CAPITOLO 1

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Quell'estate solo due cose l'avrebbero fatta sentire meglio: l'odore dei fiori freschi appena comprati sotto casa e un bel piatto di pasta al forno.

Era il suo cibo preferito. Ricordava ancora quando sua madre si alzava presto la domenica mattina, e iniziava a rumoreggiare con le varie cianfrusaglie nella cucina. Le veniva sempre strano. "Sono francese" le ripeteva. "Questo piatto lo dovrebbero cucinare solo gli italiani".

Ma nonostante ciò, era sempre fiera quando, con due guantoni verdastri, afferrava la teglia fumante e la tirava fuori dal forno.

Suo padre, invece, era sempre stato un fanatico della pizza. Quella la faceva veramente bene.

Quando Emily aveva nove anni, i suoi le regalarono il suo primo libro di cucina. Anche lei, come il padre, sarebbe diventata un'aspirante cuoca provetta. Lui l'aveva sempre detto. E per il resto della sua vita, Emily avrebbe sfornato e impiattato squisitezze a non finire. Era così che doveva andare. Loro due, a lavorare insieme, nello stesso ristorante.

Questo, però, non era quello che il destino aveva riservato per loro.

Tre giorni dopo il loro arrivo in Svezia, durante la presentazione estetica del piatto che avrebbe rivoluzionato la cucina europea, suo padre aveva avuto un'accesa discussione con un importante Chef del ristorante nel quale avrebbe dovuto iniziare a lavorare. Sua madre era stata licenziata da appena due mesi, e il loro ultimo appoggio rimaneva agganciato alle sue speranze lavorative da capo Chef.
Niente sembrava andare per il verso giusto.

In Svezia era freddo, ma nonostante ciò Emily non aveva indossato nemmeno una giacchetta, e il meteo locale prevedeva l'arrivo della prima neve.

Emily entrò in macchina. Era una jeep renegade blu notte, con gli interni neri e i tappetini sporchi di terra.

Si sedette dietro, nel posto centrale, allacciò la cintura e andò alla ricerca delle cuffiette nella piccola borsetta color lavanda.

Per fortuna avevano inventato le cuffie bluetooth, altrimenti la sua giornata sarebbe stata ancora di più un casino.

Fece partire la canzone più triste che trovò nell'interminabile playlist di spotify. Era someone like you di Adele. Alzò il volume al massimo e adagiò il capo sul poggia testa del sedile.

Indossava dei jeans grigio chiaro a sigaretta, lievemente bucati alle ginocchia e con una scritta sulla tasca posteriore. Ma quella era la moda del momento.
Aveva la parte anteriore di un morbido maglioncino color crema infilato dentro i pantaloni. Le stava bene, aveva una vita stretta e le gambe ben proporzionate al resto del corpo.
I capelli, mori e dritti come degli spaghetti, le arrivavano fin sotto le strette spalle, accentuando il mento sporgente e la mandibola spigolosa.
Due grandi occhi azzurri si celavano dietro a delle folte ciglia nere come la pece. Si truccava poco, anzi non si truccava affatto. Quel giorno, però, aveva deciso di mettersi un filo di mascara e di pettinarsi le lunghe sopracciglia brune. Tutto sommato, era una bella ragazza, ma di bello in se stessa non aveva mai trovato nulla.

«Non ci credo che quell'uomo ti abbia risposto così. È stato inopportuno, Alain.» La voce di sua madre era soffocante. «Dovresti tornare là e dirgliene quattro.»
Lui rimase stupito. Si sedette al volante con difficoltà, e tirò indietro il sedile. «Va tutto bene, Camille. Piuttosto, perché devi venire sempre così avanti quando guidi la jeep?» Chiese, mentre sistemava lo specchietto retrovisore.

Camille fece una breve risata e si tolse la giacca in pelle nera. I corti capelli scuri ondulati si alzarono liberi, mossi dal movimento delle braccia.

Emily la guardò silenziosa, e non appena Camille si voltò, lei poté osservare quei bizzarri occhiali neri e squadrati che portava: erano ridicoli, la facevano sembrare una professoressa di matematica con problemi familiari repressi e un passato da divoratrice seriale di vecchi romanzi rosa, dalle scene smielate e sporche.

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