ADMITTED

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Manuel's pov
Sono le 7 del mattino e le campane di Sant'Andrea della Valle mi riportano alla realtà, mi sono addormentato alle 6 per colpa dell'ansia. Avrò sì e no 4 ore di sonno in tre giorni, sto aspettando i risultati del test di specializzazione da due settimane quasi e non riesco a pensare ad altro. Mi madre, Anita, mi porta la colazione a letto con i suoi biscotti fatti in casa, non perde un minuto per accollarsi e ricordarmi che oggi è il grande giorno, oggi saprò cosa ne sarà del mio futuro.
Vivo questo giorno quasi come un traguardo, nonostante io non sappia ancora l'esito del test.

Quando ero al liceo ero sempre l'ultimo della classe, il pischello a cui non fregava una sega, quello che non studiava mai. Il mio unico pensiero era aiutare mi madre che, anche se rompe sempre e pensa che so ancora un bambino, è tutta la mia famiglia, lei cercava lavoro come traduttrice e passava notti intere a tradurre testi pur essendo sottopagata. Ha sempre fatto di tutto per vedermi felice e per permettermi di realizzare il mio sogno: studiare medicina.

Inizialmente non avevo pensato a cosa avrei fatto dopo la laurea in medicina perché già raggiungere quella era un sogno ad occhi aperti. Poi un giorno, per caso, ero su Instagram e vidi una di quelle pubblicità che chiunque ignorerebbe pensando ad una truffa o qualcosa del genere, c'era un video di un ospedale di New York che neanche conoscevo e parlava proprio del test di specializzazione. Ho inserito i miei dati senza pensarci due volte tanto non mi avrebbero mai richiamato, e invece eccomi qui, in attesa dei risultati.

L'ansia è troppa, decido di chiamare la mia migliore amica, ho bisogno di un aperitivo
nell'attesa. Mamma mi ha già detto che mi preparerà la carbonara per pranzo così se ho superato il test festeggiamo, in caso contrario mi consolo con il mio piatto preferito.
Oggi fa caldo na cifra, un pantaloncino e una delle mie canotte da basket vanno più che bene. Do un bacio a mamma e corro da Chicca, l'appuntamento era alle 12 a Campo de' Fiori, ma ovviamente sono in ritardo. La capitale è piena di turisti, alcuni mi chiedono informazioni ma nella mia testa c'è tutt'altro, sbaglio persino strada.
Chicca è già seduta in uno dei tanti baretti a Campo de' Fiori, oggi c'è il mercato che mi fa sempre sentire a casa, per un attimo penso a quanto mi mancherebbe questa piazza e a quanto mi mancherebbe Luigi che vende i tulipani più belli di tutta Roma. La prima cosa che Chicca mi chiede è "come stai?", vorrei risponderle "manco ce pensavo de iscrivimme in America, mo c'ho n'ansia ma tanto è impossibile che me pijano" ma mi limito ad un "bene Chì" perché voglio parlare d'altro per un po', mi sono ripromesso che il test di specializzazione per New York è stato solo un tentativo, che la vita andrà avanti anche senza New York e che potrò realizzare i miei sogni anche altrove.
Tra una chiacchiera e l'altra, il mio telefono squilla ed è mi madre che è più agitata di me.
Le dico che non ho ancora ricevuto mail, sicuramente arriverà a breve.
Ricontrollo troppe volte e, mentre mi sto quasi per arrendere, eccola qua la notifica tanto desiderata: PRESBYTERIAN HOSPITAL. Leggo parole inglesi che in quel momento non hanno senso e poi in grassetto al centro vedo ADMITTED. Mi alzo velocemente, urlo, abbraccio Chicca, chiamo mi madre: l'adrenalina mi travolge, vorrei gridare al mondo intero che New York sarà la mia nuova casa, vado a dirlo persino a Luigi che mi regala dei tulipani gialli e mi urla ridendo "ao aripijate". Riesco ad arrivare a casa in tre minuti, Chicca mi corre dietro stremata.
Mamma non smette di piangere e io con lei, chi l'avrebbe mai detto che sarebbe arrivato questo giorno quando mi hanno bocciato alle superiori e quasi tutti pensavano fossi un fallito, uno senza futuro. Solo le due donne che adesso mi guardano fiere non hanno mai smesso di credere in me, anche e soprattutto quando non lo facevo manco io.
Mangiamo la carbonara più buona di tutta la mia vita e inizio già a pensare cosa mettere in valigia,
del resto il primo ottobre è solo tra un mese.

Simone's pov
Oggi è il grande giorno, il giorno in cui saprò se ho passato il test per poter procedere con la mia specializzazione in chirurgia al Presbyterian Hospital di New York dove sogno di lavorare da quando ne ho memoria.

Sono figlio di due medici, due chirurghi che hanno oggettivamente condizionato la storia della medicina non solo degli Stati Uniti d'America ma dell'intero mondo.
Per tutta la loro carriera hanno affiancato il lavoro in sala operatoria a quello di ricerca in laboratorio per giungere a delle incredibili scoperte, che hanno assicurato loro i più importanti dei premi ai quali un medico possa mai aspirare.
I Balestra, la coppia di medici che ormai da anni viene studiata nei manuali delle facoltà di medicina e che sono uno il primario di neurochirurgia e l'altra primario di cardiochirurgia del Presbyterian, altro non so che i miei genitori, anche.

Mi ha sempre affascinato la professione di medico e chirurgo, un po' perché è fin da bambino che gioco con lo stetoscopio piuttosto che con i pupazzi un po' perché lo ritengo un mestiere coraggioso e incredibile, che ti da la possibilità di aiutare davvero il prossimo, e me ne sono convinto un giorno di quasi dieci anni.
Sicuramente ho sempre avuto quest'ottica per via dei miei genitori ma non mi sono mai sentito forzato nell'intraprendere questo percorso in nessun modo. Diverso è come io mi senta a doverlo affrontare, tutti si aspettano sempre il massimo da me anche se appena lo raggiungo pensano che non me lo sia meritato, che sono un raccomandato. È un loop infinito e so che durante gli anni di specializzazione sarà sempre peggio ma oggettivamente si tratta del miglior ospedale degli Stati Uniti, con il miglior programma di specializzazione in chirurgia al quale si possa desiderare di partecipare.
Sarebbe folle decidere di trasferirsi altrove anche perché io credo di meritarmelo, credo di poter diventare un bravo medico. Piuttosto lotterò ogni giorno per dimostrare quanto valgo, ma non mi tirerò indietro, non mi farò mettere i piedi in testa.

Sono diverso dai miei genitori, avendo passato la mia infanzia in ospedale li ho visti all'opera, sono delle macchine, macchine efficaci ma senza cuore. Trattano i pazienti come dei numeri, non ricordandosi neanche i loro nomi, senza cercare di istaurare un contatto con loro.
Io da sempre sono stato più empatico e proprio questo modo di fare non lo tollero.
Sarò bravo quanto loro e in più creerò dei legami con i miei pazienti, perché penso che abbiano bisogno di sentirsi accuditi e amati nel momento forse più difficile della loro vita.
Il test l'ho svolto con dei medici esterni all'ospedale così come saranno loro a correggerlo, proprio per far sì che fosse il più trasparente possibile.

Sono le 8 di una mattina di inizio settembre e mi ritrovo a passeggiare per Central Park in compagnia di buona musica negli auricolari. L'ansia mi ha svegliato di buon ora e allora ho deciso di uscire. Sono intento nella disperata ricerca di un posto a sedere.
È sabato e fa già caldo considerando l'ora, perciò il parco è gremito di gente che fa jogging, porta a spasso il proprio cane o legge un libro al sole prima che faccia troppo caldo a tal punto da doversi riparare nei locali con l'aria condizionata qui vicino. Inutile dire quanto sia incredibile questo polmone verde in mezzo al mare di grattacieli.
A me piace molto passare del tempo da solo, sono una persona molto riflessiva e questo si sposa perfettamente con delle lunghe passeggiate munito di cuffiette.
Mentre parte "The only living boy in New York" in cuffia riesco finalmente a trovare una panchina libera sotto un salice e apro il mio Mac cercando di non andare in iperventilazione perché tra meno di cinque minuti saranno pubblicati i risultati del test che determinerà il mio futuro. Le dita hanno iniziato un po' a tremare, forse dovevo farlo in compagna di qualcuno.
No, è una cosa che devo fare da solo, mi ripeto.
Aggiorno la casella delle mail in arrivo una quantità imbarazzante di volte fino a quando eccola, la mail arriva. Clicco incerto su di essa per poi trovarmi di fronte un testo lunghissimo nel quale non faccio altro che cercare la parola che voglio leggere, quella che aspetto da tutta l'estate. Alla fine la vedo a metà pagina scritta in stampatello maiuscolo: ADMITTED.
Il mio cuore non può che scoppiare di gioia, così tanto duro lavoro mi ha permesso di raggiungere questo incredibile obiettivo, sono solo cinque i posti e io ce l'ho fatta, sono dentro, potrò diventare il medico che ho sempre voluto essere. E allora mi concedo un pianto liberatorio, per poi iniziare già a pensare alla data di inizio della mia nuova vita:
il primo ottobre.

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