𝐈𝐋 𝐆𝐈𝐎𝐂𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐔𝐕𝐀

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"Sai qual è stato il nostro problema, Tooru? E' che io e te ci siamo conosciuti quando eravamo troppo piccoli. E forse è un po' lì che siamo rimasti."

Oikawa, di fronte a lui, non accenna a muoversi di un millimetro o mostrargli in volto quello che un appunto del genere dovrebbe suggerirgli.

L'ego è fatto così: iberna in un'immagine perfetta ma assolutamente falzata di sè, le sembianze esatte di chi, almeno apparentemente, è impossibile da scalfire. L'involucro in bronzo e l'argilla che intanto, dentro, si rimescola tutta con il caldo e muore, c'è solo vuoto*. L'attimo irripetibile di una foto che esula dal resto, un quadro, un viso patinato su un manifesto.

"Non è cambiato niente... Pensaci. E' così, ti dico. Siamo ancora fermi ad un punto impreciso tra l'asilo e le elementari. Pensaci... Non mi credi?"

Silenzio, l'altro tace.

"Cazzo, ma mi stai almeno a sentire??"

Nessuna risposta.

"Il solito idiota... Tooru, sei il solito idiota."

Ancora silenzio.

"Quanti anni saranno passati? Bah, chi se lo ricorda. Eppure-"

Un singhiozzo improvviso interrompe Hajime.

"Eppure continuiamo ancora a rincorrerci, all'infinito, come stessimo giocando a guardia e ladri o a nascondino. Allunghiamo sempre il brodo, altri cinque minuuuuuti per favooore, e se una delle nostre madri per caso ci viene a chiamare, allora facciamo finta di non aver sentito e riprendiamo a fare il cazzo che ci pare. Poi l'ultima volta che abbiamo fatto ad un due tre stella io mi sono voltato e puff, tu non c'eri più. Eri sparito."

Ad Iwaizumi cade il capo verso il basso, lo lascia a penzoloni e si guarda le scarpe.

"L'Argentina."

Gli ci viene da ridere.

"L'Argentina. Non facevi prima ad andartene direttamente sulla Luna? Razza di cretino... L'Argentina."

Oscilla con il peso da un lato all'altro, involontariamente, come trascinato dal vento. Ha la testa pesante e un po' di confusione lo assale, si mescola alla cena appena consumata e fa un gran mischiume con i ricordi.

Quando riapre la bocca, lì sotto la lingua, c'è uno strano retrogusto amaro. Un po' sbiascica, inciampa sui sanpietrini lungo la strada e le parole.

"E poi, a dirla tutta, non è proprio che mi hai detto che te ne andavi in Argentina come per dire che effettivamente te ne stavi andando in Argentina."

Imperioso, gli punta un dito contro.

"No."

Gira i tacchi, alzando le mani al cielo.

"No, io ti ho detto che ti amavo e tu invece mi hai detto che il giorno dopo avevi un aereo per l'Argentina. L'Argentina. Potevi direttamente dirmi di guarda, mi dispiace, io invece no e facevamo prima..."

Parla un po' al vento, gesticola e fa avanti e indietro.

"O era per caso il tuo stupido modo, contorto e malato, di dirmi che anche per te era lo stesso? Di dirmi che non volevi ancora tornare a casa, altri cinque minuti, altri non so quanti anni di girotondo del cazzo. Perchè casa mia è sempre stata anche casa tua, e viceversa, e quindi tornare a casa non sappiamo nemmeno cosa significhi e quindi non essendoci mai stati in quel posto, in quel dopo, quando la conta finisce e si fa il gioco dell'uva, hai preferito di nuovo allungare il brodo."

Si volta di nuovo verso Oikawa.

"Eh? E' così? Io ho vinto al meglio di tre e tu hai detto allora facciamo al meglio di cinque?"

𝐈𝐋 𝐆𝐈𝐎𝐂𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐔𝐕𝐀 | 𝐈𝐰𝐚𝐎𝐢Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora