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Il canto della famiglia di pettirossi, che aveva trovato casa su un albero non molto distante, si fece sentire anche quella mattina. Aura era combattuta tra il desiderio di continuare a dormire e la necessità di doversi preparare per andare a lavorare come parte della servitù nella tenuta degli Aranel, una delle dinastie di stregoni più rilevanti e potenti di Drayan, e cercare di aiutare sua madre e i suoi fratelli che, dal punto di vista economico, non si trovavano nella migliore delle situazioni. Alla fine, prevalse il senso del dovere verso la sua famiglia, e si decise a scivolare giù dal letto. Si diresse verso la cucina e lo scricchiolio prodotto dai suoi passi sulle vecchie travi del pavimento risuonò per tutta la casa. Mangiò velocemente qualche seme e uscì di casa sgranocchiando gli ultimi rimasti in bocca. Salì in groppa all'asino che possedevano da qualche anno e si diresse verso Kalador, la parte ricca della città nella quale le famiglie più in vista si contendevano il suo controllo. Gli Aranel, in particolare, erano noti per la loro rivalità con gli Elendil, con la quale si contendevano da diversi anni il controllo dei territori e degli appezzamenti agricoli attorno a Drayan. Aura però non era interessata alle vicende riguardanti i ricchi, poichè non poteva concedersi il lusso di fantasticare sulle vite degli altri, dato che la sua di per sé era già abbastanza complicata. Si accorse di essere alle porte di Kalandor quando del polline le entrò in un occhio e lo fece lacrimare. Scese dall'asino e lasciò che le guardie all'ingresso perquisissero lei e le bisacce caricate sull'animale. La infastidiva il sospetto che i due uomini nutrivano ancora nei suoi confronti, nonostante entrasse quotidianamente in quella parte di Drayan. Nonostante facesse di tutto per cercare di dimostrare alla gente quanto la veridicità della Maledizione, cioè la differenza di colore tra i suoi due occhi, uno grigio e l'altro blu, secondo la quale chi possedeva questo "difetto" fosse in grado di maneggiare le arti magiche di tipo Oscuro, fosse errata, le persone continuavano a tenersi alla larga dalla ragazza. Lei poi, che sapeva soltanto controllare con l'ausilio della magia il fuoco del camino degli Aranel, era la persona più sbagliata sulla quale fare congetture.

Quando ebbero finito, la ragazza rimontò in sella con un balzo e con un colpetto sul ventre dell'asino ripartì.

Cercare di non rimanere a bocca aperta osservando i palazzi in diamante e ambra era impossibile. Ci aveva provato tante volte, ma con scarsi risultati: adorava osservare le torri coperte di edera, alte qualche centinaio di metri, svanire dentro alle nuvole basse, che contraddistinguevano quella valle, e dalla quale si lanciavano cascate cristalline. Il vento prodotto dallo spostamento d'aria le scompigliava i capelli ferendole dolcemente il viso. Dopo alcuni minuti, arrivò all'entrata del palazzo degli Aranel dove, ad aspettarla, c'era lo stalliere, che prese l'asino per la cavezza e si diresse all'interno, seguito da Aura. Salì le scale del meraviglioso salone arredato da mobili di fattura magica e altrimenti impossibili da realizzare. Restava sempre colpita dal grande ciliegio al centro della stanza, che aveva affondato le sue radici sul pavimento di marmo. Appena arrivata al primo piano, fece per aprire la grande porta che dava sul salone, nella quale di solito cominciava il suo turno di lavoro, quando improvvisamente uscì Ophir, figlio di Noah Aranel e promettente capostipite successore, il quale, non immaginando ci fosse qualcuno dall'altro lato della porta, urtò bruscamente la ragazza.

"O mio Dio Aura scusami, non pensavo fossi lì"

"Non vi disturbate, non è successo nulla"

"Eddai Aura, abbiamo la stessa età! Basta darmi del lei, chiamami pure Ophir"

Aura abbassò lo sguardo e sgusciò oltre la porta. Si era chiaramente accorta del debole che Ophir aveva verso di lei, e questo la faceva innervosire parecchio. I sentimenti che il giovane provava verso di lei erano motivo di difficoltà per la ragazza, dato che Diantha, figlia della nobile Shu Rakvorg, una delle donne più potenti dal punto di vista magico, era promessa sposa al giovane. La donna, che da qualche tempo viveva con la figlia dagli Aranel, si era accorta delle particolari attenzioni che Ophir riservava ad Aura e non di rado capitava che si sentisse descriverla con parole di disprezzo. Aura odiava essere definita "inopportuna, approfittatrice e opportunista". Dato che non ricambiava il sentimento per il ragazzo, aveva deciso di stare il più possibile alla larga dal giovane Aranel, perché non poteva permettere che il suo lavoro potesse essere messo a rischio da un'infatuazione nei suoi confronti. Le distanze prese però non sembravano servire a molto, dato che la ragazza continuava a ricevere avance. La situazione per lei, peggiorata dalle pressioni e dalle minacce di Shu Rakvorg, era diventata insostenibile, tanto che pensava di abbandonare Kalandor per cercare un nuovo impiego in altre zone della città. Ma anche se ne avesse trovato uno, il denaro che avrebbe ricavato non sarebbe mai stato quanto quello ottenuto come parte della servitù degli Aranel. Era riuscita ad avere quell'impiego grazie a Del Aranel, madre di Ophir che, in cambio del maestoso arazzo realizzato su richiesta da sua madre, offrì alla ragazza un posto come aiuto alla servitù, ignorando la Maledizione e tutto il resto. Offerta che inizialmente Aura era certa declinare, poiché preferiva guadagnare da vivere alla famiglia cacciando lepri e cervi nel bosco vicino, ma che poi si convinse ad accettare a causa della mancanza di commissioni alla madre, sarta e creatrice di arazzi stupendi.

Attraversò il grande salone, dirigendosi verso il ripostiglio. Il fuoco blu del camino faceva risaltare i suoi capelli biondi, che sotto quella luce risultavano chiarissimi, probabilmente anche a causa della divisa scura. 

Il Serpente d'Ambra ©Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora