L'ATTERRAGGIO

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Torre di controllo dell'aeroporto internazionale JFK
Il piatto, lo chiamavano. Di un lucente verde monocromatico (ormai da due anni il JFK era in attesa di nuovi schermi a colori) come una scodella di crema di piselli integrata da gruppi di lettere collegate a puntini. Ogni puntino rappresentava centinaia di vite umane o, nel vecchio gergo nautico in voga ancora oggi nell'aviazione, "anime".
Centinaia di anime.
Forse era per quello che tutti i colleghi chiamavano Mendes "Jimmy il Vescovo".
Il Vescovo era l'unico controllore di volo che, anziché stare seduto, rimaneva in piedi durante l'intero turno di otto ore, con una matita HB in mano, e camminava avanti e indietro, guidando a New York aerei di linea, dalla cabina della torre fervente di attività, novantasei metri sopra l'aeroporto internazionale John F. Kennedy, come un pastore che badasse al suo gregge. Usava la gomma della matita per visualizzare gli aerei sotto il suo comando e la loro rispettiva posizione, anziché affidarsi solo allo schermo radar bidimensionale.
Dove centinaia di anime emettevano bip a ogni secondo.
«United 6-4-2, gira a destra, rotta 1-0-0, sali a cinquemila.»
Ma non potevi pensare così quando eri sul piatto. Non ti potevi soffermare su tutte quelle anime la cui sorte dipendeva dai tuoi ordini: esseri umani ammassati dentro missili alati che sfrecciavano a chilometri dal terreno. Non potevi avere il quadro d'insieme: tutti gli aerei nel tuo piatto e poi gli altri controllori che mormoravano frasi in codice nelle cuffie auricolari intorno a te e poi tutti gli aerei nei loro piatti e poi la torre di controllo del traffico aereo nel vicino LaGuardia... e poi tutte le torri di ogni aeroporto in ogni città degli Stati Uniti... e poi in tutto il mondo...
Calvin Buss, responsabile dell'area di controllo del traffico e diretto superiore di Jimmy, comparve a fianco del Vescovo. Era tornato in anticipo da una pausa e masticava ancora l'ultimo boccone. «A che punto sei col Regis 7-5-3?»
«Il 7-5-3 è a terra» rispose Jimmy il Vescovo, con una rapida occhiata al piatto per avere conferma. «Sta procedendo al piazzale.» Fece scorrere sul video l'elenco dell'assegnazione dei piazzali di sosta, cercando il volo 753. «Perché?»
«Il radar di terra dice che abbiamo un aereo fermo sulla Foxtrot.»
«Sulla pista di rullaggio?» Jimmy controllò di nuovo il piatto per accertarsi che non ci fossero errori, poi riaprì il canale diretto col volo 753. «Regis 7-5-3, qui torre controllo JFK, passo.»
Niente. Provò di nuovo.
«Regis 7-5-3, qui torre controllo JFK, rispondete, passo.»
Aspettò. Niente, nemmeno un clic.
«Regis 7-5-3, qui torre controllo JFK, mi sentite? Passo.»
Un assistente del traffico si materializzò dietro Calvin Buss.
«Problemi di trasmissione?» insinuò.
«Guasto meccanico, probabilmente» disse Calvin Buss. «Qualcuno ha detto che l'aereo si è spento.»
«Spento?» ripeté Jimmy il Vescovo, pensando con meraviglia che sarebbe stato davvero un colpo di fortuna se le parti meccaniche dell'aereo si fossero guastate solo qualche minuto dopo l'atterraggio. Prese l'appunto mentale di fermarsi, tornando a casa, a giocare i numeri 7, 5, 3 per l'estrazione dell'indomani.
Calvin infilò la spina della cuffia auricolare nel secondo jack audio di Jimmy.
«Regis 7-5-3, qui torre controllo JFK, per favore rispondete. Regis 7-5-3, qui torre di controllo, passo.»
Rimase in attesa e in ascolto.
Niente.
Jimmy il Vescovo guardò i puntini ancora sul piatto: niente allarmi per conflitto di traiettorie, tutti i suoi aerei erano a posto. «Meglio consigliare un dirottamento intorno alla Foxtrot» disse. Calvin staccò la spina e arretrò. Aveva l'espressione di chi guarda nel vuoto e fissava al di là della console di Jimmy le vetrate della cabina della torre, più o meno nella direzione della pista di rullaggio. Pareva perplesso e preoccupato. «Bisogna far sgombrare la Foxtrot.» Si rivolse all'assistente del traffico. «Manda qualcuno a dare un'occhiata.»
Jimmy il Vescovo si massaggiò il ventre e rimpianse di non potervi infilare la mano ed estirpare in qualche modo la nausea che ribolliva alla bocca dello stomaco. Il suo compito era in pratica quello dell'ostetrica. Lui aiutava i piloti a sgravare in sicurezza dal ventre del vuoto alla terra aeroplani pieni di anime. Quelle che sentiva adesso erano doglie di paura, come un medico che ha appena fatto partorire il suo primo nato morto.
Pista del terminal 3
Lorenza Ruiz era diretta al gate, alla guida di un carrello con nastro trasportatore per scaricare i bagagli, in pratica una rampa idraulica su ruote. Quando dietro l'angolo non vide il 753 come si aspettava, andò un po' più avanti per dare un'occhiata, perché mancava poco alla pausa. Portava la cuffia protettiva, una felpa con cappuccio e logo dei Mets sotto il giubbotto riflettente, occhiali di protezione - la sabbia della pista di rullaggio era fastidiosa - e teneva sul sedile a fianco le bacchette di segnalazione arancioni.
"Ma che diavolo è successo?" pensò.
Si tolse gli occhiali, come se avesse bisogno di guardare a occhio nudo. Eccolo lì, un Regis 777, un giocattolo bello grosso, uno dei nuovi aerei della flotta, posato sulla Foxtrot; al buio totale, nemmeno le luci di navigazione sulle ali. Il cielo era vuoto, quella notte. La luna cavata via; le stelle assorbite. Niente. In pratica vide soltanto la liscia superficie tubolare della fusoliera e le ali che brillavano debolmente sotto le luci d'atterraggio di aerei in avvicinamento. Uno dei quali, il Lufthansa 1567, mancò di soli trenta centimetri la collisione col treno d'atterraggio. "Jesús Santísimo!"
Riferì alla torre.
«Stiamo arrivando» disse il suo superiore. «La coffa vuole che tu vada a dare un'occhiata.»
«Io?» si stupì Lorenza.
Aggrottò la fronte. "Così imparo a essere curiosa" pensò. Proseguì seguendo la corsia di servizio dal terminal passeggeri e attraversò le linee metriche della pista di rullaggio dipinte sul piazzale. Era un po' nervosa e molto circospetta, perché non aveva mai guidato così lontano. La FAA - la Federai Aviation Administration, l'agenzia federale statunitense per l'aviazione civile - aveva regole rigide sui percorsi dei carrelli per scaricare e trasportare i bagagli, perciò lei stava attenta agli aerei sulle piste di rullaggio.
Svoltò al di là delle luci guida blu lungo la pista. Le parve che l'aereo fosse completamente spento, da prua a poppa. Niente aerofaro, niente luce anticollisione, niente illuminazione nei finestrini della cabina. Di solito, anche da terra, nove metri più in basso, guardando il minuscolo parabrezza simile a occhi socchiusi sopra il caratteristico muso dei Boeing, si potevano vedere nella cabina di pilotaggio il pannello di distribuzione in alto e le spie luminose degli strumenti, rosse come una camera oscura. Lì invece era tutto buio.
Lorenza mise il motore al minimo a dieci metri dalla punta dell'ala sinistra. Se uno lavora sulle piste abbastanza a lungo - e ormai lei era lì da otto anni, più della durata dei suoi due matrimoni messi insieme -, qualcosa finisce per impararla. I flap del profilo alare e gli alettoni - i pannelli spoiler nella parte posteriore delle ali - erano tutti dritti come le tette di Paula Abdul, ossia nella posizione in cui i piloti li mettono dopo l'atterraggio. I turboreattori erano silenziosi e immobili, benché di solito impieghino un po' di tempo a smettere di masticare aria anche dopo lo spegnimento, risucchiando sabbia e insetti come grandi e insaziabili aspirapolvere. Così l'aereo era sceso in modo corretto, era atterrato tranquillamente ed era arrivato fin lì prima... dello spegnimento delle luci.
Fatto più allarmante, se l'aereo aveva avuto via libera per atterrare, qualcosa era andato storto nello spazio di due, forse tre minuti.
Cosa può andare storto così rapidamente?
Lorenza si avvicinò ancora un poco, arrivando dietro l'ala. Se le turboventole si fossero messe in moto all'improvviso, sarebbe stata risucchiata e fatta a brandelli come un'oca canadese. Guidò fino al bagagliaio, la parte dell'aereo che conosceva meglio, giù verso la coda, e si fermò sotto il portello posteriore. Tirò il freno di bloccaggio e manovrò la barra di comando per far alzare la rampa, che a quell'altezza raggiungeva il livello massimo con un'inclinazione di circa trenta gradi. Non bastava, ma pazienza. Uscì, allungò la mano per prendere le bacchette di segnalazione e risalì la rampa verso l'aereo morto.
Morto? Perché aveva pensato una cosa del genere? L'aereo non era mai stato vivo...
Per un attimo Lorenza immaginò una grande creatura putrefatta, una balena spiaggiata. Ecco cosa le parve l'aereo: una carcassa in decomposizione; un leviatano morente.
Il vento smise di soffiare quando lei si avvicinò alla parte più alta. Dovete sapere, riguardo al clima sul piazzale del JFK, che il vento non smette mai. Mai e poi mai. Ci sono sempre raffiche sulle piste, con gli aerei in arrivo, la palude costiera salmastra e il fottuto oceano Atlantico appena dall'altro lato di Rockaway Beach. Ma tutt'a un tratto ci fu davvero silenzio, un silenzio tale che Lorenza di tolse le cuffie per esserne sicura. Pensò di udire dei colpi provenire da dentro l'aereo, poi si rese conto che era solo il battito del suo cuore. Girò la torcia elettrica e la puntò sulla fiancata destra. Seguendo la chiazza circolare del raggio, vide che la fusoliera era ancora scivolosa e perlacea per la discesa e sentì che aveva l'odore della pioggia di primavera. Spostò il fascio luminoso sulla lunga fila di finestrini. Tutte le tendine interne erano abbassate. Strano. Adesso era impaurita. Davvero impaurita. Intimidita da quella massiccia macchina volante da quasi centocinquanta tonnellate e da duecentocinquanta milioni di dollari, ebbe una fuggevole eppure palpabile e gelida sensazione di trovarsi alla presenza di una belva simile a un drago. Un demone che fingeva di dormire e in realtà era capace, in qualsiasi momento, di aprire gli occhi e le terribili fauci. Un brivido gelido la percorse con la forza di un orgasmo, le tese ogni fibra, l'annodò.
Poi si accorse che una tendina adesso era tirata su. I capelli sulla nuca le si rizzarono, tanto che se li lisciò come avrebbe fatto con il pelo di un nervoso animale da compagnia. Prima non aveva notato quella tendina. Era sempre stata alzata... sempre.
Forse...
Nell'aereo la tenebra parve agitarsi. Lorenza ebbe l'impressione che qualcosa la osservasse da dentro la fusoliera.
Non riuscì a trattenersi ed emise un gemito, come una bambina. Era paralizzata. Un pulsante afflusso di sangue, quasi a comando, le serrò la gola...
E allora capì, senza possibilità d'errore: qualcosa là dentro l'avrebbe divorata...
Le folate di vento ripresero, come se non si fossero mai fermate, e lei non ebbe bisogno di altre sollecitazioni. Arretrò lungo la rampa, saltò nel carrello e innestò la retromarcia, anche col segnale acustico d'allarme in funzione e la rampa ancora sollevata. Sentì uno scricchiolio, il rumore di una delle luci blu della pista di rullaggio sotto le gomme, mentre si allontanava a tutta velocità, metà sull'asfalto e metà sull'erba, verso i fari in avvicinamento di cinque o sei veicoli d'emergenza.
Torre di controllo dell'aeroporto internazionale JFK
Calvin Buss era passato a un differente auricolare e dava ordini come previsto dal manuale della FAA per incursioni su piste di rullaggio. Tutti gli arrivi e le partenze furono sospesi in uno spazio aereo di otto chilometri intorno al JFK. Ciò significava che l'attività cresceva rapidamente. Calvin cancellò le pause e ordinò a ogni controllore in servizio di mettersi in contatto con il volo 753 su ogni frequenza disponibile. La situazione nella torre dell'aeroporto era più prossima al caos di quanto Jimmy il Vescovo avesse mai visto. Funzionari dell'autorità aeroportuale, tipi in completo scuro che borbottavano in cellulari a sistema Nextel, si erano radunati alle sue spalle. Non era mai stato un buon segno. È buffo come la gente tenda per natura a radunarsi quando si trova di fronte all'inspiegabile.
Jimmy il Vescovo riprovò a chiamare, senza risultato.
«Dirottamento?» gli chiese un tizio in completo scuro.
«No» rispose Jimmy il Vescovo. «Niente.»
«Allarme incendio?»
«No, certo.»
«Nessun allarme al portello della cabina?» domandò un altro.
Jimmy il Vescovo capì che l'indagine era entrata nella fase "domande idiote". Chiamò a raccolta la pazienza e il buonsenso che l'avevano fatto diventare un controllore di volo di successo. «È venuto giù liscio ed è atterrato dolcemente. Regis 7-5-3 ha confermato l'uscita assegnata e ha svoltato sulla pista. L'ho tolto dal radar e l'ho trasferito all'ASDE.»
L'Airport Surface Detection Equipment, il radar per il controllo dei movimenti al suolo.
Calvin coprì il microfono con una mano e disse: «Forse il pilota ha dovuto spegnere tutto».
«Può darsi» replicò Jimmy il Vescovo. «O forse gli si è bloccato.»
«Allora perché non hanno aperto un portello?» chiese un tizio in completo scuro.
Jimmy il Vescovo si stava già tormentando con quella domanda. I passeggeri, di regola, non rimangono seduti un minuto più del necessario. La settimana precedente, su un aereo della jetBlue Airlines in arrivo dalla Florida, in pratica c'era stato un ammutinamento e solo per colpa di bagels rafferme. In questo caso invece la gente era rimasta seduta senza muoversi per... forse quindici minuti. Completamente al buio.
«Là dentro comincerà a fare caldo. Se non c'è elettricità, l'aria non circola. Niente ventilazione» fece notare Jimmy il Vescovo. «Allora cosa diavolo aspettano?» intervenne un altro tizio in completo scuro.
Jimmy il Vescovo sentì crescere l'ansia in tutti i presenti. Quel buco che hai nello stomaco quando ti rendi conto che qualcosa sta per accadere, qualcosa di molto, molto sbagliato. «E se non possono muoversi?» borbottò, prima di riuscire a fermarsi.
«Si riferisce a una situazione di ostaggi?» chiese il tizio in completo scuro.
Il Vescovo annuì in silenzio, ma non stava pensando a quello. Per chissà quale motivo, riusciva solo a pensare: "Anime".
Pista di rullaggio Foxtrot
I mezzi antincendio dell'autorità aeroportuale uscirono in formazione standard per interventi in pista: sei veicoli che comprendevano estintore a schiuma per carburante, motopompa mobile e autocarro con scala allungabile. Si arrestarono accanto al carrello per lo scarico bagagli bloccato prima delle luci azzurre lungo la Foxtrot. Il capitano Sean Navarro saltò giù dall'ultimo piolo della scala allungabile e si fermò, con il casco e la tuta di protezione, davanti all'aereo morto. I fari dei veicoli di soccorso si riflettevano sulla fusoliera e tingevano l'apparecchio di una falsa luce rossa pulsante. Pareva un aereo vuoto predisposto per un addestramento notturno.
Il capitano Navarro raggiunse la parte anteriore dell'autocarro e salì in cabina accanto al conducente, Benny Chufer. «Chiama la manutenzione e fa' spegnere quelle luci. Poi mettiti dietro l'ala.»
«Ho l'ordine di stare a distanza» disse Benny.
«Quello là è un aereo pieno di gente» ribatté il capitano Navarrò. «Non siamo pagati per dare spettacolo. Siamo pagati per salvare vite umane.»
Benny si strinse nelle spalle e ubbidì. Navarro scese dalla cabina e montò sul tettuccio. Il conducente alzò la scala quanto bastava a portarlo sull'ala. Il capitano accese la torcia elettrica e raggiunse il bordo posteriore tra i due flap alzati, posando il piede proprio dove era scritto, in caratteri neri marcati, VIETATO SALIRE.
Avanzò lungo l'ala sempre più larga, a sei metri dalla pista. Arrivò all'uscita, l'unico portello dell'aereo con un dispositivo d'emergenza esterno. Lì c'era un piccolo finestrino privo di tenda e il capitano scrutò dentro, fra le goccioline di condensa depositatesi nel doppio vetro, senza vedere altro che buio. All'interno di sicuro si soffocava come in un polmone d'acciaio.
Perché non chiedevano aiuto? Perché non si sentiva il minimo rumore? Se era ancora pressurizzato, l'aereo era ermetico.
I passeggeri stavano per terminare l'ossigeno.
Con le mani protette da guanti da pompiere, spinse dentro i due flap rossi ed estrasse la maniglia dalla rientranza. La ruotò nel senso delle frecce, per quasi centottanta gradi, e tirò. Il portello si sarebbe dovuto aprire verso l'esterno, ma non si mosse. Navarro tirò di nuovo, ma capì subito che era inutile: nessun segno di cedimento. Era impossibile che fosse stato bloccato. La maniglia doveva essersi inceppata. Oppure qualcosa teneva chiuso il portello dall'interno.
Navarro tornò dall'ala alla cima della scala. Scorse una luce di servizio arancione, un carrello aeroportuale in uscita dal terminal internazionale. Quando si avvicinò, vide che era guidato da agenti in giubba blu della Sicurezza trasporti.
«Ci siamo» borbottò iniziando a scendere la scala.
Erano in cinque e si presentarono l'uno dopo l'altro, ma il capitano Navarro non fece alcuno sforzo per ricordarne i nomi. Lui aveva portato lì autopompe ed estintori; loro erano arrivati con computer portatili e palmari. Per un po' si limitò ad ascoltarli mentre parlavano nelle apparecchiature e fra loro.
«Dobbiamo riflettere bene prima di premere il pulsante e chiamare la Sicurezza interna. Nessuno vuole sollevare una tempesta di merda per niente.»
«Non sappiamo nemmeno cosa abbiamo qui. Se suoni quel campanello, fai decollare i caccia della Otis Air Force Base. Stai parlando di gettare nel panico l'intera Costa Orientale.» «Se è davvero una bomba, hanno aspettato fino all'ultimo momento.»
«Magari per farla esplodere sul suolo americano.»
«Forse fanno il morto per un po'. Stanno a radio spenta. Ci attirano più vicino. Aspettano i media.»
Uno di loro stava leggendo dal telefonino. «Il volo proviene da Berlino Tegel.»
Un altro parlò nel suo. «Voglio uno a terra in Germania che sprechen inglese. Dobbiamo sapere se laggiù hanno rilevato attività sospette, qualche violazione. Inoltre ci serve un manuale sulle loro procedure di trattamento dei bagagli.»
Un terzo ordinò: «Controlla il piano di volo e ripassa la lista dei passeggeri. Sì... ogni nome, verifica di nuovo. Stavolta tieni conto di variazioni nella grafia».
«D'accordo» disse uno leggendo dal palmare. «Specifiche complete. La registrazione dell'aereo è N323RG. Boeing 777-200LR. Il più recente controllo in transito è stato quattro giorni fa, ad Atlanta Hartsfield. Sostituiti un condotto di scorrimento usurato nell'inversore di spinta del motore sinistro e una boccola di supporto usurata del destro. Rinviata a causa del programma di volo la riparazione di un'ammaccatura nel flap poppiero sinistro. Conclusione: ha avuto un certificato di idoneità.»
«I 777 sono nuovi, no? Hanno un paio d'anni?»
«Capacità massima trecentoun persone. Questo volo ne ha imbarcate duecentodieci. Centonovantanove passeggeri, due piloti, nove membri d'equipaggio.»
«Qualcuno senza biglietto?» Significava bambini piccoli.
«Che mi risulti, nessuno.»
«Tattica classica» osservò quello concentrato sul terrorismo. «Creare disordine, suscitare le prime reazioni, ottenere un buon pubblico... e poi l'esplosione, per avere il massimo impatto.»
«Se è così, siamo già morti.»
Si scambiarono occhiate, a disagio. «Dobbiamo fare arretrare quei veicoli di soccorso. Chi è quel pazzo che passeggiava sull'ala?»
Il capitano Navarro si fece avanti e li sorprese. «Io.»
«Ah. Bene.» L'uomo soffocò nel pugno un colpo di tosse. «Lassù ci va solo il personale della manutenzione, capitano. Regolamento FAA.»
«Lo so.»
«Allora, cos'ha visto? Niente?»
«Niente» confermò Navarro. «Non ho visto niente, non ho sentito niente. Le tendine dei finestrini sono tutte abbassate.»
«Abbassate, dice? Tutte?»
«Tutte quante.»
«Ha provato l'uscita sopra l'ala?»
«Certo che l'ho provata.»
«E...?»
«Bloccata.»
«Bloccata? Impossibile.»
«È così» disse il capitano Navarro, mostrando con quei cinque più pazienza di quanta ne mostrasse con i suoi ragazzi. Il più anziano si allontanò per fare una telefonata. Il capitano guardò gli altri. «Allora, cosa volete fare?»
«È proprio ciò che aspettiamo di scoprire.»
«Aspettate di scoprire? Quanti passeggeri ci sono sull'aereo? Quante chiamate al 911 hanno fatto?»
Uno scosse la testa. «Ancora nessuna chiamata di cellulare al 911 dall'aereo.»
«Ancora?» fece il capitano Navarro.
«Zero su centonovantanove» commentò il tizio accanto a lui. «Non è un buon segno.»
«Per niente.»
Il capitano Navarro li guardò, stupito. «Dobbiamo fare subito qualcosa. Non ho bisogno del permesso per prendere l'ascia e sfondare i finestrini, quando c'è gente morta o moribonda. In quell'aereo manca l'aria.»
Il più anziano tornò dopo aver concluso la telefonata. «Ora portano la fiamma ossidrica. Lo apriamo.»
Dark Harbor, Virginia
Chesapeake Bay era nera e ribollente in quell'ora tarda.
Nel patio chiuso da vetri della casa principale, su un dirupo panoramico sovrastante la baia, un uomo era disteso su una speciale sedia medica.
Le luci erano abbassate per comodità del paziente e per riserbo. I termostati industriali, tre per quella sola stanza, mantenevano la temperatura a sedici gradi e mezzo. La sagra della primavera di Stravinskij, suonata a basso volume, giungeva da casse acustiche nascoste e copriva il rumore continuo della pompa dell'emodializzatore.
Un debole filo di fiato saliva dalla bocca dell'uomo. Uno spettatore avrebbe potuto credere che il malato fosse prossimo alla morte. Avrebbe potuto pensare di assistere agli ultimi giorni o settimane di quella che era, a giudicare dai sette ettari della tenuta, una vita di spettacolare successo. Avrebbe potuto persino commentare l'ironia che una persona così ricca e influente facesse la stessa fine di un povero cristo.
Solo che Eldritch Palmer non stava morendo. A settantasei anni, non aveva nessuna intenzione di cedere. Niente affatto.
Negli ultimi sette anni di vita lo stimato investitore, uomo d'affari, teologo e potente fiduciario si era sottoposto alla medesima procedura, per tre o quattro ore ogni sera. Aveva problemi di salute, ma era curabile, assistito da medici a tempo pieno, con l'aiuto di attrezzature cliniche acquistate per uso privato a domicilio.
La gente ricca può permettersi cure eccellenti e anche l'eccentricità. Eldritch Palmer teneva le sue bizzarrie nascoste sia al pubblico sia al suo entourage. Non si era mai sposato. Non aveva mai messo al mondo un erede. E così una delle principali congetture su Palmer riguardava quali piani avesse per il suo enorme patrimonio dopo la morte. Non aveva un vice nella sua principale attività d'investimento, lo Stoneheart Group. Non aveva affiliazione pubblica con fondazioni né enti di beneficenza, a differenza dei due personaggi che competevano con lui per il primo posto nella lista annuale della rivista "Forbes" degli americani più ricchi del mondo: il fondatore della Microsoft, Bill Gates, e il finanziere della Berkshire Hathaway, Warren Buffet. (Se alcune riserve auree in Sudamerica e altre holding di società ombra in Africa fossero state incluse nei calcoli di "Forbes", Palmer sarebbe stato al primo posto della lista.) Palmer non aveva mai redatto un testamento, una dimenticanza nella pianificazione dell'asse ereditario impensabile per un uomo che avesse anche solo un millesimo delle sue ricchezze.
Ma Eldritch Palmer, semplicemente, non aveva in programma di morire.
L'emodialisi è una procedura nella quale il sangue è rimosso dal corpo mediante un sistema di tubicini, filtrato da un dializzatore o rene artificiale e poi rimesso in circolo, depurato da tossine e impurità. Aghi d'entrata e d'uscita sono inseriti in un innesto sintetico arterovenoso fissato in modo semipermanente nell'avambraccio. Nel caso di Palmer il macchinario per eseguire questa procedura era un modernissimo modello della Fresenius che controllava di continuo i parametri critici del paziente e avvisava il signor Fitzwilliam, mai più lontano di due stanze, di ogni valore fuori range.
I fedeli investitori erano abituati all'aspetto macilento di Palmer. Era diventato un marchio di fabbrica, un ironico simbolo della sua forza monetaria il fatto che un uomo così delicato e dall'aspetto cinereo detenesse un tale potere e avesse una simile influenza nella finanza e nella politica internazionali. La sua legione di leali investitori ammontava a trentamila persone, una élite finanziaria: la quota d'ingresso era di due milioni di dollari e molti che avevano investito con Palmer per decenni valevano intorno al mezzo miliardo. Il potere d'acquisto dello Stoneheart Group gli garantiva una enorme leva economica che lui usava in maniera efficace e di tanto in tanto spietata. La porta ovest dell'ampio corridoio si aprì e il signor Fitzwilliam, che era anche a capo del distaccamento di sicurezza personale di Palmer, entrò con un telefono portatile sicuro su un vassoio d'argento sterling. Fitzwilliam era un ex marine, con un curriculum di quarantadue uccisioni confermate in combattimento e una mente sveglia, al quale Palmer aveva pagato un corso di medicina postmilitare. «Il sottosegretario della Sicurezza nazionale, signore» disse esalando una nuvoletta di fiato nella fredda stanza.
Di norma Palmer non permetteva intrusioni durante il rifornimento notturno; preferiva passare il tempo a meditare. Ma stava aspettando quella chiamata. Prese il telefono e attese che Fitzwilliam uscisse rispettosamente.
Rispose e fu informato dell'aereo spento. Apprese che i funzionari del JFK erano incerti su come procedere. L'uomo al telefono parlava in tono ansioso, con formalità e imbarazzo, come un bambino orgoglioso che riferisse una buona azione. «Si tratta di un evento molto insolito e ho pensato che avrebbe voluto esserne informato immediatamente, signore.»
«Sì» replicò Palmer. «Apprezzo la sua cortesia.»
«Buonanotte, signore.»
Palmer riagganciò e tenne il telefono in grembo. Una buona notte, davvero. Avvertì una fitta di trepidazione. Aspettava che avvenisse. E ora che l'aereo era atterrato, sapeva che tutto era iniziato... e in un modo davvero spettacolare.
Pieno di entusiasmo, accese il televisore maxischermo posto contro la parete laterale e usò il telecomando sul bracciolo della sedia per attivare il sonoro. Sull'aereo ancora niente. Ma presto...
Premette il pulsante di un interfono.
«Sì, signore?» disse la voce di Fitzwilliam.
«Faccia preparare l'elicottero, signor Fitzwilliam. Ho alcuni affari da sbrigare a Manhattan.» Riagganciò e guardò dalla parete a vetri la grande Chesapeake Bay, ribollente e nera, appena più a sud del punto dove il Potomac color acciaio si riversava negli abissi scuri.
Pista di rullaggio Foxtrot
Gli addetti alla manutenzione stavano spingendo dei serbatoi sotto la fusoliera. Immettere ossigeno era l'ultimo ripiego nella procedura d'emergenza. Tutti gli aerei passeggeri erano costruiti con precise aree "perforabili". Quella del triplo sette si trovava nella fusoliera posteriore, sotto la coda, fra i portelli merci di poppa sul lato destro. La sigla LR - Long Range - del Boeing 777-200LR significa "a maggiore autonomia"; come modello di linea, con un'autonomia massima superiore alle novemila miglia nautiche (circa diciassettemila chilometri) e una capacità di combustibile fino a duecentomila litri, l'aereo aveva tre serbatoi ausiliari nella stiva merci posteriore, in aggiunta a quelli tradizionali posti nelle ali. Da qui la necessità di un'area perforabile sicura.
Gli addetti alla manutenzione stavano usando un'attrezzatura da taglio Arcair, il cannello esotermico più adatto per lavorare nei luoghi di disastro non solo perché facile da trasportare, ma anche perché alimentato a ossigeno, senza l'impiego di pericolosi gas secondari come l'acetilene. Praticare un taglio nello spesso guscio della fusoliera avrebbe richiesto circa un'ora.
Nessuno sulla pista a quel punto pensava a un lieto fine. I passeggeri dell'aereo non avevano fatto chiamate alla polizia. Dal Regis 753 non venivano luci, rumori, segnali di alcun genere. La situazione lasciava disorientati.
Un veicolo di comando dell'unità mobile del servizio d'emergenza dell'autorità aeroportuale fu fatto passare nel piazzale del terminal e venne sistemato dietro batterie di potenti fari puntati sul jet. La squadra speciale SWAT era addestrata per evacuazioni, liberazione di ostaggi e assalti antiterrorismo in ponti, tunnel, stazioni degli autobus, aeroporti, metropolitane e porti degli Stati di New York e del New Jersey. Gli agenti operativi erano equipaggiati con corazza leggera e fucili mitragliatori Heckler & Koch. Un paio di pastori tedeschi annusavano intorno al carrello d'atterraggio, due serie di sei enormi ruote, con il naso all'aria come se anche lì fiutassero guai. Il capitano Navarro si domandò per un momento se a bordo ci fosse davvero qualcuno. In un episodio della serie televisiva Ai confini della realtà non atterrava un aereo vuoto?
La squadra di manutenzione accese i cannelli e stava per iniziare a tagliare la parte inferiore dello scafo quando uno dei cani cominciò a ululare. L'animale in realtà abbaiava e girava in tondo, legato al guinzaglio, in cerchi sempre più stretti.
Navarro vide il suo uomo sulla scala, Benny Chufer, indicare la sezione mediana dell'aereo. Davanti agli occhi gli comparve una sottile ombra scura. Un taglio verticale del nero più intenso rovinava la superficie perfettamente liscia della fusoliera.
Era il portello d'uscita sopra l'ala. Quello che lui non era riuscito a smuovere.
Adesso era aperto.
Non aveva senso. Navarro rimase in silenzio, ammutolito dalla scena. Forse un guasto della serratura a scatto, un cattivo funzionamento della maniglia... forse lui non aveva usato la forza sufficiente... o forse, solo forse, qualcuno aveva finalmente aperto il portello.
Torre di controllo dell'aeroporto internazionale JFK
L'autorità aeroportuale aveva richiesto l'audio del Vescovo. Jimmy era in piedi, come sempre, in attesa di risentirlo insieme con i tizi in completo scuro, quando i telefoni di questi ultimi cominciarono a squillare a tutto spiano.
«È aperto» riferì uno. «Qualcuno ha aperto il portello d'emergenza 3 di sinistra.»
Adesso erano tutti in piedi per guardare. Jimmy il Vescovo scrutò dalla cabina della torre l'aereo illuminato. Da lassù il portello pareva chiuso.
«Dall'interno?» chiese Calvin Buss. «Chi sta uscendo?»
L'altro, sempre al telefono, scosse la testa. «Nessuno. Non ancora.»
Jimmy prese un piccolo binocolo da campo dal davanzale e controllò di persona il Regis 753.
Eccolo lì. Un pezzetto di nero sopra l'ala. Un'ombra, come uno strappo nello scafo. Guardandolo, Jimmy si sentì la bocca secca. Quei portelli si socchiudono appena sbloccati, poi ruotano indietro e si ripiegano contro la paratia interna.
Perciò, tecnicamente, la camera di equilibrio doveva essere stata disinnestata. Il portello non era ancora del tutto aperto.
Posò il binocolo da campo sul davanzale e si spostò. Per chissà quale ragione una vocina nella testa gli diceva che era un buon momento per scappare.
Pista di rullaggio Foxtrot
I sensori di gas e di radiazioni, accostati all'apertura del portello, non segnalarono anomalie. Un agente dell'unità del servizio d'emergenza, disteso sull'ala, riuscì ad allargare di qualche centimetro l'apertura, usando un lungo palo munito di gancio, mentre altri due agenti operativi armati lo coprivano dalla pista. Un microfono parabolico fu inserito e ritrasmise squilli, trilli e musichette di tutti i tipi: i cellulari dei passeggeri che non rispondevano. Parevano sovrannaturali e lamentosi, come minuscoli allarmi personali.
Poi inserirono uno specchio fissato in punta a un palo, una versione gigante dello strumento usato dai dentisti per esaminare la parte posteriore dei denti. Riuscirono solo a vedere gli strapuntini nella zona fra le due classi, entrambi non occupati.
Ordini per megafono non ottennero risposta. Nessuna reazione dall'aereo: niente luci, niente movimento, niente di niente.
Due agenti dell'unità del servizio d'emergenza, in giubbotto tattico leggero, si spostarono dalle luci della pista di rullaggio per un aggiornamento. Esaminarono uno schema della sezione trasversale che mostrava passeggeri seduti in file di dieci nella classe economica dove sarebbero entrati: tre in ciascuna fila laterale e quattro nella sezione centrale. L'interno dell'aereo era stretto; gli agenti lasciarono i mitragliatori e presero invece le più maneggevoli automatiche Glock 17, preparandosi al combattimento ravvicinato.
Si allacciarono maschere antigas munite di microfono e di occhiali per la visione notturna abbassabili e si agganciarono alla cintura bombole di spray lacrimogeno, manette di plastica e tasche con caricatori di riserva. In cima all'elmetto avevano telecamere delle dimensioni di un cotton fioc, provviste anche di lenti a infrarossi passivi.
Con la scala allungabile salirono sull'ala e raggiunsero il portello. Dopo essersi appiattiti contro la fusoliera, ai lati, uno lo spinse con il piede contro la paratia interna; poi entrò e puntò al vicino divisorio, tenendosi basso, accovacciato sulle gambe. Il compagno lo seguì dentro.
Il megafono parlò per loro. «Occupanti del Regis 753, qui l'autorità aeroportuale di New York e del New Jersey. Stiamo entrando nell'aereo. Per la vostra stessa sicurezza, rimanete seduti e incrociate le mani sulla testa.»
Il primo agente rimase in attesa, con la schiena contro la paratia divisoria, tendendo l'orecchio. La maschera attutì il suono in un rombo dissonante, ma lui non riuscì a scorgere movimenti. Abbassò gli occhiali per la visione notturna e l'interno dell'aereo divenne verde come purè di piselli. L'agente rivolse un cenno al compagno, tenne pronta la Glock, contò fino a tre ed entrò nell'ampia cabina.

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