CAPITOLO 01 - Viva i pigiama-party

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Anche se odio i pigiama-party, Grace ha ragione. Posso fare questo piccolo sforzo. «È soltanto un pigiama-party» cerca di persuadermi con il suo sguardo convincente, come se fosse ovvio invitare quattro persone a casa mia, farle stare nella mia stanza, costringere mia madre ad organizzare la serata con le rispettive madri, mangiare patatine e dolciumi avanzati da Halloween, fare una lotta di cuscini fino a distruggerci, e sistemare i sacchi a pelo per terra per sentire Ellen russare tutta la notte. Be’, non vorrei, ma chi vuole mettere in discussione un’idea di Grace? Non io. Lei è una ragazza molto convincente, ma non per le sue doti da attrice all’Angelina Jolie, ma perché è una ragazza così determinata che una volta ha convinto i suoi genitori ed i suoi nonni ad andarsene per il fine settimana in un hotel lontano dalla città, solo per fare una festa nella loro casa delle vacanze. Parliamoci chiaro: ha fatto dormire fuori, nella stessa camera d’hotel, i nonni ed i genitori. Suo nonno soffre di diabete e di cuore. Ma cosa le è saltato in mente? Però non posso biasimare i suoi genitori: quando da piccola voleva un lecca-lecca, ha storto un braccio a suo padre, pur di averlo. Per carità, l’hanno fatta controllare da un medico, da uno psicologo, psichiatra, ma erano spaventati anche loro. Perché sembra una ragazza con la voce dolce ed un po’ stridula, ma quando si arrabbia sa il fatto suo, diciamo. «Cos’hai da perdere? Starai con le tue amiche di sempre. Ci divertiremo» mi ha già convinto, però mi piace vedere come cerca di adularmi, «Jennette, siamo le G.R.E.J.A., siamo amiche per la pelle…». «Ok, ok. Mi hai convinta. Che pigiama-party sia>>. Tutte, a scuola ci chiamano così, ma solo perché Grace ed Allison sono popolari. Io e Ruth non lo siamo. Infatti, il gruppo è iniziato da noi due. Ruth è una ragazza da “felpa con il cappuccio” o "woodie", così si dice da noi. Una ragazza così è il solito tipo che se ne frega di piacere alla gente, molto riflessiva. Non parla mai, ma quando parla, o fa ridere, o fa pensare. È la mia migliore amica in assoluto. Se dovessi, per forza, creare un podio, lei sarebbe al primo posto. Prima Ruth, poi Allison, Grace ed Ellen. Ellen, strano che ve ne sto parlando. Lei è una persona a dir poco insopportabile. Cerca di far parte nel nostro gruppo da parecchi anni. Alla fine, l’abbiamo accettata, ma solo perché ci faceva pena. Molta pena. Si sente superiore a noi, e ci vuole tutte al suo servizio. Molto maturo da parte sua. Lei adesso non c’è, perché non può mai. Infatti, stiamo pensando di darci un taglio. Solo che Grace, da una parte, ce lo impedisce. «Se la cacceremo, saremo le… G.R.J.A.? A.G.R.J.? J.A.G.R? Cosa? Cosa diventeremo?». Naturalmente, la mia cara amica Grace ha ragione, ha sempre ragione. Giusto? Vi conviene rispondere di sì, se volete la pelle ancora attaccata alla faccia.
«Però, Grace, non la devi opprimere. Se vuole fare questa serata la fa, ma, se non vuole, la possiamo fare a casa mia. Non c’è problema» Allison è l’unica che può contestare, suggerire, correggere, aggiungere cose dette da Grace. Lei è “raccomandata”, solo perché è la sua ragazza. Sono le Allice.
«Hai ragione, Allie cara, ma è una fantastica occasione per divertirci», le stringe le mani come se fossero un tessuto morbido, «Soltanto che non abbiamo mai fatto un pigiama-party a casa di Jennette».
«Amore, lo capisco. Stai cercando di proporre qualcosa di nuovo, però devi vedere se Jennette è veramente d’accordo».
«Va bene, ma lo faccio solo per te», gira la testa verso di me, «Jennette, vorresti veramente fare questa festa a casa tua?». Non posso dirle di no, non voglio correre il rischio.
«Certo, lo faccio con piacere.»
Grace si volta verso la sua amata: «Visto? A lei va bene. Dobbiamo solo scegliere la data.»
Interviene Ruth per dire la sua, per una volta: «Secondo me è meglio sia dare il tempo di organizzare la serata a Jennette, che far organizzare le nostre madri. Quindi che ne dite di preparare tutto per venerdì?».
«Sarebbe tra due giorni, non è tardi?» Allison fulmina Grace per averlo detto.
«No, secondo me ha ragione Ruth. Venerdì è perfetto: non c’è la scuola, apre le porte al week-end e nessuna di noi ha attività pomeridiane. Si può fare. Che ne dici tu, Jennette?».
«Ecco, è… perfetto.»
«Sì, che bello.» Grace diventa proprio un angelo accanto ad Allison. Pende dalle sue labbra.
«Bene, ragazze. Ora, uscite. Devo studiare, sennò la nostra cara professoressa Anderson di filosofia mi romperà così tanto le…», mi calmo all’istante, «scatole. Quindi, andatevene. Ora!».
«Va bene, ma che modo teatrale di presentare la professoressa Andy», se ne esce Ruth. Ve lo avevo detto: quando parla è un momento magico.
Le accompagno fuori a spintoni, finché la fantastica ragazza di Grace non comincia a parlare: «Buona fortuna con filosofia, Jenny.»
«Già, quest’anno non verrai rimandata. Quest’anno è diverso. Sei diversa. Hai un modo diverso di pensare…», non la lascio neanche finire, perché Ruth è così poetica. «Basta Ruth, sennò non ho il coraggio di mandarvi via».
Ruth mi prende la mano: «Sei davvero gentile, Jenny», accompagna questa bellissima frase con un sorriso. Mi lascia le ultime dita ed annulla ogni possibile contatto con me. La porta si chiude, si chiude con un po’ di disperazione, solitudine e fatica. Vado a studiare.

Sono passate ben tre ore, si sono fatte le otto. Lo capisco perché sento mio padre che mi bussa alla porta: «Jenny, si mangia». Esordisce sempre così. Anche se so benissimo che devo raggiungerli, perché sento i passi pesanti di mio padre che salgono le scale. Annuisco e chiudo il laptop, senza pensarci un secondo.
Arrivo davanti al tavolo e vedo mio padre che spartisce il cibo per noi tre, anzi, mi sono dimenticata. Quattro. Noi siamo quattro. C’è anche mio fratello: un palestrato la cui importanza sul pianeta equivale a zero. Tutte le mie amiche sono pazze di lui. Almeno, Grace ed Allison non lo sono. Ma Ruth ed Ellen, sì. Tantissimo. Infatti, loro due si odiano, perché, secondo loro, se lo contendono. Mi dispiace per Ellen, ma i pensieri di mio fratello sono pieni di cuoricini e facce di Ruth. Anzi no. Non mi dispiace per Ellen.
Io adoro Ruth e mio fratello come coppia. Ruth è l’unica che mi è stata accanto nei miei momenti difficili, negli istanti divertenti lei c’era. Sono perfetti insieme. Lui, quando la vede, sembra che debba scoppiare a piangere da un momento all’altro, perché ha gli occhi lucidissimi. Lei diventa più timida del solito, e ciò la rende tenera e fragile.
I miei pensieri vengono interrotti dalla voce virile e fastidiosa di mio fratello: «Papà, ti avevo detto che io non posso mangiare la carne. Per me, oggi, c’è insalata con patate.»
«William, seguirai la tua assurda dieta domani» lo placa mia madre. Ecco. Mia madre: una donna di successo, amica dei figli, ottima moglie, determinata. Praticamente perfetta. Ma lavora troppo. Megan Lewis: manager di artisti famosi, celebrità di ogni genere.
«Ragazzi, attenzione! Preghiamo per questo cibo a noi donato». Ah! Vero. Dimenticavo. È una fanatica della religione. Un po’ fastidioso, all’inizio, ma ci abbiamo fatto l’abitudine.
«Perfetto, mamma. Adesso che la divinità che ci sta guardando è d’accordo che possiamo sfamarci, vorrei tenerti informata degli orari di allenamento di football. Il signore me lo concede?», anche mia madre ha notato che era uno sfottò, ma evita un lungo discorso sulla chiesa.
«Dimmi, Will. Davvero. Illuminami.»
«Allora, madre. Il coach ha detto alla squadra che gli allenamenti saranno più intensi dell’anno scorso», vedo mia madre che si fa il segno della croce.
«Però c’è una cosa molto positiva per me. Il nostro quarterback si è rotto una gamba ed un braccio nella scorsa partita, come già sapete. Quindi, ci sono le selezioni, ed io ho intenzione di partecipare». Io mi alzo e batto le mani urlando: «Bravissimo, adesso tutti i miei sogni si sono realizzati. La mia vita è perfetta se ho un fratello perfetto», lo prendo in giro, divertendomi un sacco. Lui, infatti, ribatte subito: «Hai dei sogni, sorellina? Davvero?».
«Guarda che tua sorella ha detto delle cose giuste William Lee Miller. Non fare lo…», alza le mani al cielo come per chiedere perdono, «Scortese. Brava Jenny». Anche se mia madre non capisce il sarcasmo, mi sono divertita tanto. Mi sarei divertita di più solo se avesse detto tutti i nomi di mio fratello: William Lee James Benjamin Dylan Andrew Miller. Sì, lo so. È molto strano e da pazzoidi mettere sei nomi ai tuoi figli, ma, per fortuna, non dobbiamo firmarci con tutti, solo con i primi due ed il cognome. Volete sapere i miei? Tenetevi pronti: Jennette Alexandra Evelyn Donna Sophie Penny Miller. Le mie amiche cercano di memorizzarli per prendermi in giro, ma non hanno abbastanza spazio nel loro piccolo cervello maligno per contenerli tutti.
«Ma è una bellissima notizia, ed una bellissima opportunità per te, William. Sono fiero di te.»
«Grazie, papà. Ed in più, se vinciamo le finali, ho una borsa di studio in due college: College Station, in Texas. Oppure Ann Arbor, in Michigan.»
«Certo, William. Mi mancherai quando sarai lontano da casa, ma sono felice di saperti al sicuro a studiare per le tue passioni». Ecco chi mancava: mio padre. Henry Miller: uomo dolcissimo, un cucciolo, ma ha qualche difetto alche lui. Non ama lavorare. Lui è… uno spirito libero? Non so come altro definirlo. Diciamo che occupa tutto il suo tempo libero ad occuparsi del futuro di mio fratello e della pittura. Dipinge da dieci anni, ed è anche abbastanza conosciuto, per aver fatto degli schizzi su una tela. Devo essere sincera: guadagna anche tanto, ma non come mia madre. Noi siamo la solita famiglia americana che trovate su Google: genitori perfetti che hanno un lavoro e non sfruttano i figli per lavoretti in casa, figlio adolescente atleta super iper-pompato all’ultimo anno delle superiori, ed una figlia super iper-frustrata dalla società. Perfetti, no?

*SPAZIO SCRITTRICE*
Ciao a tutti, ci vedremo presto per il secondo. Spero vi sia piaciuto.
-Caracol

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