Ubriaco, cammino lungo la Moscova urlando il tuo nome in preda ad un'ebbra disperazione. Il bianco accecante del cielo mi impedisce di mettere a fuoco la strada. Barcollo, le mie scarpe sporcano la neve candida che si è appena depositata sul marciapiede. Porto solo disgrazia, penso. Non ricevo risposta, quindi do la colpa alla neve che cade. Le punto un dito contro e la maledico a pieni polmoni: è colpa sua, è colpa sua se tu non mi senti. Da quanto urlo il tuo nome solo Dio lo sa e va bene così, io non li so contare i minuti o le ore, tantomeno i giorni, non in questo stato di malata estasi. Il gelo mi entra nelle ossa, Mosca è bianca come una volpe in pieno inverno, ti chiamo ancora sperando in un segnale dall'alto.Le macchine, i bus, i tram sfrecciano indisturbati sulle strade innondate di sale. Mi passano accanto, muovendo la neve a loro piacimento; mi sposto anch'io, sballottato (leggero come sono - nello spirito!) tra una folata di vento e l'altra. La neve volteggia, si disperde nell'aria, fiocchi si scontrano contro altri fiocchi, depositandosi a metri di distanza dal punto prestabilito da Madre Natura. Questi insensibili esseri umani e la loro arroganza! Ma anch'io sono arrogante, chi vogliamo prendere in giro? Sono l'Arrogante degli arroganti. Mi sono svegliato una mattina di settembre pretendendo di cancellare tutto e di essere guarito dalla mia malattia.
E che colpa ne ha la neve se cade proprio oggi?
Oggi ho bevuto un bicchiere di caffè dopo essermi scolato una bottiglia di vino, dicono riduca la sbronza, ma mica ci credo io a queste voci di marciapiede. Quella sera vidi il tuo sguardo piantato sul mio bicchiere, volevi forse un sorso? Bastava chiedere! Credetti per un istante che volessi aiutarmi ad uscire da quel cerchio che disegnai sul tavolo con due spicchi di arancia: ma ci sono rimasto nel recinto dell'alcolismo, ci sono rimasto. Ci sono vini e vini, mi disse una volta Erofeev intanto che leggevo il suo poema ferroviario. Se solo piovesse vino, tutti staremmo a bocca aperta rivolti verso il cielo. E a quel punto, sì, Dio ci piscerebbe, nelle nostre cazzo di bocche.
Tre giorni fa, volevo prendere un treno per raggiungere San Pietroburgo. Io so che tu la odi, San Pietroburgo. Ma a me non interessava niente. Io sentivo il bisogno di cercarti davanti alla casa di Raskol'nikov, ma solo ora realizzo che nemmeno esiste quell'assassino. Dostoevskij ci ha illusi tutti, proprio tutti! Capisci, siamo degli imbecilli senza speranza. Nemmeno mi piace Dostoevskij, le ho lette le sue opere, divorate fino a piangere. Questo, però, non significa niente.
E ora dimmi, che colpa ha San Pietroburgo se esiste?
Mentre cammino, sembro imprigionato in qualche pensiero di dubbia serietà. Oltre a me, nessuno s'appresta a spostarsi a piedi lungo la Moscova con questo tempo omicida. Di tanto in tanto, una scarpa mi scivola prima da un piede e poi dall'altro, così ridacchio piegandomi ogni volta per rimetterle senza allacciarle. Gironzolo così, perdendo pezzi per strada, prima le scarpe, poi il cappello, poi qualche frammento congelato di cuore. Dal ridere passo all'imprecare e viceversa, un po' spero che Dio abbia la vescica piena. Il ghiaccio mi taglia la pelle, le labbra viola urlano ipotermia. Non ci sono arrivato a San Pietroburgo, hanno messo neve anche là in questi giorni, meglio rendersi ridicoli in una sola città. Non credi anche tu?
Il gelo mi sta uccidendo: almeno non chiederò a Raskol'nikov di fare questo sporco lavoro per me. "Ci sta già pensando qualcun altro, non preoccuparti!" urlo al cielo, sperando di farmi sentire almeno da chi non esiste. Una pagina di giornale viene strattonata dal vento e mi arriva dritta in faccia. Mi dimeno, chiedendomi chi abbia spento la luce, la mia insulsa ilarità si disperde per Mosca. Di nuovo barcollo, prendo i lembi della carta e, con occhi stralunati, cerco di dare un senso a ciò che vedo tra la neve che scende copiosa. Nulla, non vedo nulla. Sono cieco di fronte alla realtà.
E che colpa ha Dostoevskij se, fino a poco fa, io ho creduto che Raskol'nikov esistesse davvero?
Questo tuo silenzio e questa mia confusione mi fanno ridere, dico sul serio. È l'alcol a parlare per me, sennò come può andarmi bene questa neve nemica e questo Dostoevskij bugiardo davanti alla mia stupida ubriachezza? Permettimi di dire che un po' mi si spezza il cuore (quasi piango!), perché io in te ci credevo, credimi. Scusa se rido, è che questi giochi di parole mi strappano un po' di spensieratezza. Ero così ferito, credimi. Cercavo di trovare qualsiasi modo per riaverti indietro, senza pensare che forse io nella mia vita non ti voglio più. Le ultime parole che mi dicesti sono a casa, le ho trascritte e infilate in una busta che ho nascosto tra Lo Straniero e Oblòmov. Ancora non so cosa fare di loro, mi hanno rubato giornate intere, giornate che probabilmente non meritavi di occupare. Forse un giorno le porterò qui a Mosca e lascerò che se le porti via il vento. Forse a quel punto ti perdonerò, forse a quel punto lo farò davvero.
E che colpa ne ha l'ebbrezza se tutti pensano io sia disperato?
Non sono disperato,
sono solo ubriaco.

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Grazhdanskaya Ulitsa, 19
Fiksi UmumTre giorni fa, volevo prendere un treno per raggiungere San Pietroburgo. Io so che tu la odi, San Pietroburgo. Ma a me non interessava niente. Io sentivo il bisogno di cercarti davanti alla casa di Raskol'nikov, ma solo ora realizzo che nemmeno esis...