Non riesco a spiccicare parola dall'imbarazzo e dalla sorpresa. Avevo appena preso a calci il mio idolo e l'avevo trattato da vera stronza. Per di più ora siamo così vicini che sento il suo profumo inebriarmi le narici. Indossa una canottiera bianca abbastanza attillata, con sopra una morbida camicia rossa sbottonata, abbinata a dei jeans skinny neri strappati sul ginocchio destro.
Abbasso gli occhi dalla vergogna ma lui non demorde: afferra il mio mento fra indice e pollice e mi costringe a guardarlo.
- Adesso non fai più la spavalda, eh?- domanda. Qualche ribelle ciuffo di capelli cade perfettamente sulla sua fronte, i suoi occhi sono piccoli e allungati, di un celeste così chiaro da sembrare ghiaccio. Ha un viso magro e dai tratti delicati, gli zigomi sporgono leggermente e le labbra sono rosee e carnose, incurvate in un ghigno.
Confusa e col cuore a mille, penso a come avrei dovuto comportarmi per non peggiorare la situazione. Decido di rimanere coerente e non fare la figura della ragazzina che sclera davanti al suo idolo, anche se una parte di me avrebbe voluto saltargli addosso e chiedergli scusa in tutte le lingue del mondo.
- Se tu smetti di toccarmi, io smetto di essere stronza - rispondo fingendomi convinta e indicandogli con lo sguardo la sua mano ancora appoggiata sul mio braccio.
Non togliere quella dannatissima mano penso. Avevo passato giorni interi a fantasticare un nostro ipotetico incontro, cosa avrei potuto dire, a sperare di poterlo anche solo sfiorare per un millesimo di secondo. E ora stavo lì con lui a comportarmi come un'idiota. Ma ormai non potevo fare altro.
Luke molla la presa alzando le mani e facendo un passo indietro, senza abbandonare quel maledetto ghigno. Poi i suoi occhi si scollano dalla mia figura, per posizionarsi sul parcheggio affianco al nostro, dove prima Simone stava appoggiato alla sua auto.
- Il tuo ragazzo se ne sta andando - mormora appoggiando le spalle al pullman nero e portandosi una sigaretta ancora spenta fra le labbra. Osservo la Toyota bianca di Simo uscire dal parcheggio e immettersi nel traffico. Sbuffo scocciata, consapevole che non saprò mai il motivo per il quale si trovava ancora qui. Prendo il telefono e lo sblocco, intenzionata a mandargli un messaggio di fuoco e chiedere spiegazioni, alle quali tanto non avrei creduto. Faccio fatica a fidarmi delle persone perciò se mi menti una volta, per me, menti sempre.
Entro diretta sulla chat con Simone, ma il ragazzo di fronte a me decide di sfilarmi il telefono dalle mani e infilarlo nella tasca posteriore dei suoi jeans e con l'altra mano mi lancia un accendino verde che fortunatamente afferro al volo.
Mi guarda muovendo l'indice velocemente verso sinistra e destra come per dire in segno di negazione.
- Non corrergli dietro come una bambina - biascica con la sigaretta ancora in bocca - Me l'accendi?- chiede senza distogliere gli occhi dai miei.
- Perché non te l'accendi da solo e mi ridai il telefono? - domando stizzita. Si stava forse prendendo gioco di me? Che razza di comportamento era?
- Come immaginavo, non sai nemmeno usare un accendino - si burla di me con una smorfia annoiata sul volto.
- Si che so usarlo! - esclamo in mia difesa.
- Allora accendila - ribadisce seccato, roteando platealmente gli occhi.
Mi avvicino insicura e posiziono il pollice sulla rotella dell'accendino e premo verso il basso per attivare la fiamma, poi l'avvicino alla sigaretta che stringe fra le sue rimpolpate labbra. Lo vedo aspirare avidamente il fumo mentre china la testa all'indietro. Inspira e mi guarda divertito. Rimango imbambolata a fissare i movimenti lenti con cui porta la sigaretta alla bocca, mentre il vento scompone i suoi riccioli dorati e spinge il fumo nella mia direzione.
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La ragazza del concerto
Teen FictionLa vita di una normalissima adolescente viene stravolta da un incontro inaspettato.