Crescendo

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Sono partita con tanti sogni, speranze, obbiettivi, e mi aspettavo le medie come un'esperienza nuova, più da grandi. All'inizio, però, non mi è sembrato così, per me non era cambiato tanto rispetto agli anni precedenti: andavo a scuola la mattina, mi farcivo la mente di informazioni e tornavo a casa. Poi è arrivata la dad, e lì mi è crollato tutto addosso; l'anno era appena cominciato, e già ci imprigionavano tra le quattro mura di casa? Com'è possibile? Non volevo crederci, mi sembrava così aliena come cosa che non riuscivo a rendermene conto. Dad, covid, pandemia, morte. Tante parole che da sole non avevano senso per me, ma che messe insieme mi rivelavano una realtà che non avevo mai immaginato, la realtà di quando era arrivata la peste, il vaiolo, quando Dio ancora non aveva immaginato di darmi la vita, tanto il tempo che mancava, e quando poi era arrivato il momento aveva scagliato un piccolo germe nel mondo. Un caso, due, quindici, cinquanta, cento,... e così via, fino a che tutto il mondo era nero di morte e malattia. Io ero chiusa nella mia piccola stanza, senza potere, e senza contatti con il mondo di fuori. Mi sentivo sola, la scuola era ormai piatta, nello schermo del pc. Non provavo quasi più la noia, tanto era facile distrarsi, e poco duravano le lezioni. Per il resto della giornata ero lì, sul letto, assopita nei miei pensieri davanti a una serie tv che magari neanche stavo ascoltando, ma che guardavo solo per il gusto di farlo, solo per non sentirmi completamente sola. Oramai erano mesi che vedevo solo la mia famiglia, e non ne potevo più. Inizio a scrivere storie inventate, e mai finite. Scrivo perché mi piace, ma la mia fantasia zoppica, e non riesco a inventare storie per calmare la sete di vita, che potevo colmare solo raccontando le storie di altri, invece che la mia, che ormai era non-morte, più che vita. Io penso che la vita sia fatta per fare esperienze, e restare chiusi dentro casa senza contatti umani è la cosa peggiore che possa capitare, perché in casa sei al sicuro, non ti può succedere niente, e non puoi imparare. La mia conoscenza si ampliava solo in campo scolastico, con grammatica, scienze, storia, ma in fondo non imparavo niente di reale per la mia vita. La prima media è passata così, passivamente, ed è finita solo perché eravamo arrivati a giugno. Durante le vacanze ho scritto, sì, ma solo i compiti di italiano. Non avevo più idee, e ciò che mi teneva attaccata alla realtà mi stava scivolando via dalle mani. Non capivo perché era successo, perché doveva succedere a noi, cosa avevamo fatto per meritarcelo? L'estate è passata in un attimo, con amici e famiglia, e l'ho chiusa come al solito con la mia vacanza preferita, il campo scout, che mi lancia a settembre con la forza e la voglia di iniziare la scuola, anche perché così posso rivedere i miei amici e raccontargli com'è andata la mia estate. La seconda media è stata una via di mezzo tra dad e presenza: un giorno eravamo a scuola, e quello dopo ci ritrovavamo catapultati in casa, davanti allo schermo. I casi non diminuivano, e spesso tra noi ce n'era qualcuno. È stato un anno difficile per me, soprattutto a marzo, quando mia nonna ci ha lasciati a causa di questa malattia. È stata in ospedale per un po' di tempo, ma purtroppo non potevamo andare a visitarla, perché anche noi eravamo ammalati, e non facevano entrare nelle terapie intensive. Ha resistito per molto tempo, per la sua età, ma poi non ce l'ha fatta, e ha spirato. Mi ricordo che ero in videolezione quel giorno, e che mio padre è entrato in stanza durante l'intervallo e mi ha annunciato che era successo. Non sono riuscita a collegarmi per la lezione dopo, ero ancora scossa, e anche quando sono entrata sono riuscita ad ascoltare poco. Mi sembrava assurdo, mi ricordo che sentivo mia madre piangere nell'altra stanza, la sentivo addossarsi tutta la colpa, e mi sembrava come se qualcuno mi avesse strappato il cuore e lo avesse calpestato. Volevo andare lì e gridarle che non era colpa sua, non era colpa sua, non era colpa sua. Volevo urlare la mia frustrazione, la mia delusione e la mia rabbia. Perché?

Perché devi farci soffrire così? Perché?

Solo più avanti avrei capito che la vita ha valore solo perché finisce. Se non ci fosse fine, se vivessimo per sempre non ci sarebbe motivo di fare ciò che ci piace, non servirebbe buttarsi, perché tanto c'è tempo, perché tanto la mia vita dura per sempre, perché dovrei buttarmi? Magari tra qualche anno c'è un'occasione migliore, che senso ha? Non è un concetto facile da assorbire, non lo era soprattutto in quel momento in cui mi sentivo abbandonata a me stessa, accasciata sulla sedia con gli occhi vacui che riflettevano immagini dei miei compagni e del professore che spiegava geometria. Ero raccolta su me stessa, con le ginocchia al petto e la testa appoggiata su queste. Ascoltavo, forse, ma vedevo con il cuore il momento in cui avrei dovuto dirle addio per sempre, davanti alla sua bara e ai fiori che erano così vivi che sembrava una presa in giro. Dopo un po' sono riuscita ad andare avanti, non senza fatica, e anche grazie ai miei amici. Quel martedì c'erano tutti, per aiutarmi a dire addio alla mia cara nonna. E io non li ho mai ringraziati per esserci stati. Questo era un punto su cui sapevo di dover crescere, sapevo che per essere grande davvero dovevo imparare a riconoscere chi mi stava accanto sempre, chi erano i miei amici, e dovevo superare le barriere del pregiudizio che mi attanagliava la mente da sempre. Ho sempre pensato di dover piacere agli altri, senza condizioni, eppure così mi dimenticavo che dovevo innanzitutto piacere a me stessa. Solo l'anno successivo ho iniziato a capire che prima di tutto c'ero io, e poi gli altri. Sembrerà egoista come concetto, ma io credo che su questo punto sia così. Non devi piacere agli altri se innanzitutto non ti piaci tu. La terza media credo che sia stato l'anno migliore di tutti, e comincio a rendermi conto che forse è perché sono cresciuta rispetto a due anni fa. Prima, infatti, avevo solo un paio di amici, e quelli erano, non mi staccavo da loro. Poi però ho iniziato a conoscere altre persone, che ora sono i miei amici più cari, e ho capito che il valore degli incontri che facciamo è proprio farli, è crescere con essi e con loro fare altri incontri. Non è una questione di essere più popolari di altri, perché non serve a niente se poi gli amici sono con te solo per non restare da soli. Gli amici veri sono quelli che stanno con te perché vogliono, non perché gli serve un follower in più su instagram. Forse non ne ho tanti, forse i miei amici più cari sono una dozzina, ma a me basta così perché quest'anno ho riscoperto anche nei miei compagni di classe una compagnia nuova, più unita, e con cui voglio stare fino in fondo, anche se mi dispiace che non ce ne siamo accorti prima. Voglio che quest'anno finisca bene, in tutti i sensi. Non m'importa di avere un bel voto all'esame se prima non vivo al meglio le ultime lezioni che rimangono, se prima non mi godo fino in fondo i miei amici, se non presento ciò che ho studiato come voglio io, dal mio punto di vista. Il mio obbiettivo per la fine dell'anno è riuscire a esprimere in trentacinque minuti ciò che è successo in tre anni, tutte le emozioni che quest'esperienza mi ha trasmesso, perché voglio che anche gli altri capiscano quanto sono stata felice di essere stata in questa scuola, in questa classe, con questi insegnanti e compagni. Per questo credo di dover solo ringraziare i miei genitori, perché se avessero scelto un'altra scuola, se non avessero scelto questo cammino per me, io sarei da tutt'altra parte ora, e non avrei mai conosciuto tutte queste persone. Forse sarei stata bene, in questa realtà parallela, ma a me la mia vita piace così com'è, e anche se ho vissuto dei momenti davvero difficili ho sempre avuto qualcuno che mi aiutava ad andare avanti, e credo di avere solo un'ultima parola da dire loro. Grazie.

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