica e non sputtaneremo questa opportunità perché tu sei un bambino».
Riccardo piantò i piedi per terra e si voltò verso di lui, aveva gli occhi incandescenti. «Io? Sono io il bambino?!» sibilò. «E lo dice chi? Quello che mi ha cacciato da camera sua dopo esserci baciati per mezz'ora? Io sarò un bambino, ma tu sei un cazzo di stronzo!».
Alessandro si allontanò di un passo, ferito. Gli era sempre costato comportarsi male con Riccardo e adesso la rabbia che desiderava alimentare si andava affievolendo come una candela sotto a un bicchiere.
«Cantiamo bene stasera, il resto non conta». Lo superò aumentando il passo e non si voltò quando sentì Riccardo calciare un sasso lì vicino, imprecando.

Quella sera andò bene: performance discreta, chiacchiere con gli altri cantanti, risero anche un paio di volte, nascondendo i momenti di malinconia nell'ansia della finale. Il «a Giulia», gli occhi di Riccardo in ogni pensiero, e poi la vittoria.
L'adrenalina si impossessò di Alessandro, dimenticarono i bisticci e gli screzi, si abbracciarono, esitarono a staccarsi gli sguardi di dosso. E poi le foto, il leoncino, Riccardo che cantava sdraiato sul pavimento.
Alessandro era innamorato, innamorato perso, coperto di brividi dalla testa ai piedi, e quando si stese accanto a Riccardo desiderò che il mondo non esistesse più, che il suo cervello avesse la sua forma, così che non potesse starci niente all'infuori di Riccardo.
Voleva mimarglielo con le labbra, quell'amore folle, urlarlo dentro al microfono fino a spaccare i timpani al mondo intero a forza di «Ti amo, Riccardo»; e invece si limitò a sorridere, ad ascoltare il suono del suo cuore euforico sovrastare tutto quanto.

Era una situazione strana, quella che si era creata: Michelangelo li aveva scaricati nella hall dell'hotel dicendo loro di farsi una doccia e di prepararsi per andare a festeggiare; e ora Alessandro e Riccardo erano immobili nell'ascensore più lento che fosse mai esistito. Non erano stati neanche un secondo da soli da quel pomeriggio, dopo aver litigato alle prove, e, adesso che l'adrenalina era consumata, restava tra di loro solamente l'imbarazzo.
Alessandro cercò di scorgerlo con la coda dell'occhio. «Be'...abbiamo vin–», Riccardo si era girato e l'aveva spinto contro lo specchio dell'ascensore, sul viso aveva un'espressione indecifrabile. «Io e te dobbiamo parlare».
Prima che Alessandro potesse rispondere, l'ascensore sobbalzò appena: erano arrivati al piano di Riccardo; senza dire una parola si diressero verso la sua camera.
La stanza era un disastro: vestiti a terra, caricabatteria aggrovigliati, cicche di sigaretta nel posacenere sopra al davanzale.
«Hai combattuto la terza guerra mondiale qua dentro?» tentò di scherzare Alessandro.
Riccardo non aveva voglia di scherzare: «Posso sapere perché continui a scappare da me?»
Alessandro non si aspettava una domanda così diretta e, come suo solito, non riuscì a formulare una risposta altrettanto diretta: «Non capisco cosa intendi».
Riccardo allargò le braccia, come se non riuscisse a capacitarsi della stupidità dell'altro. «Dimmi perché hai lasciato che succedesse quello che è successo e poi mi hai completamente tagliato fuori».
Alessandro scosse la testa. Trovava assurdo che Riccardo non capisse, eppure era così semplice. «Cerco solo di fare quello che ritengo giusto!»
Riccardo sollevò un sopracciglio e fece un altro passo in avanti. Gli puntò un dito contro e sibilò: «Giusto?! Tu non fai altro che trattarmi di merda!».
«Hai una ragazza, Riccardo! Cosa dovrei fare? Scopare con te e poi sentirmi dire che la tua fidanzata ti sta cercando, mentre tu sei ancora nel mio letto?»
La risposta di Riccardo fu inaspettata: scoppiò a ridere, ma la sua era una risata amara. «Era questo il problema? Il fatto che fossi fidanzato?» e si passò una mano sulla fronte, prendendo a camminare avanti e indietro.
Quando alzò di nuovo lo sguardo, era ancora più arrabbiato: «Se mi avessi fatto parlare, martedì, adesso sapresti che io e Giulia ci siamo lasciati. Ma tu no! Tu dovevi scappare per proteggere i tuoi sentimenti! E i miei chi li proteggeva da te, eh, Alessandro?» aveva gli occhi lucidi di angoscia, furiosi. «Chi mi proteggeva quando te ne andavi ogni volta che io tentavo di farti capire cosa provavo?»
Il sollievo pervase Alessandro per un lunghissimo secondo, poi il senso di nausea che provava ogni volta che si nominava Giulia ritornò, più persistente e denso di prima: se si erano lasciati, perché Riccardo le aveva dedicato la canzone?
Scosse la testa nella confusione dei suoi pensieri. Riccardo si stava prendendo gioco di lui?
«Hai detto "a Giulia"» mormorò. «Ti ho sentito».
Il viso di Riccardo si sgretolò in un'espressione ferita; camminò verso Alessandro a passi pesanti, come se ricoprire la distanza che si era creata fra di loro fosse oltremodo faticoso. «Volevo farti soffrire, d'accordo?» sibilò. «Ero così incazzato con te che ti avrei preso a pugni davanti all'Italia intera».
Alessandro non rispose: ripensò a tutti i momenti che avevano passato insieme, al fatto che fosse sempre stato Riccardo ad avvicinarsi per primo, a chiedergli di restare, a baciarlo. Nella rabbia, non aveva voluto pensare neanche per un secondo al motivo per cui Riccardo l'avesse baciato, aveva preferito pensare che fosse un bastardo egoista, che stesse solo giocando, e non si era accorto che il vero stronzo era stato lui, fin dall'inizio.
Gli occhi di Riccardo si fecero cupi, la collera stava sparendo, lasciando dietro di sé solo l'amarezza. «È questa l'unica cosa che hai da dire?»
Alessandro ne avrebbe avute un milione, di cosa da dire, ma nessuna sarebbe riuscita a spiegare come si sentisse davvero. Tirò Riccardo per una mano e lo abbracciò, stringendolo più forte quando lui tentò di divincolarsi, ripetendo: «Lasciami andare, cazzo».
«Mi dispiace tanto» gli sussurrò all'orecchio. Si sentiva terribilmente stupido per non aver letto meglio i segnali che Riccardo gli aveva mandato, eppure l'euforia prese a scorrere nelle sue vene come un fiume in piena, sfondando ogni sua incertezza e timore. «Scusami, scusami, scusami».
Riccardo non cercava più di fuggire e teneva la testa sulla sua spalla, respirando piano. Alessandro gli poggiò una mano dietro la nuca e lo guardò in quei suoi occhi selvaggi.
«Sto per baciarti» disse. Percepì perfettamente la schiena di Riccardo tendersi, il respiro bloccarsi, le pupille dilatarsi. Trovava divertente il modo in cui Riccardo scalpitava e, allo stesso tempo, cercava di nasconderlo, come si obbligava in tutti i modi a rimanere imbronciato, nonostante ogni minimo movimento di Alessandro lo facesse tremare di aspettativa.
«Posso baciarti?» chiese, prendendolo in giro. Si abbassò appena e gli sfiorò una guancia con la propria, in una carezza dolce e lasciva.
«Ale, sei uno –»
Le mani sui fianchi di Riccardo, Alessandro posò le labbra sulla croce tatuata sotto l'orecchio. «Cosa sono? Vorrei proprio saperlo».
«Sei...» e non disse più niente, perché Alessandro gli chiuse la bocca con un bacio gentile, un bacio di scuse.
«Mi hai fatto pensare di aver rovinato tutto» gli disse Riccardo, poco dopo, intento a slacciare i primi bottoni della camicia di Alessandro, che aveva la bocca appoggiata sulla sua spalla nuda e lo stava spingendo all'indietro verso il letto.
Alessandro ora capiva, ma: «Parliamo di questo più tardi» mormorò, sicuro che avrebbe trovato un modo più efficace delle parole per farsi perdonare.
«Sei stato San Francesco per tutta la settimana e adesso vuoi scopare?» lo prese in giro Riccardo.
Alessandro lo spinse sul letto e si levò la camicia, quella trasparente di Riccardo era già sul pavimento. «Esatto. Ora la finisci di parlare?»
Gli si arrampicò addosso e gli baciò il petto e la pancia, le dita di Riccardo tra i suoi capelli e le cosce calde di lui che gli si stringevano addosso. I suoi sospiri erano leggeri e timorosi, ma quando Alessandro gli slacciò il bottone dei pantaloni e infilò due dita all'interno dell'elastico degli slip, Riccardo strizzò gli occhi e il suo respiro si fece irregolare.
«Sei... sei il primo ragazzo, per me» mormorò. Quella confessione fece provare un intenso senso di piacere ad Alessandro, che, lo sguardo spudorato, lasciò scivolare le labbra sulla parte più sensibile di lui.
«Merda» fu l'unica cosa che Riccardo riuscì a dire nei due minuti successivi, gli occhi fissi sulle mani, bocca, lingua di Alessandro, la fronte imperlata di sudore. Aveva le labbra rosse per i morsi e un livido gli stava spuntando sul fianco, là dove l'altro l'aveva baciato più a lungo.
Afferrò un polso di Alessandro per tirarlo verso di sé, le dita che tremavano leggermente. «Dammi un bacio» fremette.

Erano le quattro e un quarto quando Alessandro si sfilò il preservativo e si sdraiò accanto a Riccardo, che aveva il petto pieno di baci e il fiato corto. «Cazzo, Ale...» mormorò.
Alessandro coprì entrambi con il piumone e appoggiò la testa sulla spalla di Riccardo, che prese a disegnare con i polpastrelli ghirigori sul suo braccio.
«Dici che Michelangelo si sia accorto della nostra assenza?» mormorò Alessandro.
Riccardo ridacchiò: «Secondo me è talmente ubriaco da non ricordare neanche chi siamo».
Alessandro si mise su un fianco e gli circondò la vita con un braccio. «Anche noi dovremmo essere ubriachi» disse sottovoce. «Abbiamo vinto, riesci a crederci?»
Riccardo non rispose, ma Alessandro sentì chiaramente il suo cuore accelerare. Dopo un paio di minuti, Riccardo disse: «Ale...?»
Si mise a pancia in giù e lo osservò per qualche istante, in attesa che continuasse a parlare.
«Questa volta non te ne vai, vero?»
Alessandro scosse la testa e si sporse per baciarlo; quando si staccarono, entrambi avevano la pelle d'oca.
«L'avresti mai detto che la nostra canzone sarebbe stata la nostra canzone?»
Riccardo accarezzò il braccio di Alessandro e gli sorrise teneramente, mormorando: «Nudo con i brividi».

Non Lasciarmi Così | Mahmood e BlancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora