"Voooolare, oh oh! Cantareee oh oh oh oh!"
Sono le due di notte, chi te la dà tanta forza fratello mio caro.Vittorio Par...par...
"A mà come se chiama quello de fronte che canta tutto er giorno?"
"Par...par.."
"Par de palle ciao mà"Vabbè, Vittorio insomma. Il suo sogno è cantare inebriato dal profumo dei fiori posati sul palco di Sanremo. Si vede già tra Paolo Villaggio e Mike Buongiorno, con in braccio Sylva Koscina che gli sussurra "ma che bravo che sei". Lui si sente un po' nella pelle di Modugno, un po' in quella di Alberto Sordi. Peccato che l'unico odore che sente è quello della benzina incombusta 84 ottani della Opel Kadett appartenente a tale ragionier Frisini Giancarlo, impiegato Eni. E invece di Mike Bongiorno e la Koscina ci stanno suo fratello Antonio e sua sorella Lucia.
Frisini è l'uomo simbolo della crudeltà umana del 1972. No, non è che lui sia crudele, anzi. È una crudeltà di cui lui è vittima. Per farvela breve, quando è uscito Fantozzi nelle sale cinematografiche ho urlato dal fondo della sala "ma quello è Frisini 'orca miseria".
La gioia di Vittorio sul palco di Sanremo, comunemente conosciuto come il letto della camera di Lucia, termina quando sua madre Vita detta Vitina nata nel 1941 deve pulire le scale del condominio e ha bisogno del microfono gentilmente offerto dalla RAI, Radiotelevisione Italiana o anche detto a'scopa.
Alle 18.30 di domenica 11 Giugno 1972, Enzo è prontamente arrivato nel portone di casa mia. Un palazzo di 9 piani in una strada di palazzi di 9 piani. Il profumo d'estate mi metteva una gran voglia di frequentare nuova gente, fare qualcosa, vivere un'avventura alla Woodstock.
"Che facciamo?"
"Quello che facciamo tutte le estati, mio caro Enzo, andiamo all'officina"Quelli come noi, quelli che non sono figli della Pavone o di Merola, a cui gli occhi scintillano se il capitano Kirk prende a pugni un Klingon, hanno un posto dove essere beat nel nostro quartiere: l'officina.
L'officina è un pezzo di terra abbandonato nella zona vecchia della città fatto di capannoni. Si respira un po' d'aria fresca, oltre ad una sana boccata di erba buona, il tavolo da biliardo è un po' in pendenza ma ci si fa l'abitudine...ma la parte più bella è il palco. Io ed Enzo ci uniamo sempre a quella tribù di gente che ha il nostro stesso sapore. Un gusto mai provato prima, un senso di diverso, come quando tuo zio maresciallo della Marina ti parla dei ristoranti asiatici.
Questa sera siamo in sei sulla panchina in fondo al vialetto dell'officina. Si parla un po' di tutto, Giorgia ha da fare un annuncio: va a studiare a Bologna. La seguono a ruota anche Dario e Marcello. Non posso che essere contento per loro, anche se un po' - sotto sotto - sono invidioso. Anch'io vorrei varcare la soglia di una grande città universitaria, vivere da solo, mollare tutto quello che c'è qui per farmi una cultura, dei nuovi amici...ma dopotutto, perché? Sto bene qui, almeno credo.
Ed è subito sera, restiamo a fissare le stelle mentre il caldo umido inizia a farsi sentire. Un assolo di chitarra annuncia l'inizio del concerto dei Ruggiti Rossi.
"Ci pensate mai?" all'improvviso parla Giorgia
"A cosa?"
"A quanto cerchiamo di fare qualcosa di diverso, ma poi alla fine è tutto sempre lo stesso?" i suoi lunghi capelli ricci scendono e tremolano dolcemente sulla sua salopette di jeans
"Che vuol dire?" le risponde Roberto
"Che anche se vogliamo una nostra identità, lottiamo per dei cambiamenti, alla fine resta tutto uguale. Nel senso, noi non riusciamo ad ottenere quello che vogliamo. Diciamo basta con la guerra eppure continua, diciamo votate comunista e dateci le stesse opportunità eppure al figlio di Cervoni gli va sempre di culo. Ma che stamo a fa?"
"Stiamo a lottà, almeno ce provamo. Se fosse facile mica stavamo qua..."Siamo i ruggiti rossi, siete pronti?
L'eco della sala concerti, se chiudi gli occhi, sembra quasi di trasmettere il clima del concerto dei Genesis di qualche mese fa, quando in realtà è solo un'officina abbandonata.
Appena partita la prima nota, il loro spirito così forte e decisivo ha fatto saltare il generatore e siamo rimasti al buio. Noi continuiamo a parlare, ignorando totalmente l'annullamento di una data importante come quella dei Ruggiti Rossi.
"Come va il lavoro al negozio di dischi?" mi chiede Roberto
"Non sono solo i dischi a girare"
"Come mai? Tu ami la musica!"
"Sì, ma quella che piace a me, non quello che passa alla radio. Cioè non quella roba che senti a Canzonissima"
"Vabbè cioè non è che ti devi fissare, alla fine non ti rompe nessuno"
"Sì, lo so, ma..."
Mi sono appena reso conto di aver detto al mio amico operaio all'Eni con le unghie impregnate di olio che il mio lavoro da commesso ben pagato mi fa schifo.
"Cioè come lavoro è fantastico, ovviamente non dico questo, è solo che spero che magari un giorno possa dire al principale che potrebbe anche metterci un po' di musica seria, no?"
"Ah sì certo, magari ora che prendi confidenza!"
Salvato in calcio d'angolo.Ritornato in Corso Roma quella sera, il grande e possente Vittorio, non fa che cantare insistentemente una canzone di Nicola di Bari. Il palco è tutto suo, il microfono non serve più. La mezzanotte è vicina e le scale del condominio sono pulite. La sua stanza è buia, ma lui probabilmente immagina una fila di lampadine pronte ad accoglierlo. Tra un po', probabilmente, inciderà un nastro con degli applausi.
Ispirato dalle sue illusioni decido di salire in casa, salutare tutti, chiudermi in camera e prendere la chitarra. Chiudo la finestra, seppure so già che avrò molto caldo e tiro fuori la mia chitarra acustica Eko per suonare quattro accordi di una canzone che provo a scrivere da sei mesi. All'improvviso la porta si apre e mio padre sussurra (in realtà urla sussurrando, non chiedetemi come) "é controra, smettila!".
E intanto Vittorio canta e vorrei urlargli contro, ma è controra.
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Corso Roma, 72
Historical Fiction19 anni nel 1972, in Italia. Il nuovo che avanza che lotta contro un Paese rimasto indietro, con gli occhi verso gli USA e l'Inghilterra tra rock e ribellione.