Due bracciali, due panini, un pianoforte.

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Giugno

In quel caldo pomeriggio, Simone si ritrovava seduto a terra sul prato nel parco vicino al suo monolocale preso in affitto a Milano dal momento in cui aveva iniziato l'università.

La sessione era ormai alle porte e lui passava giornate intere riverso sui libri, dedicava ore allo studio perché lui ci tiene, lui vuole essere perfetto, impeccabile, vuole rendere orgoglioso sé stesso.

E non sempre è una buona cosa.

Molti dicono sia ambizioso, che è bello esserlo.

E a volte è così. Perché Simone rare volte ha provato una soddisfazione paragonabile a quella che prova quando riesce a raggiungere un obiettivo che si era prefissato.

Ma altre volte, quella che tutti chiamano ambizione, non è altro se non una pretesa verso sé stessi.
Pretesa di essere sempre al cento per cento.
Pretesa di essere preparato.
Pretesa di non sbagliare mai, di non fallire.

E quando i fallimenti arrivavano - così come arrivano a tutti, perché la vita non è solo fatta di successi - a Simone pareva una tragedia.

E passava ore - a volte anche giorni - a colpevolizzarsi, a ripetersi che avrebbe potuto fare di più, colpevolizzandosi per essere rimasto davanti alla TV per più tempo del dovuto invece di studiare, o per aver passato più tempo al telefono con il padre, o semplicemente per essersi riposato dopo che la sua mente e i suoi occhi lo avevano - quasi - implorato di farlo.

Ci provava a prenderla più alla leggera ma non ci riusciva, non rientrava nel suo carattere.
Lui voleva dare sempre di più.
Per sé stesso e per gli altri.
Perché la sentiva la pressione addosso, la "fama" di studente modello che si portava dal liceo seguirlo come un'ombra.
E non voleva tradirlo, quel Simone liceale. Voleva dimostrargli che, anche se il percorso era sicuramente più tortuoso, lui ce l'avrebbe fatta lo stesso.

Una delle sue più grandi paure era quella di realizzare che, quella fama, fosse immeritata.
Rendersi conto che gli era stata attribuita solo perché qualcuno aveva deciso fosse bravo quando, in realtà, non lo era.
E ci pensava su spesso, Simone. Soprattutto durante le giornate nere.
Si sedeva, fumava una sigaretta e si tormentava chiedendosi ma io, bravo, lo ero davvero?

Sì, lo era.
Lo era anche all'università.

E per un breve istante ci credeva pure lui senza dubitare quando gli esami andavano bene.

Ma poi arrivava il prossimo esame.
E, con l'ansia, ritornava la paura di non riuscire a fare tutto e di fare scena muta, di fare brutta figura.

E quel circolo vizioso aveva di nuovo inizio.

Ma quel giorno si era imposto di uscire da quelle quattro mura e studiare all'aperto, suo padre gli consiglia sempre di farlo e pensa che, se lo dice lui che è professore, forse ha ragione.
Che poi suo padre - per la maggior parte delle volte - abbia sempre ragione, a prescindere dalla sua professione, era un altro discorso. Ma Simone non glielo avrebbe mai detto.

Il sole non era ancora tanto forte, questo gli permetteva di potersi godere il calore.
E poi Simone era un tipo freddoloso, lui soffriva molto più il freddo che il caldo.
Quindi quel calore non gli dava per niente fastidio, anzi.

Mentre sottolineava con evidenziatori di colori diversi i vari concetti, per imprimerli meglio nella memoria, una donna si avvicinò a lui.
Era pieno, quel parco, di gente che offriva qualcosa in cambio di soldi: che fossero piccole sculture in legno, bracciali, gioielli o oggettini vari.
E Simone era uno dei pochi che parlava con loro, senza mandarli via in malo modo.

Bracciali || Simone x Manuel || OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora