Quando Tetsuro viveva a Tokyo, le settimane di Kei a Miyagi duravano -7 giorni, un giorno -24 ore e un'ora -60 minuti. Era un costante conto alla rovescia a quando lo avrebbe rivisto di nuovo.
E durante questo tempo che andava avanti per sottrazioni, lui intanto la mattina si alzava, andava a scuola e tornava, mangiava - anche se poco - e studiava - quello invece parecchio. Gli allenamenti, la pallavolo, i compagni di classe e quelli di squadra, Tadashi che lo chiamava, Sawamura che lo rimetteva subito in riga. I compiti per casa e poi quelli in aula, mettici anche gli imprevisti e ciò che per caso capitava di mezzo: sopportava qualsiasi cosa come anestetizzato, impermeabile al sudore e indifferente alla fatica.
Poi la conta però finiva e Kuroo, nel giorno prestabilito, finalmente arrivava. Alla stazione di Sendai il suo volto appariva e spuntava tra mille - questi altri un po' più indistinti. Gli si faceva vicino per dirgli qualcosa, che l'altro non capiva, e nella calca della banchina se lo teneva stretto a dispetto dei buoni costumi o di quello che gli altri sottovoce potevano dirsi.
Tsukishima di rimando annaspava nel tentare di rispondergli e allo stesso tempo nascondergli che all'improvviso tutto intorno si era acceso, aveva preso volume e senso. Che tutto intorno gli era apparso vivido e fortissimo.
Il fischio delle ruote motrici, gli annunci e i neon del tabellone. Che al di là della stazione, il bosco di aceri si era incendiato d'un vermiglio intenso, lo stesso colore del cappotto di Tetsuro. Il sole pallido d'autunno adesso accecante, l'aria pungente ora piacevole, un leggero vento tiepido. Che la pelle lasciata scoperta - giusto la faccia e le dita - era alla mercé di uno scirocco inatteso.
Lui era arrivato e le temperature e i colori si erano fatti insolitamente caldi e vivi come koharu biyori, fiori di novembre che, impazziti, sbocciano a dispetto di tutto e del gelo, fiori che si svegliano lontani dalla primavera.
Allora, nell'imbarazzo più totale, Kei balbettava e intanto si aggiustava gli occhiali sul naso. Li sentiva scivolargli all'insù per poi ricadergli rovinosamente a metà arcata, mentre le dita, impiastrate dall'ansia e il sudore, lasciavano impronte umide sulla condensa imprevista delle lenti. Il maglione intorno al collo si era fatto d'un tratto soffocante, la lana contro il petto irritante e Tsukki così si ricordava degli strati che aveva addosso, degli indumenti messi per caso quella stessa mattina, della pelle e delle ossa e di quello che doveva esserci sotto: li sentiva tutti e sentiva troppo.
"Da' qua. Ti dò una mano" aggiungeva poi per cambiare discorso, qualsiasi discorso l'altro avesse intavolato e lui a malapena sentito. Tetsuro invece faceva finta di aver frainteso e quella mano che Kei voleva dargli lui gliela prendeva e se la nascondeva in una tasca della giacca. "Ah, intendevi una mano con la valigia? Eh vabbè, peccato. Tu tieni questa che io sto a posto così".
Forse lì, dentro a quel bagaglio troppo grande per soli tre giorni, in mezzo alle mutande e i calzini appallottolati per il viaggio, Kuroo doveva averci nascosto la consapevolezza che le cose hanno tre dimensioni, e che anche Tsukishima ce l'aveva, perché quando la conta finiva e lui finalmente arrivava, l'altro a pieni polmoni prendeva a vivere. Intanto intorno si accendeva ed era saturo, carico di tutto.
In quel tempo insieme, nel tempo passato con Tetsuro, che invece andava avanti per addizioni, moltiplicazioni, per potenze di potenze, Kei si accorgeva che quella sua temporanea mancanza di contatto con il reale era, appunto, temporanea. Impossibile per un tipo come lui da giustificare come come giovanile distrazione o distacco, "non era nel suo stile": doveva esserci stato un cortocircuito da qualche parte e quel cortocircuito doveva chiamarsi per forza di cose Kuroo Tetsuro, perchè quando la conta finiva e lui finalmente arrivava, intorno a Tsukishima tutto si accendeva e con quel tutto lui era costretto a farci i conti.

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𝐅𝐑𝐀𝐍𝐂𝐈𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐄𝐕𝐄𝐑, 𝐚 𝐬𝐨𝐧𝐠 𝐛𝐲 𝐦𝐢𝐭𝐬𝐤𝐢 | 𝐤𝐫𝐭𝐬𝐤
FanfictionQuando Tetsuro viveva a Tokyo, le settimane di Kei a Miyagi duravano -7 giorni, un giorno -24 ore e un'ora -60 minuti. Era un costante conto alla rovescia a quando lo avrebbe rivisto di nuovo. (Non lo so che ho scritto ma comunque questa storia part...