Quando Mimì leggeva teneva la matita tra le dita come se fosse una sigaretta. I polpastrelli anneriti di grafite erano sempre pronti a sottolineare le peggiori sconcerie vomitevoli, stampate in minuscolo sulla carta candida e fragrante di libri con donne nude in copertina. Mai una volta la cenere si era posata su d'una massima d'Umberto Eco od un aforisma d'Oscar Wilde -ché ad evidenziare magnifiche frasi ad effetto o perle di saggezza erano bravi tutti, ma solamente i geni potevano essere in grado di far sfavillare di candore e suprema sagacia la brutale uccisione di un gatto, sfracellato davanti alla fermata del bus, o le urla d'una donna, sanguinante tra le braccia d'un bruto.
I geni, i pervertiti, ed i pazzi."Non mi sembra una cosa positiva."
"A te niente sembra mai positivo. Non mi sorprende tu non riesca a comprendere il mio genio."
In inverno le si screpolavano le labbra le mani; la vitalità negli occhi essiccava come i fiori che pressava tra le pagine dei libri, rendendoli fragili e rinsecchiti come le sue ossa. Veniva destata prorompente l'emicrania. Sanguinava e teneva il burrocacao tra le dita, come se fosse una sigaretta. Aveva freddo e scioglieva la punta del labello con l'accendino, per poi ustionarsi le labbra con acido ialuronico e burro di Karitè.
"Credo sia cancerogeno."
"Per te tutto è cancerogeno, perfino l'aria che respiriamo, manco fossimo a Černobyl'."
Andava a teatro e si ritoccava il trucco tra un atto e l'altro, tra una Medea e Clitemnestra, una Giulietta ed Euridice. Teneva il rossetto come se fosse una sigaretta, sangue e rimorsi coloravano le sue labbra. Delineava la bocca rosso fuoco tante volte quante aveva detto addio, ad ogni passata copriva le imperfezioni e la sua maschera s'appesantiva.
Non prestava mai attenzione allo spettacolo e si sentiva in colpa per non essere una degna ed entusiasta spettatrice. Probabilmente qualcuno che non fosse stato assorbito nella contemplazione eterna e perenne del proprio essere avrebbe saputo apprezzare meglio il talento di attori, cantanti, e ballerini; ma sicuramente non avrebbe saputo apparire etereo, regale e cordialmente disinteressato, su quelle poltrone rosse, bene come riusciva lei."Smettila. Smettila con sta superbia del cazzo. Ti darei due ceffoni io se tu non fossi donna."
"Altrimenti che fai? Mi lasci?"
"Sì!"
"Buona fortuna là fuori."
Non fu mai vista tenere in mano una sigaretta, ché il fumo uccide, rende sterili, ingiallisce i denti, causa insufficienze cardiache e aneurismi aortici. Non ne aveva bisogno per uccidersi e nemmeno per stare bene. Era dipendente dai "se" e dai "ma", non c'era spazio per la nicotina. Aveva visto troppe persone picchiarsi per una cartina e di finire con un unghia gel conficcata nella tempia proprio non ne aveva voglia.
"Con tutte le cazzate che fai, il fumo sarebbe il male minore."
"Basti tu di tossica che si dimentica perennemente i filtri a casa."
Quella benedetta ragazza aveva deciso di fungere come voce della coscienza, e Mimì la detestava dal profondo delle intestina.
Non le avrebbe dato in custodia nemmeno i trentacinque centesimi necessari per comprare una bottiglietta d'acqua alle macchinette, alla tossicona. Ché i tasti erano duri, lo sportello irremovibile e, con la fortuna che aveva, l'acqua sarebbe rimasta incastrata e trentacinque centesimi sarebbero andati perduti nella pancia di quell'aggeggio balordo.
Mimì la odiava ed era corrisposta. Non si fidava di lei, neppure un pochino, eppure le avrebbe affidato la vita. Forse perché non ci teneva poi molto. Forse perché l'amava.
Forse perché, mettendo la propria esistenza nelle sue mani, tutto sarebbe andato a puttane, le sue intestina sfracellate sul marciapiede come quelle del gatto, le labbra pallide e gelide inalanti tossine. Si sarebbe liberato un posto a teatro per qualcuno dotato d'occhi e cuore atti a stupirsi davanti alla meraviglia, un posto a tavola per qualcuno che non avrebbe preferito orgoglio e tracotanza all'amore d'un uomo.Un posto a tavola per qualcuno che sarebbe morto di tumore ai polmoni invece che di rimpianti.
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angeli percossi
PoesíaEliogabalo fu il più astuto fra gli imperatori: tra tessuti e gioielli morì giovane e fantoccio.