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"Dimmi chi è che come me combatterà con lealtà? La forza che è dentro di me è fuoco, terra, inquietudine. Combatterò, non perderò l'orgoglio di un guerriero che non muore mai."
Zucchero.

Alessandro

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Alessandro

Il modo più facile per farli smettere? Appiccare un incendio.

Perlustro il perimetro alla ricerca di possibili fonti: la recinzione del campo da calcetto è costellata di ghirlande di raso rosse e gialle, potrebbe bastare un accendino, però sono troppo distanti l'una dall'altra, dovrei appiccarle una ad una; alla mia destra c'è il palco con la banda, è di legno verniciato d'impregnante, materiale altamente infiammabile, potrei cospargerlo di benzina e il gioco è fatto, ma gli strumenti musicali sono principalmente ottoni e fondono a una temperatura superiore ai milleduecento gradi, troppo per le risorse che ho a disposizione. Dal lato opposto ci sono le cucine, per i fornelli mobili usano bombole di gas e con tutto quel butano e propano farebbero un bel botto, avrebbero lo stesso effetto di una bomba, però i contenitori sono in acciaio rinforzato, farli esplodere richiede tempo.

«Perché hai quell'espressione assassina?» Gabriele arriva al tavolo con due birre fresche, me ne porge una e si siede al mio fianco.

Fosse per me darei fuoco all'intero campo sportivo, tromboni, bandiere tricolore, sindaco e cittadini compresi. Peccato che le trombe che squillano stiano celebrando me, che le bandiere italiane siano il simbolo che porto spillato sulla divisa, che il sindaco, nonché mio padre, sia qui per premiare me, e che i miei compaesani siano arrivati in massa per onorare gli eroi di Borgo Unito, me compreso.

Peccato che se facessi davvero scoppiare un incendio, è me che la gente chiamerebbe per domarlo.

Afferro la mia pinta: «La stoffa del gazebo è di poliestere, basterebbe uno zippo per dare il via». Con un cenno della testa indico il capannello di vecchietti che stazionano sotto al tendone, all'ombra. «Mi dispiace solo per gli anziani che ci stanno sotto, anche se ormai la loro vita l'hanno fatta.»

Gabriele aggrotta la fronte, rimane col bicchiere a mezz'aria. «Sul serio?»

«Alessandro, Gabriele, che piacere vedervi», Don Giacomo, il parroco di Borgo Unito, ci interrompe, si piazza in mezzo a noi, punta il suo Smartphone ultimo modello, «possiamo farci un selfie insieme?», sfodera un sorriso galvanizzato e scatta, senza darci il tempo di opporci.

«Questa la metterò sul giornale della parrocchia.» Osserva lo schermo del telefono con aria compiaciuta. «Ho saputo quello che avete fatto la settimana scorsa, avete tirato fuori da una scarpata un pover'uomo e l'avete rianimato per più di mezz'ora. Siete degli eroi, che Dio vi benedica.»

Ogni volta che lo incontro, Don Giacomo mi ricorda di quando sono stato obbligato a fare il chierichetto, faceva prediche pure sul modo in cui portavo l'ostia, un gendarme del clero.

Un cielo d'estateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora