Capitolo 1

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Albedo odiava il freddo.
Odiava doversi mettere la sciarpa di lana fatta da Alice — le ha detto Dio solo sa' quante volte che gli fa prurito.
Odiava indossare un cappello, che faceva diventare elettrici i suoi poveri capelli.
Odiava il cappotto, perché lo manteneva al caldo sí, ma appena lo levava sentiva addosso un'orribile sensazione di sudore.
Odiava il dover tenere gli occhi socchiusi per il troppo gelo.
Odiava il vento freddo che gli faceva volare via il cappello.
Ed odiava anche il fatto che sua sorella iniziasse scuola.

Ovviamente amava Klee, le voleva veramente tanto bene, ma era fin troppo rumorosa.
Nel senso, se lei stava a casa, certo non poteva avere un momento di riposo.
Ed allora dove stava il problema?
Ovviamente, dato che — detta dal biondo, sotto obbligo di Alice — si era preso un'anno di pausa dagli studi, e visto che la donna era troppo impegnata con il lavoro, chi doveva accompagnare ed andare a riprendere la sorellina?
E se Albedo resisteva a malapena con una sola bambina caotica, non bisognava neanche sottolineare cosa sarebbe successo con una mandria di questi.

Non che in quel momento avesse il tempo per pensarci, visto che Klee faceva di tutto per fargli esplodere il cervello.
E prima era « Non saltare nelle pozzanghere », poi « Non andare in mezzo alla strada! » ed ancora, « Klee, non raccogliere le cose da terra. ».
Sembrava quasi una barzelletta.

Erano le otto meno venti quando i due arrivarono davanti l'asilo: certo, era incredibilmente presto, ma il biondo voleva evitare di correre per le strade perché sennó rischiavano — rischiava — di fare tardi.
Una folata di vento portó i fratelli a chiudere gli occhi e tremare lievemente nei loro cappotti, quasi in simbiosi, prima che la piú piccola prese a tirare il maggiore, come per fargli cenno di andare.
La piccola mano si arpionó infatti sul lungo cappotto nero del fratello, mentre prendeva a tirare.
« Che stai facendo? » mormoró Albedo, la voce bassa e sottile, quasi come se fosse effettivamente stanco, e con una punta di disappunto.
Doveva anche entrare lí dentro? Sperava di no, non aveva minimamente voglia di socializzare con i bambini o con la maestra.

« Entriamo, dentro fa' caldo! » esclamó invece la bambina, teneramente coperta con una sciarpa, un cappello e un cappottino poco piú grandi di lei — il ragazzo ci scommetteva trenta euro che Alice aveva preparato quello per lei perchè nessuno sapeva resisterle.
« Ho da fare dopo, non posso rimanere »
« Ma mamma rimane sempre ad aspettare i miei amici! »
Un sospiro uscí dalle labbra screpolate del maggiore, sebbene fossero coperte dalla soffice lana, mentre prendeva a seguire la sorellina, che si divertiva a camminare saltellando.

Vista da fuori la scena era simpatica: sembrava quasi che fosse Klee a trascinare Albedo a scuola, quando doveva essere il contrario.

Le iridi azzurre si posarono sui giochi presenti all'esterno: vi era un piccolo scivolo rosso, alto praticamente fino al petto del biondo; un'altalena singola, dove probabilmente i bambini litigavano per salirci — il pensiero fece sorridere un poco il biondo sotto la sciarpa; c'era persino un pallone abbandonato a sè stesso, probabilmente a causa del brutto tempo.
« Non uscite mai in giardino? » chiese allora lui alla piú piccola, mentre lei era giá arrivata davanti la porta dell'asilo.
« Il maestro ci porta fuori quando è bel tempo » rispose lei, mentre si metteva sulle punte per suonare il citofono — inutile a dire come alla fine fu' lo stesso Albedo a citofonare al posto suo.

Quest'ultimo peró si ritrovó ad assottigliare lo sguardo: maestro?
« Non avevate una maestra? » domandó lui dunque, mentre provava a buttare uno sguardo nella struttura attraverso la porta.
Non che riuscisse a vedere molto, se non una luce accesa e le pareti colorate — era un sole quella palla gialla?.
Eppure doveva ammettere che faceva un bell'effetto quel posto: persino il cancello rosso non era arrugginito, e se si parlava dell'entrata certo appariva allegra e colorata, visto il rosso acceso sul quale poi faceva contrasto la porta chiara dal vetro scuro.
Era particolare come costruzione, ma certo piuttosto accogliente — piú della maggior parte delle strutture che vi erano almeno.

« Sí, ma ne abbiamo due ora » rispose poi la bambina, mentre poggiava la fronte sul vetro della porta per poter sbirciare dentro come il fratello, con l'unica differenza che lei non sembrava volerlo nascondere.

Albedo sospiró, mentre metteva infreddolito le mani nelle tasche: quanto ci sarebbe voluto ancora?
Se proprio doveva aspettare, avrebbe preferito farlo all'interno piuttosto che al freddo e al gelo — funzionavano i riscaldamenti, vero?
Quando vide poi Klee allontanarsi dal vetro con un viso allegro, comprese che finalmente qualcuno era venuto ad aprire.

E quando quel qualcuno aprí la porta ed i chiari occhi del ragazzo potettero posarsi su di lui, la mente sembró svuotarsi.
Zero.
Zero assoluto.
Solo la figura della persona in quello spazio desolato.
Non vi era praticamente piú niente, se non un singolo pensiero.
Albedo voleva disegnarlo.

Gli sembró quasi di essere davanti ad uno spettacolo naturale, cosí semplice e coinciso ma comunque cosí elegante da essere degno di un disegno.
Piccolo, grande, abbozzato...
L'importante era farlo.
Perchè?
Forse per i lineamenti.
Forse per gli occhi.
Forse per il sorriso dipinto sul suo volto.
Forse per i capelli dello stesso blu del mare.
Forse semplicemente perché era bello.

Oh, il biondo non poteva negarlo.
Il maestro di sua sorella era veramente bello, e quasi si chiese perché la natura era cosí ingiusta.
Alto, attraente, persino bravo con i bambini — l'ultima cosa era un'ipotesi, ma visto il viso contento della piú piccola sembrava quasi vera.

Sentí le punte delle proprie orecchie tingersi di rosso — ringrazió mentalmente il cappello per nasconderle — mentte salutava con un cenno della testa.
« Buongiorno Klee » fu' il saluto che l'uomo dalla coda alta fece a sua sorella, mentre questa tutta allegra faceva per entrare.
Le iridi azzurre di Albedo seguirono i movimenti della sorella assieme a quelle blu dell'altro, prima che le gemelle si potessero scontrare ancora una volta in un gioco di sguardi.

« Tu devi essere il mitico fratellone. »
Un sorrisetto divertito, un sopracciglio alzato e le braccia che si incrociavano bastarono per far arricciare lievemente — in modo divertito, ma Albedo non lo avrebbe mai ammesso — il naso, ancora infreddolito.
Non che sperasse nel principe azzurro, anche perchè doveva dire che l'immagine avrebbe stonato con la sua figura, peró era piuttosto sorpreso dal vedere il suo modo di fare.

« Immagino di sí, non credo di essere la madre » fu' la risposta calma, ma con una punta ironica e ornata con un sorrisetto.
Sorrisetto ora visibile poiché il biondo prese a togliersi la sciarpa — la sua forza di autocontrollo non era molta.
Il blu, notando quasi i suoi gesti, si appiattí alla porta, quasi come per lasciarlo entrare, mentre un sospiro divertito lasciava le sue spalle.

E cosí, mentre la piú piccola girava giá per l'aula con i giochi, Albedo si rintanava finalmente al caldo.

Si rintanava finalmente al caldo, senza notare la punta di rossore presente sulle orecchie di Kaeya.

La banalità del mare || kaebedoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora