Sono ormai circa 30 anni che con la prima diffusione di massa dei PC a interfaccia grafica e dei sistemi operativi si considera iniziata l’era dei “nativi digitali”. Per grande paradosso, però, sembrano ancora non essere circolate abbastanza le varie riflessioni, positive o negative che siano, su questo argomento, o, per meglio dire, su quest’epoca. Uso il termine “epoca”, poiché è da quasi mezzo secolo che gli enti elettronici sono entrati a far parte delle nostre abitudini primarie, assumendo sempre più le sembianze di un bene di prima necessità. Occorre dunque domandarsi non tanto se questi oggetti siano un bene nelle nostre vite, essendo oramai una componente insostituibile della nostra società, quanto appare necessario riflettere sull’uso e sull’integrazione nel contesto umano e sull’educazione, intesa come conoscenza di ciò a cui ci si approccia e dunque riflettere riguardo l’uso della tecnologia; un’educazione in tal senso appare spesso poco impartita o del tutto assente. Diviene ora più che mai impellente, un considerazione sul rapporto tra uomo e macchina, tra intelletto ed imitazione di esso, tra ens e sub-jectum, tra anima e techne. Un primo passo fondamentale da compiere è quello di stabilire se, e in che misura, sia presente un’opposizione tra costruito e costruttore. Di primo colpo sembrerebbe lampante una risposta affermativa, causa la differenza, soprattutto materiale, tra i due enti; in realtà le differenze sono poche, dato che non è concepibile un effetto senza una causa, e dunque non è possibile concepire un computer senza pensare alle sue spalle un cervello computante, il quale non solo è responsabile della sua realizzazione materiale, ma anche del processo che imprime in esso un’analogia tra i due enti. Dunque, non ci può essere tecnica senza soggetto che la produce.
Un primo problema, che più degli altri viene molte volte menzionato, è la crisi dell’intersoggettività. Vengono spesso chiamate in causa le numerose difficoltà che i ragazzi di oggi hanno nel relazionarsi tra di loro, a causa della sicurezza che uno schermo infonde rispetto a qualsiasi tipo di rapporto umano. Se da un lato occorre considerare la parte di “aiuto” che questi dispositivi offrono, facendo sì che in meno di un minuto sia possibile far interagire tra loro due individui da Oslo a Capo Verde; va altresì detto che questa crisi, che non si forma solo ed esclusivamente grazie all’avvento della tecnologia, risale a un problema ancor più nascosto: quello di mettere innanzi a sé uno schermo per apparire come in realtà vorremmo essere. Prendiamo come esempio uno dei social più utilizzati in questo momento, Instagram; dentro quest ultimo, una delle cose a cui si presta più attenzione e che è capace di attrarre più seguaci, è l’ “immagine di profilo”: uno scatto impostato come foto principale della propria immagine. Proprio questo termine dovrebbe far accendere una scintilla. Immagine, perché un’immagine di sé? Pochi sono i ragazzi sicuri di sé che usano i social responsabilmente o quantomeno cercando di rimanere sé stessi, per quanto possibile; ma altrettanti di loro usano la già citata foto, o i loro contenuti, come una maschera, un qualcosa dietro cui nascondersi e allo stesso tempo dare ad intendere che si è davvero in quel modo, mentre è solo ciò a cui si vorrebbe tendere; una costruzione di noi stessi fatta per immaginarci immuni dalla paura del giudizio. Questa è la vera crisi dell’intersoggettività: non essere più in grado di condividere stati soggettivi con altri soggetti poiché una verità fittizia non è capace di scambiare ciò che non è con un altro ente, e la nascita dei social ha marcato in modo ancor più forte la produzione di queste finzioni di sé.
Un altro problema da analizzare per iniziare a rapportarsi con il concetto di tecnologia è la non neutralità della tecnica. Qualche secolo fa, per convincere le masse a seguire una determinata idea venivano usate forze sociali, come il clero; oggi il passaggio di testimone è arrivato nelle mani dei media digitali.
Il dominio esercitato dai Media digitali produce diversi effetti: 1) fungono da strumento di controllo su scala globale; 2) tutto ciò che ormai si vede e tutte le notizie che si apprendono alimentano in noi un atteggiamento passivo, il quale ci porta a prendere tutto come verità e rispedirlo fuori come una macchinetta, rendendoci sempre più simile alla macchina in questione; 3) in molti casi, si preferisce rimanere attaccati ad un televisore per guardare un programma o al computer per cercare l’ultima offerta del momento su Amazon, riducendo così il nostro essere collettivo che ci appartiene in quanto membri di una società, rendendoci quasi simili a degli automi o, peggio ancora, a degli schiavi intrappolati in una prigione di cui non siamo nemmeno a conoscenza. E si potrebbe continuare così per mille altri esempi sia politici che economici e sociali. Conseguentemente, dell’uso dei media digitali proprio perchè non neutrali e diffusi su scala globale, molte volte vengono messi da parte o taciuti i suoi reali pericoli specialmente dall’elite economica e inevitabilmente si cade, per influenza, in un atteggiamento molto pericoloso: considerare questo oggetto come qualcosa di indipendente e distaccato dall’agire umano, pensandolo come un ente già stabilito di per sè a cui l’uomo deve conformarsi e in base ad esso guidare le sue azioni, cosa che purtroppo già accade, quando in realtà è lo strumento che deve conformarsi al soggetto e non viceversa, senza togliere al soggetto la capacità di scegliere come e in che modo usare ciò che lui ha creato. Il caso contrario sarebbe il declino della società.
Un ultimo, ma non meno importante, punto che l’essere umano deve affrontare è il chiedersi quale tipo di mondo il genere umano vuole avere in futuro. Ovvio è che oramai la tecnologia è il punto cardine dell’avvenire; spetterà però all’uomo e alla sua intelligenza decidere se fare della techne un nuovo sole attorno al quale girare e quindi mettersi in una condizione di subordinazione, oppure procedere verso una realtà che rende il tecnicismo un aiuto, importante ma pur sempre un aiuto, capace oltretutto di elevare in una nuova condizione lo stesso uomo, in quanto da esso creato.
400 anni fa, abbiamo iniziato il nostro percorso per liberarci dalle superstizioni e le ipocrisie del medioevo e si rischia oggi che gli individui cadano nuovamente sotto il peso di un nuovo, imposto e influenzato modo di pensare e agire. Bisogna sempre tenere a mente che l’uomo è pur sempre un’animale razionale e che tramite la scienza può sia scoprire cure per malattie che fino a un secolo fa ritenevamo essere frutto di magia, sia usare un social per fare body shaming o cyberbullismo. Bisogna, in definitiva, chiedersi che tipo di essere umano vogliamo essere. Per l’epoca attuale è già un bene che questo tipo di riflessione si possa fare e che sia, con impegno, libera. Machiavelli diceva che i figli, quando si trovano in una condizione più agiata, tendono a dimenticare le azioni dei padri, considerando una proprietà di diritto ciò che posseggono già. Questo è l’unico errore che l’homo tecnologico non deve commettere, poiché ora più che mai ha i mezzi per provare a pensare con la propria testa. Per scoprire, entrare in contatto e provare a risolvere tutto ciò che in quest’epoca sta entrando in crisi, una sola è la soluzione: l’educazione. Con quest’ultima non intendo l’imposizione di regole morali, ma l’indirizzamento verso una strada che porta alla conoscenza completa dell’oggetto. Non solo in merito all’uso dei social la legislazione esistente è ancora poco efficace e sicuramente da implementare ma sono altresì troppo rari gli interventi anche scolastici per educare i futuri cittadini del mondo a un buon livello di maturità su un argomento che sarà, con molta probabilità, il principale nel loro mondo.
L’errore che spesso si commette è partire dall’effetto, senza tener conto di una possibile causa: accogliere una nuova tecnologia come un qualcosa di introvabile o quasi divino e con essa tutte le sue già citate, ma evidentemente non prese in considerazione, conseguenze, senza far prima una riflessione antropologica o psicologica, è stato il grande errore dell’umanità nei confronti di questi nuovi enti. Per tornare al discorso iniziale, è stata data troppa importanza alla techne e poca all’anima.
Ripensare la Weltbild e in particolare il rapporto tra soggetto e oggetto in special modo come sopraddetto se quest’oggetto è l’oggetto tecnologico è possibile. D’altronde, se così non fosse, si entrerebbe addirittura in contraddizione con la stessa natura, progressista e avanguardista di scienza e tecnologia poiché si tradirebbe, che ci ha permesso di arrivare dove siamo oggi. Oltrepassare, dunque, con una buona educazione, il confine che ha permesso che la techne diventasse più importante dell’anima, si traduce anche nell’estromettere dall’uso dei social la violenza razzista, omofoba, il body shaming, e tutte le forme di cyberbullismo, insulti razzisti, diffusione di idee scientificamente scorrette, ecc; e arrivare a concepire l’uso dei dispositivi e delle conoscenze digitali come uno degli strumenti per far sì che le prossime generazioni possano vivere in un’epoca di reciproco scambio di soggettività, di libero dialogo, scelta, progresso e ricerca della felicità. Dove anima e teche non si scontreranno più in una battaglia già di per sé controsenso: un’epoca in cui Anima e Techne sono sorelle della medesima sostanza.
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Educazione e Techne
غير روائيÈ davvero, la nostra società, completamente in grado di gestire la tecnologia?