Capitolo 2 - Le storie dei nomi

8 1 0
                                    


Ritrovarselo difronte all'improvviso era stato un colpo basso, che la luce gemmea del giorno aveva contribuito ad edulcorare.

Restò immobile per un po', i muscoli ingessati. Si sentiva improvvisamente debole, di quella debolezza su cui non puoi avere alcun controllo, che nasce dall'interno, nasce da te, ingabbiata in uno strato così profondo che richiede anni di scavo, prima di poter essere solo sfiorata.
"In fondo", si disse, "Ci sono abituata a questo genere di cose. Io sono una persona resistente. Disposta a guardare freddamente il nemico, nonostante la sua indicibile superiorità e violenza."
L'area che circondava il liceo era uno spiazzo ben curato, costeggiato da alberi ai lati. Winny vide che quei lati si ampliavano fin quasi a costituire un piccolo parco, alberato e fresco, in cui eventualmente rifugiarsi. Amava quel genere di posti.

Proprio come la sua amica, del suo ormai ex-liceo. Era un tipo con idee avvolgenti. Un giorno avevano passeggiato nel parco della città e Lorelai, nel vedere le piante rigogliose, aveva annunciato l'intenzione di voler piantare un seme in un angolo nascosto, lasciando il proprio marchio.

"Un giorno quel seme crescerà fino a diventare un albero saldo. Gli altri non lo sapranno, ma Lorelai Giovenale vi ha nascosto un frammento della propria essenza. Ha fatto nascere lei quel magnifico esemplare".

Neanche nelle sue fantasie più spinte avrebbe potuto sperare di trovare una mente così vivace, nel contesto scolastico. Eppure Lorelai l'aveva smentita. In suo ricordo, Winny avrebbe piantato un seme tra quegli alberi già maturi. Qualora le cose fossero andate male, la pianta in crescita le avrebbe ricordato, di anno in anno, quanto ancora potesse essere radioso il suo futuro. Quello sarebbe stato solo un piccolo periodo della sua vita.

C'erano poche persone nello spiazzo.
Era ancora presto. Winny si sedette su una panchina per ingannare l'attesa.
"Perfino una panchina..." pensò sorpresa, accarezzando le venature del legno.

Quella sensazione la rese improvvisamente più consapevole del posto in cui si trovava. E incominciò a tremare. Davvero voleva rivivere un altro subdolo giorno all'interno del sistema scolastico? Per giunta un altro primo giorno? Winny sapeva di non avere molta scelta.

Pensò che sarebbe stato un pessimo inizio se qualcuno l'avesse vista tremare. Dondolò i piedi per dare l'illusione di un movimento più fluido. Osservò le ballerine che aveva ai piedi. Quella era stata la sua unica dichiarazione di sfida, nei riguardi di ciò che avrebbe potuto offrirle la giornata. Alle medie quelle scarpe avevano valso settimane di insulse derisioni.
Winny le aveva indossate con una certa fierezza. Non avevano smesso di piacerle. Ma forse era solo un modo inconsapevole di auto-sabotarsi ancora prima di iniziare.

Un movimento richiamò la sua attenzione verso uno dei lati della panchina. Un gatto dal manto candido vi si stava strusciando, ammiccando nella sua direzione.
Sgranò gli occhi. Un gatto a scuola? Doveva essersi intrufolato da solo, e approfittando del riparo offerto dagli alberi non era stato visto.

«Micio... micio, vieni qui! Nooo!», una voce ansiosa che anticipò l'apparire di un ragazzo dai folti capelli biondi. Svariate ciocche erano proiettate all'insù, come se si fossero appena elettrizzate, o al contario seguissero regole di movimento e di forma tutte proprie.

Winny si irrigidì immediatamente.
Avvertì i propri arti impietrirsi, come se il sangue fosse diventato solido e non trovasse modo di fluire nei canali. La fluidità del movimento delle gambe sparì: si bloccarono e tornarono a terra con un movimento secco e meccanico.
Winny aveva frequentato scuole composte da sole femmine. Ma la reazione sarebbe stata identica anche nel caso in cui il nuovo venuto fosse stato una ragazza.

«Oh... ciao!» esordì il ragazzo, piantando il suo sguardo scuro sul viso di lei.

Winny osservò che la sua emozione dominante era la sorpresa. Evidentemente non si aspettava di trovarla lì. E probabilmente le sue pose rigide non gli comunicavano un messaggio di accoglienza. Forse era per questo che il ragazzo non le sorrideva. Winny sapeva che il suo aspetto esterno dava un'idea di ombroso e distante.

«Ciao...» rispose, dopo un attimo di esitazione.

Guardò il gatto, che era rimasto immobile e socchiudeva gli occhi. Il suo mantello sembrava catturare la luce al pari delle finestre del liceo. Winny poté ammirarlo da vicino quando zampettò verso di lei, strofinandosi contro le sue gambe. Il tessuto nero dei suoi pantaloni si riempì di piccoli peli bianchi. Winny sorrise. Adorava quel genere di dettagli. Potevano essere peli sui tessuti, occhiaie a marcare il viso, inclinazione furtiva dello sguardo... tutto ciò comunicava. Irresistibilmente.

«Sembra che tu gli piaccia» osservò il ragazzo. Winny alzò lo sguardo su di lui. Un'espressione di genuina sorpresa le sollevò le sopracciglia fino a farle scomparire sotto la frangetta castana.
«E' un onore» replicò. Si affrettò ad aggiungere, notando il suo smarrimento: «E' un onore piacere al gatto».

Il ragazzo sorrise. «Naturalmente. Al gatto.»

Winny riconobbe lo scherzo e l'ironia nel tono del ragazzo, ma capì che non erano malevoli. Si sentiva rassicurata fin nel profondo dall'essersi salvata chiarendo il significato della propria frase, appena in tempo per non sembrare troppo strana ma forse perfino simpatica. Avrebbe voluto più tempo per elaborare la sibillina risposta del ragazzo, ma capì che l'istantaneità dell'interazione l'aveva indotta a sospendere i processi di pensiero troppo lenti e riflessivi.

«Sai, le persone si impegnano sempre tanto per dare dei nomi carini ai gatti» riprese il ragazzo, come per attaccare un discorso. Winny lo guardò sbalordita. Nonostante un anno piacevole trascorso altrove, non si sentiva ancora abituata all'idea che uno sconosciuto potesse voler parlare con lei.

«Alcuni traggono persino i nomi dalla mitologia. Altri sono così pigri da cercare i nomi online. Capisci, a quel punto è come se non l'avessero deciso loro.» Winny fece timidamente cenno di sì con la testa. «Tu ce l'avresti un nome per lui? O lei. Non so distinguere... sai, ecco». Esitò.

«No, è la prima volta che vedo questo gatto, non ho un nome ancora pronto.»

«Giusto. Prova a pensarci un attimo» la incoraggiò il biondo.

Winny si mosse sulla panchina lievemente, a disagio.
«Winchester» disse.

«Cosa? Il nome di una città straniera? Ma ti è venuto così? Lo hai pensato prima, vero?»

«No, mi è venuto così.» Arrossì, sperando che mantenere la sua posizione non la facesse sembrare vanitosa. Non era brava a rendersi simpatica. Il ragazzo sembrava fin troppo esperto in questo genere di cose, si sentiva su un piano completamente differente rispetto a lui.

«Be', complimenti» disse, frettoloso. «Ora se vuoi ti dico come lo chiamerei io» e fece una pausa d'effetto. Winny lo guardò, in attesa. Faceva caldo. Le fusa del gatto riempivano il silenzio.

«Gatto» annunciò infine. Winny alzò un sopracciglio.

«Pensaci, in una massa di nomi speciali forse è il nome più particolare che potresti dargli. Senza alcuna pretesa di originalità». Abbassò lo sguardo sul quieto protagonista della loro conversazione. «Quel gatto ha già il suo bel pelo bianco a renderlo speciale» concluse.

«Sono assolutamente d'accordo» disse Winny.

«Davvero? Peccato, speravo il contrario».

Winny si grattò la guancia con l'indice, imbarazzata. Era in momenti come questi che avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e rispondere diversamente. Un potere sovrannaturale per compensare la sua poca abilità sociale.

«Scherzavo» disse lui. «E invece, che nome daresti a me?».

Socchiuse leggermente le labbra, colta alla sprovvista. Era ancora seduta e doveva alzare leggermente il collo per incontrare il suo sguardo, cosa che nonostante la sua introversione riusciva quasi sempre a fare. Fu tentata di abbassarlo, ma resse.
«Mi raccomando» aggiunse «Che non siano altri nomi pazzeschi di città come quello che hai tirato fuori prima!»

Winny sorrise, accogliendo la sua allegria, facendole spazio nel proprio umore.
«Dev'essere qualcosa di estremamente generico, come il nome Gatto?» provò, sorprendendosi di non aver inciampato tra le parole.

«Mmmh, sarebbe davvero strano chiamarsi Ragazzo, in effetti».
«Che ne dici di... Goku?»

«Goku? Per i capelli, vero?»

Winny annuì imbarazzata. Forse era meglio dire qualcosa di diverso, qualcosa di più particolare. Ma Goku non gli aveva appena insegnato che a volte le cose comuni sono le migliori?

«Be', mi spiace ma non hai indovinato. Io mi chiamo Ezra».

«Ezra» ripeté Winny con un sorriso. «Io sono Winny», si sorprese a dire.

«E io sarei Goku? Credo non ci sia bisogno di dirti a quale orsetto affamato di miele somigli tu, con quel nome».

«In effetti. Ma mi piace, mi fa pensare a qualcosa di tenero, piccolo... elegante» azzardò, sentendo il peso della scelta di ogni parola.

«Oh, capisco. E così vorresti assomigliare a qualcosa di piccolo ed elegante, nonostante il tuo nome ricordi un grosso orso goffo».

Winny lo guardò incerta, sentendo riecheggiare in quel commento esuberante le tracce di vecchie ferite. Avvertì il proprio sorriso incrinarsi.

«Eppure, un nome non è necessariamente qualcosa che ci rappresenta. Questo gatto stupendo ha appena ricevuto un nome che potrebbe appartenere a tutti i randagi del mondo. Allo stesso modo, tu non assomigli affatto a un orso dalle movenze ubriache». Il ghigno sul viso del ragazzo si ampliò.

Winny riacquistò il controllo del proprio sorriso. "Ti sei salvato" pensò.

Il gatto continuava a fare le fusa. Gli schiamazzi dei radunati nel piazzale crescevano.
Interruppe il silenzio: «Purtroppo a me non viene altrettanto semplice associare il tuo nome a un personaggio, a una storia».

«Non importa. Meglio così. Anche io sono contento del mio nome. I miei amici faticano di più nell'affibbiarmi nomignoli e soprannomi. Inoltre potrò essere io stesso a dare dignità al nome che porto».

Winny lo guardò colpita. Senza rendersene conto, si era fatta catturare da quella conversazione e dal modo che lui aveva di cogliere qualsiasi spunto per la chiacchiera. Una chiacchiera che pareva ispessirsi ad ogni passaggio, acquistando la consistenza di un sottile scambio di idee.

«Allora? Che ne pensi?»

«Penso che sia una cosa bellissima».

«E l'identità che costruirò» aggiunse improvvisamente Ezra «Sarà quello di un valoroso combattente, dal buon cuore. Proprio come il tuo amato Goku. E soprattutto che sia amante dei gatti.»

«Soprattutto» rincarò Winny. Aveva ripreso a dondolare le gambe nel vuoto, sentendo la leggerezza di quel gesto. «E cosa vorresti combattere?» chiese sotto l'influsso di un'ispirazione improvvisa.

Ezra si fece serio.
Aveva toccato un tasto troppo personale, con quella domanda?

I capelli allegramente sparati in aria contrastavano con l'aria assorta del suo viso.
«Be', per prima cosa, mi piacerebbe combattere l'inizio di una nuova giornata a scuola» disse infine.
Prese il micio in braccio, che si adattò a quella nuova posizione come il tè prende placidamente la forma della tazzina in cui viene versato. La testa di Gatto aderì alla spalla di Ezra. Il tessuto della camicia azzurra accusò la pressione, increspandosi lievemente, cedendo sotto il piccolo peso.

Winny non ci fece caso, ma quell'immagine le si era appena impressa nella mente indelebilmente.
Ezra le indirizzò un ultimo sguardo prima di allontanarsi.

"L'orsetto goffo" rimase immobile. La leggerezza di quella conversazione formicolava sottopelle. I pelucchi del gatto erano ancora sui suoi pantaloni, vicino alle scarpe. La traccia, il segno del passaggio di un incontro insolito.
Era come se fosse appena riuscita a sfiorare lo strato più profondo. Senza anni di scavo interiore.

Infondendomi coraggioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora