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Sono chiuso in ufficio, mi sembra quasi che quest'azienda non riesca più ad andare avanti.
Sono passato da un ritmo lavorativo estenuante a firmare una o due carte al giorno, dunque in preda alla noia provo ad osservare ciò che accade al di fuori da qui. Le veneziane semiaperte mi permettevano di vedere i miei impiegati in preda a una lotta... di palline di carta. Non posso credere di aver assunto dei bambini, mi sembra di ritornare ai tempi del liceo in cui facevamo questi giochini stupidi.

Non dimenticherò mai il giorno in cui giocando con il mio vecchio migliore amico: Marco, incominciammo a picchiarci, come al solito, ma per scherzare gli strizzai le palle. O meglio, provai a strizzargliele perché mi imbattei prima in un qualcosa di duro. Mi arrabbiai tanto con lui, non per il fatto in sè, ma perché lui sapeva della mia omosessualità e mi aspettavo che a sua volta lui lo dicesse a me; dunque gliene parlai. L'unica risposta che mi arrivò fu "non sono gay, è stato un incidente, pensavo ad una ragazza"... ecco, quelle furono le cosiddette ultime parole prima di affrontare di nuovo il discorso da cui iniziò la nostra relazione. 3 lunghi ed estenuanti anni di convivenza e amore dopo il liceo, se così si può chiamare.

"Allora stiamo giocando qui?" aprii la porta del mio ufficio impetuosamente e sgridai il mio personale con una domanda retorica. Tutti si misero composti provando a nascondere le palline. Con fare superiore incominciai a camminare nella stanza, lentamente, giusto per mettere un po' di timore ai miei dipendenti, non li avrei licenziati, non mi importava realmente.

L'unica cosa che veramente caratterizzava la mia vita era il sesso, è più di una semplice attività tra amanti, è una passione che coinvolge in primis me stesso e ovviamente gli altri. Ah e un altro elemento è il mio fidanzato, certo, al quale gli ho offerto il lavoro da segretario. Pensavo che la nostra relazione sarebbe diventata più eccitante, più erotica, ma non cambiò assolutamente nulla.
Anzi peggiorò, perché in ufficio non volevo scambiare segni d'affetto con lui, non volevo apparire debole, sono pur sempre il capo qui; e dunque si sapeva della nostra relazione, ma sembrava quasi come un mistero avvolto nella nebbia a cui non si sa se credere dato che non ci sono prove certe.

Al solo pensiero di queste cose, il mio animo si stava facendo bollente.

Mi avvicinai ad Alessio, letteralmente la persona più idiota che io abbia mai conosciuto, ma infondo era tra i pochi a strapparmi una risata, una di quelle demenziali, ma pur sempre una risata. "Quali sono le novità di oggi Alessio?" chiesi in modo non troppo serio. Lui colse il tono di voce e piuttosto che rispondermi prese dalla giacca qualcosa di nero, lo avvicinò al viso e si girò verso di me. Erano un paio di occhiali stretti, completamente neri che con la sua espressione seria comportavano una risata. Infatti sentii Emma ridere, Emma è una di quelle persone dal tono di voce normale, che appena si mette a ridere però scatena l'inferno e potevo sentire quanto si stesse trattenendo.
Io risi sotto i baffi, era davvero una cosa stupida per cui ridere, dunque non mi lasciai andare più di tanto. "La novità sono i miei nuovi occhiali, mi stanno troppo belli eh" e si allungò sulla 'eh' toccandomi con le spalle. "Vorrei dirti di parlare meglio sul posto di lavoro, ma ormai ci ho penso le speranze" gli risposi con un mezzo sorriso, poi mi rivolsi a tutti i dipendenti "fate quello che volete, ma non costringetemi a farvi fare gli extra".
Ecco che Emma si avvicinò "Mattia ho raccolto le vendite di tutti noi durante questa settimana, non abbiamo più tanto lavoro da fare..." tutto ciò con il sorriso e l'imbarazzo della risata di prima, era completamente rossa. A quel punto mi feci serio "solo queste?" "S-si" mi rispose Emma balbettando. "Non posso crederci, non fate altro che oziare tutti i giorni e a fine settimana mi consegnate questo?" alzai il tono di voce per apparire severo, ma nessuno mi risposte.
"Dalli a Marco, se la prossima settimana non ci saranno più vendite, dovrò licenziare qualcuno" e guardai Alessio.

Entrai nel mio ufficio chiudendo la porta e mi misi a ridere. Quando dicevo che l'azienda stava per fallire, intendevo sul serio... ma altrettanto seriamente posso affermare che non mi interessi affatto. L'unica cosa che volevo era che arrivasse sera per concludere a modo mio la settimana.

Sentii bussare. "Avanti", era Marco.
"Amore che ne dici di occuparti ora di queste scartoffie, così stasera non farai del lavoro in più e potremmo passare del tempo tra di noi" mi propose con una vocina sensuale. Non mi allettava affatto, avevo un abitudine il fine settimana e anche se mi divertivo ancora con Marco dopo 3 anni, non era ciò che volevo quella sera. "Amore mio, mi piacerebbe ma ho altre cose da far-" mi fermò lui dicendo "No, non è vero, non c'è molto lavoro". Inventai una scusa che usavo fin troppo spesso "Sai perché l'azienda va avanti? Perché a prescindere dalle loro vendite, vado a fare dei colloqui con gente importante da cui ricaviamo la maggior parte dei guadagni" non era vero, Emma era decisamente la più competente qua dentro e sapeva contrattare anche meglio di me; infatti Marco mi chiese di farlo fare a lei quel lavoro. Con voce dispiaciuta incominciai "Amore.." ma lui mi fermò nuovamente uscendo e dicendo "non fa niente, tranquillo".

Un cuore a distanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora