Prologo

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Definire l'amore è una cosa davvero difficile: c'è chi parla di sentimenti che nascono pian piano, chi del colpo di fulmine; chi pensa di non aver mai amato echi, invece, crede nel per sempre; c'è chi pensa che l'amore non sia altro che reazioni chimiche del nostro corpo, e chi, d'altro canto, crede che quest'ultimo sia un sentimento magico.

È complicato dare una definizione di amore, e quindi, spiegarlo.

Ma se c'è una cosa che tutti possiamo affermare certamente è quanto quest'ultimo ci faccia sentire al settimo cielo e, subito dopo, a terra.

Inermi.

E questo lo sapeva bene Eren Jaeger, vent'anni.

Era un bellissimo ragazzo dai capelli castano cioccolato, odiati a morte da quest'ultimo a causa del colore troppo 'normale'. Aveva provato le peggio tinte: dall'azzurro cielo, al rosa big-bubble. Ma, almeno, aveva la fortuna di avere una peluria forte e rigida in capo che nemmeno il peggior decolorante avrebbe rovinato.

Ma la vera particolarità di quest'ultimo erano gli occhi: verdissimi, con qualche spruzzo di marrone intorno all'iride. Erano cangianti e, a seconda del giorno, chi lo guardava poteva assaporarne ogni sfumatura: dal verde-blu quando era nuvoloso al verde prato quando c'era il sole.

Era proprio un bel ragazzo, e questa cosa era venuto a saperlo solo dopo aver compiuto vent'anni, il trenta marzo.

Sì, perchè all'elementari, alle medie e per finire al liceo, era sempre stato la mira dei bulli che non rinunciavano a punzecchiare il suo tallone d'Achille: il peso.

Eren era sempre stato un bambino tondo, e la madre Carla lo sapeva, ma non si era mai sforzata più di tanto perchè ogni bambino dovrebbe avere il piacere di poter mangiare in santa pace.

E così faceva il castano, senza però avere la fortuna di un metabolismo efficiente come i suoi amici.
Così, egli era sempre il grasso del gruppo, ma a lui inizialmente non gli importava, era solo un bambino.

Incominciò a farlo quando la cattiveria di quei pargoletti (che alle volte è peggio di quella degli adulti) cominciò a punzecchiarlo.

Fu lì che il piccolo iniziò a scrutarsi alo specchio e, successivamente, a giudicarsi proprio come loro facevano con lui.

Fu lì che iniziarono i peggio problemi, la non accettazione di sé stesso, il bullismo e infine la difficoltà a socializzare con gli altri.

Sì perchè non sembra, ma il bullismo porta a una serie di problemi.
Spesso si pensa che aggiungendo un tono scherzoso le lame delle proprie parole siano meno affilate: beh, vi sbagliate.
Di grosso.

Quelle lame arrivano e vi lacerano dentro.
Le risate dei compagni a seguito di quelle battute sono come sale che gratta quella ferita fresca e sanguinante.

Ecco come si era sempre sentito Eren: sanguinante.

Così iniziarono i suoi anni peggiori con l'assenza di uscite ed esperienze. Solo in camera, a disegnare.

Solo vuoto e solitudine.

Ma a colmare il suo vuoto c'era sempre stata la sua famiglia: la madre Carla e il padre Grisha, anche se meno temperato della madre.

La coppia, come si può sentire dal nome, era mista: lei era una bellissima donna italiana dai colori caldi che aveva fatto sciogliere quelli germanici dell'uomo.

Loro potevano considerarsi i due stereotipi dei propri paesi: lei leggermente abbronzata, capelli e occhi scuri e un comportamento decisamente italiano; lui chiaro di carnagione, moro e occhi azzurro ghiaccio che rivelavano il suo modo di fare.

Ma, nonostante le diversità, esse riuscivano a far funzionare la coppia.

Come genitori avevano solo un difetto: essere molto protettivi nei confronti del loro unico figlio.

Non avendo fatto nessun tipo di esperienze, Eren non aveva mai affrontato il periodo di 'burrasca' che ogni ragazzo attraversa durante la sua adolescenza con la propria famiglia, determinando uno stacco.
Ecco perchè aveva deciso di andarsene a vivere a Firenze, a pochi passi dalla sua futura università: l'Accademia di Belle Arti.

I due coniugi erano fortemente contrari allo spostamento, infondo ci voleva solo un'ora di andata e altrettanto di ritorno per raggiungere la scuola.

Ma Eren sapeva che quel salto doveva farlo, sia per lui che per la sua famiglia.
Così, a suon di litigi e lacrime, quel giorno era arrivato, così come i saluti.



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